Nota storica sui rapporti fra ebrei e cristiani

GPII_sinagogaPer distinguere gli abusi compiuti dai cristiani dalla false accuse alla Chiesa

di Bruto Maria Bruti

(il cristiano non è superiore al pagano perché non commette peccati ma perché non li giustifica, si sforza di combatterli e ne chiede perdono)

La Chiesa chiede perdono

La Chiesa chiede perdono, nell’anno Santo del Giubileo del 2000, per le azioni di tanti suoi figli quando essi hanno esercitato forme di violenza nella correzione degli errori anche là dove, tali errori, non calpestavano i diritti degli altri né minacciavano la pace pubblica.

La Chiesa non entra nel merito delle vicende storiche ma si limita a dire che: «l’individuazione delle colpe del passato di cui fare ammenda implica anzitutto un corretto giudizio storico, che sia alla base anche della valutazione teologica. Ci si deve domandare: che cosa è precisamente avvenuto? Che cosa è stato propriamente detto e fatto? Solo quando a questi interrogativi sarà stata data una risposta adeguata, frutto di un RIGOROSO GIUDIZIO STORICO, ci si potrà anche chiedere se ciò che è avvenuto, che è stato detto o compiuto può essere interpretato come conforme o no al Vangelo, e, nel caso non lo fosse, se i figli della Chiesa che hanno agito così avrebbero potuto rendersene conto a partire dal contesto in cui operavano. Unicamente quando si perviene alla certezza morale che quanto è stato fatto contro il Vangelo da alcuni figli della Chiesa ed a suo nome avrebbe potuto essere compreso da essi come tale ed evitato, può aver significato per la Chiesa di oggi fare ammenda di colpe del passato» (1).

1) Le origini del conflitto fra ebrei e cristiani.

Nei primi secoli di storia della Chiesa furono i cristiani a subire persecuzioni da parte degli ebrei. Nel ’34 viene lapidato il diacono Stefano, presente Paolo, che approvava questa decisione (2). Paolo ricorda di aver dato il suo «voto» nei processi per mettere a morte i «santi» cioè i cristiani (3).

Nel ’62 vengono lapidati, a Gerusalemme, Giacomo il Minore e altri cristiani per ordine del sommo sacerdote Ananos e del sinedrio. Quando i governatori romani sono presenti, la persecuzione giudaica contro i cristiani viene impedita ed esplode regolarmente in quelle occasioni in cui è assente l’autorità romana: in questi casi i sommi sacerdoti responsabili vengono destituiti dall’autorità di Roma. I romani sono decisi a non cedere più come al tempo di Cristo alle pressioni del Sinedrio, essi non accettano più di considerare i cristiani come eversori dell’autorità politica.

L’accusa, infatti, costruita dai grandi sacerdoti contro Gesù era estremamente abile perché utilizzando l’ambiguità insita nelle attese messianiche – attese messianiche note ai romani e di cui essi avevano timore – combinava l ‘accusa di violazione della legge giudaica (quella di essersi fatto Figlio di Dio) con l’accusa politica (di essersi fatto re). I governatori e i procuratori romani dichiarano esplicitamente che la controversia fra i cristiani e i giudei è una controversia strettamente religiosa, senza implicazioni politiche e dichiarano che non vogliono essere strumentalizzati dalle autorità religiose ebraiche.

Quando la provincia della Giudea ritorna autonoma con Agrippa I, la persecuzione legale dei cristiani ritorna possibile: è di questo periodo la condanna a morte di Giacomo Maggiore e l’arresto di Pietro (4).

2) Le origini delle mitologie antigiudaiche

Con la dispersione degli ebrei nel mondo iniziano i difficili problemi di convivenza con le popolazioni locali dove essi si stabiliscono. Gli ebrei rappresentano, in molti casi, una sorta di corpo estraneo, un vero e proprio stato che non si integra nel compatto tessuto medioevale.

In questo contesto filtra il mito pagano antigiudaico dell’omicidio rituale diffuso nella città di Alessandria d’Egitto e riferito da Giuseppe Flavio nel testo Contra Apionem.

