«Io la coscienza morale del Paese? Chiedetelo agli altri». Bobbio si defila. Ma la sua storia è quella di un uomo per tutte le stagioni
di Antonio Socci
Professor Bobbio, lei è la coscienza morale del Paese? «Ma ce dice, non è vero» Non io, lo dicono gli altri, giornali, politici, intellettuali… «Forse una parte… Ma non è una domanda da fare a me. Provatelo a chiederlo in giro semmai, a intellettuali di diverse generazioni. Chiedete cosa pensano di me». Poi una pausa: «Interesserebbe anche a me saperlo» E dall’altro capo del filo il professore sorride. Fine della conversazione telefonica con Il Sabato.
Senatore a vita «ponte fra le culture» come l’ha definito Cossiga, Bobbio è succeduto a Croce sulla cattedra di papa laico. E cosa fa un papa laico? Esamina, boccia o promuove. Bobbio cominciò proprio facendo gli esami a Croce («separare il liberalismo da Croce»): ne ricevette male parole che – sembra – non siano mai state pubblicate. Nel 1954 poi passò a fare gli esami a Togliatti e i comunisti sono stati per 25 anni col fiato sospeso come scolaretti in attesa del voto.
Quando sembrava fosse arrivato il momento buono, nel ’75-’76, il professore si presentò in lasse con il vero prediletto, Bettino Craxi, cioè il nuovo corso socialista. Craxi era destinato ad essere il primo della classe, un Derossi devoto al maestro, ma presto si stufò delle elezioni e dei voti, si rivelò un Franti, mandò al diavolo il gran maestro (Philosophus purus, purus asinus, così gli disse) e fu espulso da scuola («l’infame sorrise»).
I comunisti sono ancora in attesa della promozione. Di recente Pasquale Serra, in un suo saggio su Democrazia e diritto ha avanzato il sospetto che il Pci si sia fatto gabbare per 40 anni da questo maestro della borghesia italiana . Il quale intanto ha partorito nuove scuole: «Sia il revisionismo liberale di Colletti che il revisionismo volontarista di Cacciari hanno a che fare con la “filosofia dell’intuito” di Norberto Bobbio», ha spiegato Serra.
Gli scolaretti più docili di questo nume del laicismo italiano sembrano essere i cattolici: «Grazie maestro, coscienza che ci illumina», così gli si rivolgeva di recente – durante una cerimonia ufficiale – il cattolico Mario Umberto Dianzani, rettore dell’ateneo torinese. I cattolici si trovarono Bobbio schierato sulle loro posizioni in occasione del referendum contro l’aborto, proprio dieci anni fa. Non fu una convergenza episodica, né senza ragioni: tanti domi del pensiero bobbiano sono stati fatti propri ad esempio dal pensiero di un filosofo, molto autorevole in campo ecclesiastico, come Rocco Bottiglione. C’è consonanza tra le rispettive riflessioni sul tema dei diritti umani e su quello del primato degli intellettuali in rapporto alla politica.
Il solo «antiBobbio» (la definizione è sua) fu Augusto Del Noce, peraltro già suo compagno di scuola a Torino. Nel loro ultimo drammatico carteggio Bobbio sconcertato chiede «(per te) fra dittatura e democrazia non c’è nessuna differenza?». Ma Del Noce non accetta di suonare il piffero al liberalismo occidentale e alla sua ideologia dei diritti umani: certo condanna le vecchie tirannie, ma chiede: «Non stiamo oggi passando dal genocidio fisico al genocidio morale?».
Soprattutto Del Noce sfida il primo tra i dogmi bobbiani: quello dell’antifascismo del Partito d’azione. Scrive infatti Del Noce del Pda: «Dipende da quella stessa cultura da cui il fascismo è derivato»; anzi, «gli azionisti, la cui influenza culturale nell’Italia degli ultimi trentacinqe anni fu decisiva, sono i trotzkisti del fascismo».
Del Noce ha dalla sua molti riscontri storici: basti ricordare Augusto Monti e il suo libro Realtà del Partito d’Azione, la nascita comune dei due movimenti nell’interventismo della piccola borghesia patriottica dal ’14 al ’19, dalla Voce di Prezzolino, la collaborazione di Dorso al Popolo d’Italia. La celebrazione da parte di Parri dell’uscita di Mussolini dal Partito socialista. Mussolini che ricambia definendolo «uomo di sicura fede nazionale». E soprattutto Gobetti allievo di Giovanni Gentile.
