“Il sovrano moderno che elegge a contraenti di un matrimonio due soggetti dello stesso sesso recita drammaticamente la parte di un postmoderno Caligola…”
di Pietro De Marco
Quale competenza ha il sovrano (e la cultura giuridica che lo sostiene) di fronte a ciò che può essere ancora chiamato, fondatamente, diritto naturale? E quale conoscenza? Gli argomenti che il legislatore ha addotto nei due casi confermano, certo, quanto esso sia veicolo di una hybris che neppure riesce a intravedere. Ma nei testi di legge appare dell’altro, emerge cioè l’estrema povertà, anzi il deterioramento degli a-priori cui si fa ricorso.
Per la cultura del legislatore l’istituto matrimoniale non esiste più, anzitutto concettualmente. Il testo approvato dalle Cortes spagnole esordisce affermando che il matrimonio è una manifestazione importante, “señalada”, della “relazione e convivenza di coppia fondata sull’affetto”: definizione infondata, con cui non si supererebbe un esame di sociologia o di antropologia del primo anno.
Ma tutto il dispositivo deriva da lì: ogni altra relazione fondata sull’affetto può pretendere sanzione matrimoniale (e ci attendiamo l’apertura di discussione su quelle incestuose, etero e omosessuali), svuotando le risonanti affermazioni sul valore sociale del matrimonio. Insomma una eminente promozione di “mala educación”.
Il testo canadese (Bill C-38. The Civil Marriage Act), preso atto dell’evoluzione della giurisprudenza delle corti, giunge ad affermare che si dovrà valutare non la liceità delle “same-sex couples”, ma se le “opposite-sex couples” stesse non siano ormai un modello di discriminazione.
Questo aberrante ribaltamento della sollecitudine del giudice e del legislatore adotta una definizione di matrimonio come “unione volontaria per la vita di due persone”: formula che non indica un vincolo oggettivo ma il contenuto contingente delle volontà dei contraenti.
Né consola che il Civil Marriage Act si preoccupi, secondo lo spirito del multiculturalismo canadese, di non ferire le comunità confessionali imponendo loro la stessa concezione di matrimonio e i conseguenti obblighi nella sua celebrazione.
Due rilievi. Sui princìpi, anzitutto. Abbiamo l’ennesima verifica che i fondamenti individualistico-utilitaristici della dottrina corrente in materia di diritti soggettivi e diritti di libertà trasformano questi ultimi in agenti di dissoluzione degli istituti della comunità civile. Giurisprudenza e prassi giurisdizionale operano in una condizione tecnica e teorica di cecità.
Alla dottrina dei diritti soggettivi manca oggi sapere storico e antropologico, sostituito dall’ideologia del promuovere e proteggere ogni richiesta di emancipazione da vincoli. Non sapendo più che le istituzioni esonerano l’uomo dalla dipendenza dall’immediato (impulso e desiderio, piacere e dolore) e ne realizzano la libertà, tale ideologia opera con effetti ancora peggiori di una macchina edonistica. La promozione di diritti individuali incondizionati contro le istituzioni fondamentali è promozione di un asservimento irrazionale della comunità all’arbitrario di ognuno.
Dovremo ripetere con un grande critico delle derive anti-istituzionali, Arnold Gehlen, che ciò che smantella tradizioni, forme, ordinamenti primitivizza l’uomo, lo rigetta nella “instabilità della vita istintuale”? È propriamente questo il processo che spinge l’uomo-cultura dalla condizione di padrone della tecnica a servo, poiché la stessa tecnica, che offre con successo strumenti al suo arbitrio, proprio perché efficace gli indicherà in misura crescente gli obiettivi e i beni, sempre nuovi, e lo obbligherà a questi. Ed è questo il contro-natura (umana).
Il secondo rilievo è sugli atti normativi. In tutta evidenza dissolvere l’istituto matrimoniale, perché ogni coppia possa accedervi, è un agire contraddittorio, tecnicamente insensato. Non sussiste un diritto soggettivo incondizionato di chiunque ad accedere a un rapporto definito o a un istituto dato, se non ne abbia la capacità. E nessun legislatore è autorizzato ad attribuire tale capacità a un soggetto, pregiudicando la natura dell’istituto stesso.
Giustamente il topos dell’imperatore Caligola, che nominò senatore il suo cavallo, è ritenuto dalla filosofia politica più che un aneddoto: l’assunto “all’imperatore tutto è permesso” rappresenta l’arbitrio sovrano, la tirannide, nel suo essere anzitutto contro ragione. Il sovrano moderno che elegge a contraenti di un matrimonio due soggetti dello stesso sesso recita drammaticamente la parte di un postmoderno Caligola.
Le disposizioni di legge dei due parlamenti spagnolo e canadese, in quanto vulnerano un istituto di diritto naturale, ovvero costitutivamente umano (che appartiene all’uomo per natura sua), rischiano gravemente d’essere illegittime, ed anzi invalide, inesistenti, come mai promulgate, poiché la sostanza dell’istituto matrimoniale non rientra nell’ambito della competenza sovrana. Se il sovrano se la attribuisce, la sua volontà deve essere dichiarata ingiusta. Se la impone, è tirannide.