La struttura del mito dell’omicidio rituale è questa: in occasione della Pasqua ebraica viene ucciso un bambino per utilizzare il suo sangue a scopo rituale, o a scopi medicinali e magici. La prima accusa documentata di omicidio rituale, con le prime persecuzioni popolari, si ha a Fulda, in Germania, nel 1235.

L’imperatore Federico II dichiara ufficialmente falsa l’accusa. Nel 1247, a Valreas, nuova accusa di omicidio rituale: gli ebrei si appellano al Papa Innocenzo IV che condanna la falsa accusa in termini precisi. Alle soglie del trecento nuove accuse di omicidio rituale nei confronti del quartiere ebraico di Barcellona: anche qui viene riconosciuta l’innocenza degli ebrei. Le bolle papali continuano a condannare la falsa credenza nell’omicidio rituale attribuito agli ebrei ma questo non impedisce, purtroppo, il diffondersi di questo – mito – e non impedisce le conseguenti sollevazioni popolari le quali portano spesso alla espulsione degli ebrei per motivi di ordine pubblico. Papi come Innocenzo IV, Gregorio IX, Gregorio X, Martino V e Niccolò V si opposero espressamente alla falsa credenza nell’omicidio rituale.

Nel 1554 la terribile accusa di omicidio rituale fa la sua apparizione anche a Roma, centro della Cristianità, e proprio alla vigilia dell’avvento al soglio pontificio di Paolo IV, uomo privo di ogni moderazione, dal carattere rigido, irruento e incapace di dominarsi, ossessionato da uno zelo religioso violento, privo di compassione verso se stesso e gli altri: i suoi provvedimenti politici, esageratamente rigorosi e autoritari, fecero tanto soffrire sia gli ebrei che il popolo romano. Questo il fatto. Viene scoperto nel camposanto di Roma, durante la settimana santa, il cadavere crocifisso di un bambino. Il popolo aizzato da un ebreo convertito, Hananel da Foligno, accusa gli ebrei.

La folla invoca il massacro o l’espulsione degli ebrei. Il cardinale Alessandro Farnese scopre i veri colpevoli, due spagnoli che avevano agito per denaro e in odio agli ebrei. Il nuovo Papa, Paolo IV, punisce con la morte i colpevoli. L’ordine pubblico è salvo ma sarà, per gli ebrei, un ordine all’interno del ghetto e per i romani un ordine di tipo calvinista che giunge perfino a proibire ogni forma di divertimento lecito. Quando Paolo IV muore, nel 1559, il popolo romano si solleva e ne impedisce i funerali. Il palazzo dell’inquisizione viene invaso e dato alle fiamme, le insegne abbattute e la statua di Paolo IV frantumata e gettata nel Tevere. Tutta la città è in preda a forti subbugli. La salma stessa del pontefice deve essere sottratta al furore del popolo e viene nascosta nei sotterranei della basilica vaticana (5).

Nel 1840 il mito dell’omicidio rituale è ancora vivo. Un gruppo di ebrei viene accusato a Damasco dell’omicidio rituale di un frate e del suo domestico. Un recente studio dello storico israeliano Jonathan Frankel, su questo celebre caso giudiziario e che ebbe grande risonanza internazionale, mostra come le forze – liberali – e – progressiste -, dalla Francia di Luigi Filippo al giovane Karl Marx, considerano gli accusati pregiudizialmente colpevoli mentre è la diplomazia cattolica asburgica a esigere e ad ottenere finalmente il più scrupoloso rispetto dei diritti degli imputati. Frankel cita un discorso particolarmente violento e ottuso di Marx, discorso del 1847, il quale sostiene che anche i cristiani «macellavano esseri umani e consumavano vera carne e sangue umano nell’eucaristia» (6).

