Alcune note sul “magistero” episcopale del servo di Dio
mons. Antonio (“don Tonino”) Bello (1935-1993).
Un contributo critico
di Padre Paolo M. Siano, FI
L’A. del presente saggio esterna la sua meraviglia per la causa di beatificazione di Mons. Antonio Bello, avviata pochi anni fa. L’atteggiamento dell’A. risulta sempre più comprensibile e condivisibile alla luce di vari scritti di Mons. Bello. Fino all’ultima sua conferenza tenuta ad Assisi nell’agosto 1992, il presule pugliese ha manifestato idee molto discutibili. In sintesi ecco i punti non condivisibili del pensiero di Mons. Bello: iper-conciliarìsmo, progressismo e antropologismo teologico, linguaggio secolarìsta, filo-socialismo, pacifismo assoluto, disistima verso il Sacro e verso i Dogmi, mariologia terra-terra, sensualità, femminismo. L’A. auspica che un tale Pastore non venga presentato come modello per coloro che devono essere anzitutto maestri e custodi della Fede Cattolica.
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Quest’anno 2012 è caduto il 50 anniversario della Professione di Terziario Francescano Cappuccino di don Tonino Bello. Infatti, il 1 gennaio 1962, don Tonino (ordinato sacerdote nel 1957) ha emesso la Professione del Terz’Ordine Francescano (TOF) (1). Il prossimo 20 aprile 2013 sarà il 20 anniversario della morte di mons. (“don”) Antonio (“Tonino”) Bello. Al riguardo è stato preparato un progetto didattico per far conoscere alle scuole don Tonino quale «testimone della fede» (2).
Alla luce di questi due eventi, e dietro raccomandazione di amici, ho deciso di inoltrarmi nella lettura degli Scritti del Servo di Dio. Sì, attualmente mons. Bello — o più popolarmente “don Tonino” Bello – è Servo di Dìo (3). Nel 2007 la Congregazione per la Cause dei Santi, dietro richiesta della Conferenza Episcopale Pugliese, ha dato il nulla-osta per la Causa di Beatificazione, avviata nell’aprile 2008 (4). Nel 2010 è iniziato il Processo di Beatificazione. La prima sessione pubblica del Processo si è svolta alla presenza di autorità religiose e civili nella cattedrale di Molfetta, sotto la presidenza di mons. Angelo Amato (poi cardinale), Prefetto della suddetta Congregazione (5).
Mons. (o più familiarmente “don”) Tonino Bello, Beato e poi Santo? Questo è l’auspicio coltivato in vari ambienti della Chiesa italiana, soprattutto da quelli “all’avanguardia” in materia di Teologia, Morale e Liturgia e sensibilissimi verso problematiche socio-politico-economiche… Don Tonino Bello, un santo “nuovo” per una Chiesa “nuova’!
