di Giovanni Cantoni
Gli accadimenti che, con straordinaria velocità, connotano non solo il nostro secolo in genere, ma segnano in specie i decenni, gli anni, i mesi e le settimane in cui si suddivide il tempo che viviamo, giungendo a marcare anche i giorni e le ore, danno luogo a una tragica rappresentazione che, pur svolgendosi qua e là nel mondo, dai mezzi di comunicazione di mas-sa è talora avvicinata all’aristotelica unità di tempo e di luogo. E questa perfezione rappresentativa non è l’ultimo mezzo cui la Provvidenza pare ricorrere perché gli uomini intendano e, nella misura in cui è possibile collegialmente, si ravvedano.
Ma, mentre vengono alla luce cause negate; mentre non manca chi, impenitentemente, oppone fino all’ultimo la resistenza della propria cecità all’evidenza che cresce – animato da quella contraffazione del coraggio intellettuale che è l’impudenza – oppure, furbescamente, tenta di accreditare come alternativa possibile all’errore semplici varianti di esso; mentre l’assassino prova a far dimenticare il proprio delitto semplicemente tessendo un tardivo elogio funebre dell’assassinato; mentre il ladro, a incredibile restaurazione della giustizia, propone al derubato la cogestione del maltolto; mentre accade tutto questo, importa forse guardarsi dal cantare vittoria, dal momento che tutti i giochi sono ben lungi dall’esser fatti.
È in questione la storia, quella storia di cui l’uomo è protagonista, quindi non garantito dalle tentazioni, ma soltanto fornito, se la richiede e se ne serve, della grazia per vincerle. E questa storia è storia dell’uomo occidentale e cristiano, che ha incontrato la Verità che si è fatta carne e ne ha derivato esemplarità e operatività universali nel bene e nel male; e nel bene e nel male ha trascritto nella sua cultura – dalla religione alle arti minori passando attraverso la politica e l’economia, l’arte e il costume, la scienza e la tecnologia – le sue fedeltà e i suoi tradimenti, facendosene latore presso tutta l’umanità e in tutto il mondo. E il crollo delle ideologie e delle realtà sociali che esse hanno animato altro non è che il crollo delle idolatrie intellettuali cui l’uomo occidentale e cristiano ha elevato e ha fatto elevare templi e ha tributato e ha fatto tributare onori divini.
Se è vero che non ci si deve affannare per il domani, “perché il domani avrà già le sue inquietudini” e che “a ciascun giorno basta la sua pena” (1), ormai dell’oggi ci si cura prestando la dovuta attenzione a un pensiero formulato quasi vent’anni fa da Papa Paolo VI nella lettera apostolica Octogesima adveniens..
La notazione pontificia suona così:“Se oggi si è potuto parlare di regresso delle ideologie, ciò può indicare che è venuto un tempo favorevole ad una apertura verso la trascendenza concreta del cristianesimo; ma può indicare anche uno slittamento più accentuato verso un nuovo positivismo: la tecnica generalizzata come forma dominante di attività, come modo assorbente di esistere e magari come linguaggio, senza che la questione del suo significato sia realmente posta” (2).
Mentre più che avvisaglie indicano l’eventualità che l’impero socialcomunista imploda, se già non si può affermare puramente e semplicemente che sta crollando su sé stesso, un così enorme crollo ideologico pare semplicemente destinato a gettare diffidenza su ogni idea e su ogni ideale, senza esame di sorta della loro qualità o del loro uso eventualmente idolatrico, lasciando libero il campo all’ultimo travestimento dell’ideologia, quello tecnocratico, e senza che venga posta la questione del significato della tecnica stessa, che si pretende connotata da caratteri di assoluta oggettività.
A proposito del nodo gordiano cui è evidentemente omologabile la situazione politica che si è venuta a creare in Polonia, non è forse emersa, come soluzione possibile e radicale, l’eventualità di un “governo di tecnici”?
Note:
(1) Mt. 6, 34.