Con l’arrivo della peste in Europa nasce il secondo mito antigiudaico: sono gli ebrei che diffondono la malattia. Fin dalla primavera del 1348 il percorso della peste è accompagnato dalle sollevazioni popolari contro gli ebrei. La Chiesa, con Clemente VI, condanna con molta forza, nel luglio del 1348 e nell’ottobre dello stesso anno, questa falsa credenza. L’erudito Konrad di Magenberg nella sua opera del 1349-51, Das Buch der Natur, in cui affronta il problema della peste, dimostra che la mortalità per peste colpisce sia i cristiani che gli ebrei.

Nonostante le condanne e le spiegazioni, le violenze popolari contro gli ebrei continuano ad accompagnare la comparsa dell’epidemia. Le continue tensioni fra le popolazioni e gli ebrei portano alle espulsioni: in molti casi, a partire dal 1400, in Spagna e poi in Germania e a Venezia nel 1516, le espulsioni vengono sostituite con il ghetto. Il ghetto è un quartiere riservato agli ebrei dove sono obbligati ad abitare e dove i cancelli vengono chiusi dopo il tramonto.

I cancelli o le mura del ghetto rappresentano, per gli ebrei, anche una protezione della loro identità: chiudono il quartiere alle pressioni, agli influssi e alle suggestioni del modo esterno. L’istituzione del ghetto fu vista dagli ebrei anche come una difesa della loro autonomia e della loro identità. A Mantova e a Verona, per esempio, l’anniversario della creazione del ghetto era celebrato dagli ebrei con feste e preghiere di ringraziamento.

Nel 1215, per evitare illeciti contatti sessuali tra ebrei e cristiani, viene introdotto il segno distintivo per gli ebrei: provvedimento di origine mussulmana. Tale provvedimento fu largamente disatteso in Europa e applicato soprattutto in Francia e in Inghilterra.

3) Motivi concreti dell’antipatia verso gli ebrei

Un autentico ebreo errante, Salomon ibn Varga, che scrisse la prima opera di storia ebraica dai tempi di Giuseppe Flavio, stampata per la prima volta in Turchia nel 1554, dice che nessun uomo di buon senso odia gli ebrei ad eccezione del volgo: «per questo c’è una ragione: l’ebreo è arrogante e cerca sempre di dominare […]» (7).

Lo storico Paul Johnson dice che gli ebrei agirono da – lievito – nei movimenti che cercavano di distruggere il monopolio della Chiesa: il movimento albigese e quello hussita, il Rinascimento e la Riforma. Egli dice che essi furono intellettualmente sovversivi (8).

Il prestito a interesse, esercitato dagli ebrei e vietato in quel tempo ai cristiani, era un motivo di continua tensione con le popolazioni. Successive bolle papali stabilirono che l’interesse non doveva superare il 20 %: il che non era poco. In una economia essenzialmente agricola bastavano due annate cattive per mettere interi villaggi alla mercé dei prestatori di denaro.

Il prestito resta un’attività tipica degli ebrei. Secondo alcuni storici il divieto di possedere terreni avrebbe indotto gli ebrei a questo rapporto privilegiato con il denaro. La storica Anna Foa fa notare che l’allontanamento dalla terra fu imposto agli ebrei solo alla fine del medioevo e riguardava soltanto la proprietà del latifondo, non il possesso di piccoli appezzamenti di terreno. Il divieto del latifondo era volto ad impedire agli ebrei di possedere schiavi cristiani perché la coltivazione del latifondo prevedeva l’utilizzazione del lavoro servile.

4) Gli ebrei e la Chiesa

Scrive Anna Foa che gli ebrei, da secoli, erano abituati a vedere nel papato un protettore contro arbìtri e violenze e per questo si rivolgevano spesso al Papa per chiedere aiuto e protezione. Nel 1493 gli ebrei, espulsi dalla Spagna, venivano accolti a Roma dal Papa.

Alla fine del VI secolo gli ebrei di Marsiglia lamentarono che il Vescovo aveva tentato di convertirli con la forza: Papa Gregorio Magno riafferma la condanna della forza. Quando le sinagoghe palermitane e cagliaritane vengono trasformate in Chiese, Gregorio condanna la negazione della libertà religiosa e impone ai vescovi di risarcire gli ebrei della perdita subita.