Dopo aver scandagliato vari scritti e discorsi di don Tonino, qui riportati, non posso fare a meno di esprimere una profonda amarezza nel constatare l’entusiasmo acritico di clero e laici verso il defunto Vescovo di Molfetta. Quantunque fosse una persona umanamente molto cordiale e sensibile ed un affascinante oratore (“amico” battagliero di emarginati, sfrattati, disagiati, alcolizzati, drogati, ladri, ecc., «gli ultimi» come lui li chiamava), tuttavia certi suoi scritti, discorsi, omelie e atteggiamenti rivelano una mentalità troppo mondana, troppo concentrata sul politico, sull'”orizzontale”… una mentalità poco attenta e poco sensibile al sacro, al Dogma…
Mons. Antonio Bello è l’esponente più popolare dì quella cultura teologica e morale post-conciliare (progressista) che ha prodotto in vari ambienti di chiesa (anche italiana) i seguenti frutti:
1) una “pastorale” nominalmente cristiana ma effettivamente “orizzontale” e secolare, concentrata (esclusivamente o quasi) sulle rivendicazioni sociali, favorendo, di fatto, un certo oblio (da parte di fedeli) verso i Novissimi, come pure la disistima (disprezzo) verso i Dogmi della Fede e verso la esigente ascetica e spiritualità cristiana vissuta dai veri Santi;
2) una liturgia “pop” (ostile al Canto Gregoriano), fantasiosa ed anti-rubrìcale, la quale, dietro il pretesto di evitare il rubricismo, si è slegata il più possibile sia dal passato “pre-conciliare”, sia dalle rubriche del Messale di Paolo VI… So, per esperienza diretta, che almeno dagli anni ’90 tra i sacerdoti è invalsa l’abitudine di eliminare l’amitto sacerdotale grazie a un comodo camice con chiusura a “zip”. Poi si è fatto a meno anche del cingolo e ora – l’ho scoperto da poco – vari sacerdoti celebrano la Santa Messa senza usare la stola (solo casula sul camice). Chissà quale altro “indumento” salterà via nei prossimi anni…
3) una spiritualità (vita intcriore e di preghiera) buonista, insignificante e poco incisiva;
4) un impegno politico praticamente “a sinistra” ed una critica serrata e “spietata” alle Istituzioni, esclusivamente in fatto di temi sodali ed economici (nonviolenza, droga, criminalità, lavoro, disoccupazione, casa, tasse…) e mai sui problemi etici quali l’aborto, il divorzio, l’eutanasia, ecc.
Teniamo bene a mente che don Tonino (ordinato sacerdote nel 1957) ha avuto alle spalle una formazione sacerdotale “all’antica”, “pre-conciliare”, ossia fatta di manualistica scolastica (tomista) chiara e netta nonché di ascetica senza mezze misure… Dopo il Vaticano II, don Tonino si è aperto al vento nuovo…
Ma i giovani seminaristi e sacerdoti che ricevono sin dall’inizio una formazione “dontoninobellista” hanno radici fragili, sia teologiche che morali, ascetiche e spirituali… Non resta loro che un modo secolare e sentimentale di concepire la Fede e il Sacerdozio cattolico, con risultati disastrosi per se stessi e per le anime…
Precisazioni ermeneutiche
Già prevedo che tra le obiezioni che mi muoveranno i “fans” del Servo di Dio, ci saranno le seguenti:
1) Don Tonino usa spesso un linguaggio metaforico, simbolico, profetico, “provocante”, ma solo per stimolare nuove mentalità, riflessione e azione ecclesiale…;
2) Le “sbavature” linguistiche, o finanche gli errori (“dottrinali” o “di forma”), del Servo di Dio non pregiudicano la sua santità, né la sua incisività pastorale…
A queste due possibili obiezioni rispondo:
1) L’errore filosofico del nominalismo scinde il linguaggio dal contenuto ed apre le porte non solo alle menzogne (dalle bugie “diplomatiche” e “giornalistiche” di ambienti colti, alle semplici bugie “di scusa” della povera gente), ma anche ad errori filosofici, nonché errori di Fede e di Morale. Ogni parola, ogni tipo di linguaggio ha dei contenuti che non possiamo scindere o cambiare a nostro piacimento. Separare radicalmente parola e contenuto è indice di relativismo e soggettivismo, che dal piano linguistico scivola facilmente a quello teorico e pratico. Con approccio sanamente realista dovrebbe essere facile (se non si vuol chiudere gli occhi) riscontrare nel pensiero, nei discorsi e negli scritti del Servo di Dio alcuni contenuti assai discutibili e da rigettare. Più che attaccare singoli Dogmi, don Tonino manifesta una mentalità “nuova” per una chiesa “nuova” dove i Dogmi sono praticamente superflui… Il suo linguaggio “moderno” — come vedremo — non fa rilucere i Dogmi e il sacro, ma affossa il Mistero e il Soprannaturale nell’umano e nel mondano…
2) La seconda tesi sopra accennata suppone di fatto la stessa mentalità che giustifica quel grave errore di Teologia morale denominato opzione fondamentale e che ebbe grandissima diffusione subito dopo il Concilio Vaticano II, raggiungendo “picchi” di ampio gradimento intra-ecclesiale tra gli anni ’70 e gli anni ’90 del secolo XX. Poi, finalmente, quell’errore fu denunciato da Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Ventati splendor, 67-70 (1993).
