Avvenire, 8 maggio 2010
di Claudio Toscani
«Da un concetto filosofico gli era sollievo passare a una distinzione di vocaboli affini e da un frammento di storia a una varia lezione di codice antico. Da un padre della Chiesa a una locuzione mancante alla Crusca…». È così che Niccolò Tommaseo (1802-1874), umanista poligrafo tra i più fertili del secolo, si ritrae fra le pagine del suo maggior libro, quel Fede e bellezza (1840) che Manzoni inchiodò «tra giovedì grasso e venerdì santo».
Questo per dire che Tommaseo trascorreva spesso e volentieri da un argomento altro, tra “dizionarismo” e poesia, religione e politica, lungo diversi itinerari intellettuali, talora con fresca versatilità, più spesso con turbata convivenza tra materie opposte se non ostili.
Il 21 marzo 1869, lo scienziato russo Alessandro Herzen,aveva, tenuto al Museo di Storia Naturale di Firenze una lectio sulla «Parentela tra l’uomo e le scimmie», di evidente consentaneità ideale e ideologica con l’appena pubblicata Origine della specie Charles Darwin, naturalista inglese padre dell’evoluzionismo.
Tommaseo, ritiratosi nel capoluogo toscano già da dieci anni, quasi cieco e ormai lontano dalle sue più militanti enunciazioni antiaustriache, barricadiere e insurrezionali, un po’ per difendere l’amico Raffaello Lambruschini, che si era polemicamente imbarcato contro le idee darwiniane, un po’ per esigenza sua personale di uomo legato ai princìpi della Chiesa, e quindi antipositivista di nome e di fatto, non solo replicò con un articolo sulla “Nazione”, ma a spron battuto pubblicò un fervido pamphlet dal titolo L’Uomo e la Scimmia.
Oggi che, a duecento anni dalla nascita, la figura di Darwin è di nuovo sotto processo tra evoluzionismo e creazionismo, il saggio del Tommaseo si riveste di una sua vivace attualità, sia pure passibile, a quasi un secolo e mezzo di distanza, di un qualche aggiustamento dialettico tra scienza e teologia. Sostanziato da dieci lettere variamente destinate (agli italiani, agli scienziati, alle bestie, ai filologi, ai governanti, alle donne, ai giovani, ecc.), il libello si scaglia contro l’incipiente «scimmiologia» con ironica ferocia e demolente vivisezione degli asserti darwiniani.
«Il giudicare che l’uomo viene dalla scimmia- scrive Tommaseo – perché certe forme son simili, è giudizio più grossolano di quei che sarebbe immaginare più prossimi all’ uomo certi animali di mole minore e di forma più differente, coi quali e l’esperienza e l’istinto e l’uso di tutte le lingue notano riscontri meno ingiuriosi all’umana dignità».
L’anello cercato tra la bestia e l’uomo, insomma, non solo non è ancora scoperto (sia ai suoi tempi che ai nostri, per la verità), ma la sua natura non è tale da essere fatta con i sensi. Vale a dire, con una operazione di stretto materialismo deterministico. II che, con buon sollievo del Tommaseo, lui stesso comunque non sempre impeccabile, né persuasivo, né scientifico, val bene per lui ma anche per la nostra riverita attualità.