Nel 1236 l’ebreo convertito Nicholas Donin indirizza a Papa Gregorio IX un memoriale contro il Talmud per quelle parti in cui esso contiene insulti e bestemmie contro Cristo. Il Papa impartiva l’ordine di confiscare i libri e di sottoporli ad esame: la confisca fu eseguita solo in Francia. L’intervento non era orientato alla soppressione del libro ma alla censura, cioè alla eliminazione delle parti considerate blasfeme.

Papa Innocenzo IV, invocato dagli ebrei, interveniva successivamente e scriveva a Luigi IX: «poiché i maestri ebrei del tuo regno ci hanno esposto […] che senza quel libro che in ebraico chiamano Talmud, non possono comprendere la Bibbia e le altre ordinanze della loro legge secondo la loro fede, noi che secondo il mandato divino siamo tenuti a tollerare che essi osservino questa loro legge, abbiamo ritenuto giusto rispondere loro che […] non vogliamo privarli ingiustamente dei loro libri» (9).

All’inizio del secolo XI si diffondono accuse di alto tradimento contro gli ebrei: corrono voci che essi complottino con i mussulmani. Anche la paura della fine del mondo nell’anno mille ha la sua parte: la figura dell’anticristo viene messa in relazione agli ebrei. Con la prima crociata si verifica una grande esplosione di antisemitismo. San Bernardo di Chiaravalle dichiara esplicitamente: «chiunque metterà le mani su un ebreo per ucciderlo farà un peccato tanto enorme come se oltraggiasse la persona stessa di Gesù» (10).

L’imperatore Barbarossa mediante un editto stabilisce che la mano di chi ferisce un ebreo deve essere tagliata e per l’uccisione degli ebrei viene stabilita la pena di morte.

Affinché gli ebrei non siano oppressi essi vengono elevati al rango di ciambellani imperiali. L’arcivescovo di Magonza dispone che la crociata di chi uccide un ebreo sia invalida, cioè che non abbia alcuna virtù espiatrice (11).

5) L’Inquisizione spagnola

Gli ebrei si erano rifugiati nella penisola iberica dopo la caduta dell’impero Romano. L’invasione dei visigoti, da poco convertiti al cristianesimo, che li costringevano a battesimi forzati li aveva spinti tra i mussulmani del sud. Gli ebrei rimasti con i visigoti avevano accettato il cristianesimo ma continuavano in segreto ad osservare le loro leggi: comincia a nascere il cosiddetto ebreo segreto più tardi chiamato marrano.

Nel 711 i mussulmani invasori della Spagna si mostrano più tolleranti dei visigoti. Gli ebrei devono pagare una tassa, portare un segno distintivo e a loro è vietato montare a cavallo e portare armi. Gli ebrei finiscono per avere in mano il commercio, le finanze e l’intera amministrazione. Quando la penisola fu riconquistata dai cristiani, gli ebrei, come già sotto i mussulmani, hanno cariche fondamentali: appaltatori generali delle imposte, funzionari, tesorieri di corte.

Gli ebrei concorrono direttamente alla costruzione delle strutture amministrative e finanziarie dello stato Spagnolo ricoprendo un ruolo che non ha paralleli negli altri stati moderni. Fino al XII secolo sono proprietari di terre e produttori di vino ma il prestito è l’attività fondamentale ed è anche quella che crea maggiore attrito con il mondo circostante.

Le comunità ebraiche aragonesi e castigliane godono di piena autonomia giudiziaria: hanno il diritto di esercitare pieni poteri giudiziari sia in materia civile che in materia criminale.

Nel 1391, con la morte improvvisa di Giovanni I di Castiglia, a Siviglia scoppiano tumulti popolari contro gli ebrei che si estendono a tutta la Castiglia e alla Catalogna. Le alte gerarchie ecclesiastiche e le autorità civili hanno una posizione di dura condanna e tentano di fermare le violenze popolari ma non riescono a mantenere l’ordine pubblico.

