No, i migranti non sono come gli ebrei sotto il nazismo

Giulio Meotti Newsletter

6 Dicembre 2021

Politici, giornali, Onu, vescovi, giudici. La menzogna serve a chiudere il dibattito. Ma ci pensa il cardinale Sarah: “Promuovere l’immigrazione un suicidio. Da cristiana, l’Europa diventerà islamica” 

di Giulio Meotti

Qual è il modo migliore per chiudere il dibattito sull’immigrazione di massa e le sue conseguenze in Europa? Manipolando ed estremizzando il linguaggio a livelli impossibili da discutere. Questo è ciò che sta accadendo nell’assillante confronto fra le ondate di migranti che arrivano in Europa e gli ebrei durante l’Olocausto. Il filosofo francese Alain Finkielkraut, i cui genitori sono sopravvissuti all’Olocausto, l’ha definita “shoaizzazione”.

Non importa che i migranti siriani assalgano violentemente chi porta i segni ebraici a Berlino e altrove in tutta Europa. Non importa che, una volta sdoganato il paragone, persino Erdogan si accosti agli ebrei sotto il nazismo.

Non importa neanche che Hitler abbia sterminato 6 milioni di ebrei europei e che oggi in Europa ci siano 87 milioni di migranti internazionali vivi e vegeti. E non importa che sette migranti su dieci, secondo le Nazioni Unite, non sono rifugiati ma migranti economici. In Italia quest’anno sono arrivati perlopiù tunisini.

Non fuggono da guerre, persecuzioni, odio. Ma come ha scritto Pascal Bruckner nella Tirannia della penitenza, il paragone ha una funzione precisa, “è così che diventiamo responsabili retroattivamente degli orrori commessi dai nostri antenati o dall’umanità intera”. Come ha detto Bruckner a Le Figaro, serve a lasciarci “disarmati di fronte alla barbarie”.

Anche Papa Francesco ha fatto suo il paragone a Lesbo, parlando dell’Europa dei “lager” e citando lo scrittore sopravvissuto alla Shoah, Elie Wiesel.

La “distorsione della Shoah” diventa tema di dibattito politico quando i No Vax usano la stella di David, ma non quando quasi ogni giorno si paragonano gli immigrati agli ebrei portati nei mattatoi nazisti. Lo si fa anche negli Stati Uniti, dove la sinistra woke paragonava i centri di detenzione per migranti dal Messico ai campi di concentramento (poi è arrivato Joe Biden, i centri sono rimasti ma i paragoni sono finiti).

Nessuno scandalo quando i musulmani francesi indossano la stella gialla alla marcia parigina contro l’“islamofobia” a Parigi. Ma va bene chiamare “fascista” Eric Zemmour, il saggista francese conservatore di origini ebraiche candidato alle presidenziali del prossimo anno.

Il “fascista ebreo Zemmour” andava interdetto dal tenere una conferenza a Saint-Denis, il dipartimento che ha perso l’80 per cento della sua popolazione ebraica in soli venti anni a causa dell’antisemitismo proveniente dai “nuovi ebrei” (i migranti).

Franco Berardi, autore di un’opera teatrale in Germania, “Auschwitz on the Beach”, ha accusato gli europei di allestire “campi di concentramento” sul suo territorio. “L’acqua salata ha sostituito lo Zyklon B” – un riferimento al gas usato dai nazisti nella Seconda guerra mondiale per sterminare gli ebrei. Dopo le proteste della comunità ebraica, lo spettacolo è stato annullato. 

Se i migranti sono come gli ebrei rastrellati dai nazisti, in questa storia ci sono soltanto “angeli” che li salvano e “demoni” che collaborano.

“L’adozione della parola ‘migranti’ come se fosse un’evidenza, quando invece dovevano essere utilizzate le parole ‘rifugiati’ o ‘clandestini’ perché appartengono al registro del politico, mentre la parola ‘migrante’ appartiene al registro dell’umanitario, implica un dovere di accoglienza e suggerisce, in sordina, un diritto di credito verso la Francia, zavorrata da un tale senso di colpa che potrebbe redimersi soltanto con l’apertura delle frontiere ai rifugiati di tutto il mondo”, ha spiegato al settimanale Valeurs Actuelles Georges Bensoussan, storico e saggista francese di vaglia e di origini ebraiche, già direttore editoriale del Mémorial de la Shoah di Parigi, trascinato in tribunale per aver denunciato l’antisemitismo islamico nelle banlieue.