Anche Bobbio, di recente, ha ammesso: «All’inizio dei miei studi, fra il ’30 e il ’31, fui più gentiliano che crociano ». Poi segnala «il graduale distacco da un filofascismo familiare e giovanile». Nel ’35-’38 Bobbio è segnalato nel movimento «Giustizia e Libertà» a Perugina. E’ il germe del Partito d’azione, una creatura di quella borghesia che dopo aver inflitto al popolo italiano 60 anni di liberalismo, gli aveva importo vent’anni di fascismo e si preparava a sottometterlo con cinquanta di antifascismo.
La stessa vicenda biografica di Bobbio è esemplare di questa consanguineità. Bruno Gatta, giornalista e storico, ha di recente scoperto e pubblicato un documento che illumina il rapporto fra regime e questo antifascismo da accademia dei suoi rampolli. E’ una lettera del maresciallo De Bono a Mussolini. De Bono è un pezzo da novanta, un quadrunviro della rivoluzione fascista del ’22, coinvolto pure nel caso Matteotti del 1924.
Nel luglio 1938 scrive dunque al Duce: «L’ultima volta che venni da te, fra l’altro, ti dissi di un favore chiestomi dal generale Bobbio. Ricorderai che si tratta di un suo nipote, figlio del professor Bobbio, chirurgo primario a Torino, il quale non fu ammesso ad un concorso per professore di filosofia del diritto, pare, per ragioni politiche infondate (sic!) … mi hai detto esattamente così: “E’ iscritto al partito; ci penso io”. “Come?” ti ho chiesto. “Lo dico a Bottai”, mi hai detto».
A garantire per Bobbio era De Bono, un ex capo della polizia. Mussolini, che pima si era dimenticato della «raccomandazione» a favore di quel giovane professore, adesso, di nuovo sollecitato, agisce su Bottai. Tutto questo somiglia assai alla consuetudine italiana della raccomandazione. Mentre altri giovani studiosi subiscono l’espulsione o il licenziamento Bobbio, appena a 27 anni, partecipa a quel concorso, viene dichiarato vincitore e ottiene subito una cattedra all’Università di Siena.
Certo anche Bobbio in questi stessi mesi in cui vengono varate le leggi razziali (a sorpresa perché Mussolini era stato il grande sponsor internazionale dei progetti del movimento sionista) sente tutta l’odiosità del regime. C’è un ricordo del professore che una volta racconta di aver letto in un bar un avviso che proibiva l’accesso agli ebrei. «Adesso lo strappo», pensò lo studioso torinese. Poi si trattenne. E il cruccio orale che lo rose è diventato il suo tratto più apprezzato: «Quanti atti di viltà, di cosciente viltà, come questo abbiamo commesso allora?», si chiederà molti anni dopo.
In effetti proprio il 3 marzo del 1939 nel pieno delle persecuzioni antisemite e dell’alleanza con il nazismo, all’Università di Siena si assisteva ad una cerimonia dove risuonarono queste parole: «Io, professor Norberto Bobbio, giuro di essere fedele al Re, ai suoi reali successori e al Regime fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l’ufficio di insegnante e di adempiere tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria e al Regime fascista. Giuro che non appartengo, né apparterrò ad associazioni o partiti la cui attività non si concili con i doveri del mio ufficio».
Vi erano stati professori antifascisti che non avevano fatto giuramenti del genere e Guido De Ruggero, per esempio, non perdette per questo nemmeno la cattedra come invece accadde ad altri.
Il 20 novembre 1941, in piena guerra, il ministero dell’Educazione nazionale avvia le pratiche per concedere l’ordinariato all’intellettuale torinese appena trentenne. Una carriera fulminante. Bobbio intanto partecipava già alacremente alle prime riunioni di professori democratici convinti della loro superiorità morale (rispetto all’Italietta cattolica e contoriformista rea di aver ceduto al Duce) e pronti a succedere al regime fascista istaurato dai padri.
Di questo partito dei professori Bobbio ha tacciato un profilo che è anche un autoritratto: «Austeri, severi con se stessi, devoti al pubblico bene, fedeli ai propri ideali, intransigenti, umili e forti insieme». Su questa mitologia nasceva una stella che ancora oggi a 82 anni riempie il firmamento e a cui tutta l’Italia si inchina.