Molti responsabili delle violenze agli ebrei vengono arrestati e condannati all’impiccagione ma il popolo insorge liberando i prigionieri e attaccando le case dei patrizi. Scrive Anna Foa che gli eventi del 1391 sono stati interpretati come l’espressione di «[…] una crisi essenzialmente sociale ed economica, una lotta delle classi popolari contro quelle privilegiate […]. In sostanza, quella del 1391 sarebbe stata una delle numerose crisi rivoluzionarie – dal tumulto fiorentino dei Ciompi ai moti dei lollardi in Inghilterra – che nella seconda metà del trecento agitarono l’intera Europa» (12).

Questa situazione di guerra civile metteva in crisi un regno giovane come quello della Spagna dove su un totale di appena 6 milioni di abitanti c’erano almeno centomila ebrei e oltre trecentomila mussulmani: nessun altro paese aveva minoranze così consistenti.

Scrive Rino Cammilleri che «il giovane regno […] già all’indomani della sua faticosa unificazione rischiava di deflagrare in una guerra civile di tutti contro tutti» (13).

Le continue violenze popolari fanno molti morti fra gli ebrei sia di religione giudaica che «conversos», cioè convertiti al cattolicesimo. Non bisogna dimenticare i grandi santi spagnoli di quel periodo che sono di origine ebraica: Teresa d’Avila, Giovanni d’Avila, Giovanni di Dio, Ignazio di Loyola, Juan de la Cruz. A questo punto nasce l’inquisizione spagnola – sottratta all’autorità pontificia e strumento dell’autorità politica -, richiesta insistentemente al re da molti autorevoli conversos per smascherare i falsi convertiti in modo da evitare un bagno di sangue. I conversos dominano l’economia, la cultura e anche le cariche ecclesiastiche.

L’inquisizione, colpendo una piccola percentuale di falsi convertiti certifica che tutti gli altri conversos – che sono la maggioranza – sono veri spagnoli e veri cattolici che nessuno ha il diritto di attaccare con la violenza. Dal momento in cui nasce l’inquisizione i promotori dei tumulti anti-giudaici vengono colpiti e in pochi anni i tumulti spariscono. L’inquisizione viene affidata ad ebrei convertiti come Tomàs de Torquemada e il suo successore Diego Deza (14). ( Bruto Maria Bruti )

NOTE

(1) Commissione teologica internazionale, Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, «L’Osservatore Romano», Documenti, supplemento a «L’Osservatore Romano» n.10, 10 marzo 2000, p.5, n.4.

(2) Atti da 6,8 a 8,3.
(3) Atti 16,10.
(4) Cfr. Marta Sordi, I cristiani e l’impero romano, Jaca Book, Milano 1983, pp.13-28.
(5) Cfr. Paolo IV, pp.329-334, in Battista Mondin, Dizionario enciclopedico dei Papi, Città Nuova, Roma, 1999.
(6) Cfr. Massimo Introvigne, Il caso di Damasco: i cattolici, antisemitismo e politica negli anni 1840, Cristianità n.279-280, luglio-agosto 1998, p. 18.
(7) Cfr. Rino Cammilleri, Storia dell’Inquisizione, Newton, Roma 1997, p.51.
(8) Cfr. Rino Cammilleri, Ibidem, p.37.
(9) Cfr. Anna Foa, Ebrei in Europa dalla peste nera all’emancipazione, Laterza, Bari 1999, p.31.
(10) Cfr. AAVV, Gli ebrei nella cristianità, p.149, in 100 punti caldi della storia della Chiesa, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1986.
(11) Cfr. Joseph Lortz, Storia della Chiesa, vol. I, Paoline, Roma 1980, p. 628, 630-631.
(12) Anna Foa, op. cit., p. 94.
(13) Rino Cammilleri, op. cit., p.36.
(14) Cfr. Massimo Introvigne, L’Inquisizione fra miti e interpretazioni, intervista con lo storico Jean Dumont, Cristianità n.131, Piacenza, marzo 1986, pp.11-13.