L’attuale travisamento è stato formulato per la prima volta dal vice primo ministro svedese, Asa Romson. “Stiamo trasformando il Mediterraneo nella nuova Auschwitz”, ha detto.

Da allora, il paragone è entrato nel mainstream europeo e la morte di sei milioni di ebrei è stata trasformata in una piattaforma ideologica e in una banale parabola della sofferenza umana per giustificare l’apertura delle frontiere ai migranti.

Un tribunale italiano ha persino condannato il governo a risarcire il comune di Bari per “danni all’immagine della cittadina” causati dalla presenza di un centro di identificazione dei migranti.

“Pensate ad Auschwitz, un luogo che ricorda immediatamente il campo di concentramento dell’Olocausto e non certo la cittadina polacca nelle vicinanze”, ha detto il magistrato. Secondo la magistratura, un centro per migranti deturpa il territorio italiano proprio come il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.

Un titolo del quotidiano italiano La Repubblica: “Libia, meno migranti arrivano [in Europa] perché finiscono in un campo di concentramento…” Questi centri per migranti, afferma ancora il giornale, ricordano “le atrocità del XX secolo”. “Quello dei migranti è un Olocausto”, ha scritto Furio Colombo sul Fatto Quotidiano. E lo scrittore Alessandro Dal Lago paragona le misure di restrizione sulle ong a “quando la Svizzera chiuse le frontiere agli ebrei in fuga dal nazismo”. Moni Ovadia: “La Shoah di oggi? Il Mediterraneo”. Avvenire: “Profughi, l’Europa non ripeta l’errore che fece con la Shoah”.

Questi confronti semplicemente annullano la capacità di distinguere tra un omicidio di massa e la gestione dei flussi migratori. Non c’è niente da gestire, ci sono soltanto frontiere da abbattere. Famiglia Cristiana ha parlato dell'”Olocausto dei migranti nel Mar Mediterraneo” – come se gli europei li avessero annegati lì deliberatamente.

Una rivista online, Linkiesta, ha definito i centri per migranti “campi di concentramento dove mancano solo fornaci e Zyklon B”. Un noto sacerdote, padre Zanotelli, ha detto in tv: “Sui migranti, un giorno diranno di noi le stesse cose che diciamo noi dei nazisti e della Shoah”. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha scritto: “Centri per migranti? Solo campi di concentramento”.

Il Pime, centro missionario di Milano, scrive: “La Shoah e i profughi”. Anche i due ex presidenti del Parlamento italiano, Pietro Grasso e Laura Boldrini, hanno sponsorizzato un convegno intitolato “L’Europa, la Shoah, le stragi nel Mediterraneo”.

La bugia è ufficiale. L’ex cancelliere austriaco, Werner Faymann, ha paragonato le politiche di Viktor Orbán di impedire ai migranti di entrare in Ungheria ai nazisti che deportavano gli ebrei durante l’Olocausto.

Il Parlamento italiano ha istituito una “Giornata nazionale per ricordare le vittime dell’immigrazione” come la “Giornata della memoria delle vittime dell’Olocausto”. È un potente stratagemma ideologico con cui si sta giocando sporco con il futuro dell’Europa. Ma per fortuna, c’è ancora chi pensa con la propria testa e non accetta la dittatura delle emozioni.

Come il cardinale Robert Sarah, africano, che in una intervista a Boulevard Voltaire di questa settimana dichiara: “Non puoi ricevere tutti in Occidente, quindi promuovere l’immigrazione è un’idea sbagliata”.

E alla domanda su cosa rischiamo, Sarah risponde: “Puoi rinnegare le tue origini e le tue radici, ed è già iniziato con la Costituzione europea, ma è un suicidio. È come se un albero rinunciasse alle sue radici: questo albero muore. Un fiume, per quanto maestoso, se è tagliato fuori dalla sua sorgente, si prosciuga e scompare. Se promuoviamo la fine della cristianità stiamo promuovendo la nostra fine, il nostro suicidio. Se scompare la cristianità, cioè la civiltà cristiana, la cultura cristiana, la vita cristiana che sono essenziali in una società, è un suicidio. Se il cristianesimo scompare dalla sua cultura, un’altra cultura lo sostituirà. Sarà una cultura islamica…”. 

Ma forse a chi paragona l’immigrazione alla Shoah questo scenario piace.

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