Detto in parole semplici, secondo quei teologi deviati l’opzione fondamentale che si fa per Dio non viene cambiata se non da un ‘opzione direttamente contraria. Il peccato è mortale solo quando muta radicalmente e direttamente tale opzione fondamentale: da con-Dio a contro-Dio… Per cui se uno commette peccati ritenuti tradizionalmente mortali, ma non intende mutare direttamente la sua opzione fondamentale pro-Deo, allora costui può sentirsi ancora in comunione con Dio, dunque in grafia di Dio…
È facile notare che tale errore nasconde insomma volontarismo soggettivista di impronta luterana.
Ora, chi ragiona secondo l’ “opzione fondamentale”, afferma che don Tonino ha fatto la sua opzione fondamentale per Dio, per Cristo, per la Chiesa, e che i suoi eventuali errori linguistici o dottrinali non l’hanno mutata. Dunque, merita la Beatificazione e Canonizzazione…
Un tale ragionamento ripugna sia alla ragione che alla Fede.
È ovvio che mons. Bello ha detto anche cose vere, giuste e cattoliche (es.: l’esistenza di Dio, di Gesù, la centralità dell’Eucaristia nella vita cristiana, la necessità della preghiera, il dover essere contemplativi-attivi riscoprire il ruolo della Madonna nella nostra vita inferiore, ecc…), tuttavia ciò non è sufficiente a “sanare” o a far “dimenticare” le tesi eterodosse e strambe da lui enunciate. Un Vescovo dev’essere maestro integro della Fede e della Morale, uomo di Dio amante del Culto e della preghiera. Solo a tali condizioni potrà essere autenticamente incisivo nel campo pastorale.
Ora, l’ “orizzonte” culturale, ermeneutico e spirituale in cui don Tonino pensa, parla e agisce da Pastore (ed in cui egli colloca le suddette verità della Fede e della spiritualità cristiana) è in realtà l’orizzonte di una svolta antropologica tale che “svuota” e “svaluta” dal di dentro tutto ciò che è spirituale e soprannaturale…
Nel corso del mio lavoro chiamerò mons. Bello anche “don Tonino” oppure il “Presule salentino”.
Passo ora a compendiare e ad illustrare gli elementi più discutibili del “magistero” episcopale di mons. Bello secondo quanto contenuto nei suoi discorsi (interviste, conferenze) e scritti (omelie, libri, lettere). Si tratta di elementi fondamentali e portanti della sua figura e della sua opera di Vescovo.
I brani che citerò saranno intercalati dai miei commenti mirati a favorire una riflessione critica ed approfondita sulla presunta “beatificabilità” del Presule salentino. Ritengo che il numero e la qualità delle fonti qui citate, anche se forse non esauriscono tutta la produzione letteraria e discorsiva di mons. Bello, tuttavia sono più che sufficienti a mostrare l’ “essenza” del suo pensiero.
1. DON TONINO E I SUOI “MAESTRI”
(TRA IPER-CONCILIARISMO E PROGRESSISMO)
I maestri, ovvero i punti di riferimento culturale, teologico e pastorale di mons. Bello sono: mons. «don Helder Càmara, l’apostolo brasiliano» (6), padre Karl Rahner (7), mons. Bruno Forte (8), padre Teilhard De Chardin (9), il card. Giacomo Lercaro, mons. Luigi Bettazzi (10), il card. Michele Pellegrino (11), padre Ernesto Calducci (12), il card. Carlo M. Martini (13), padre David M. Turoldo (14).
Don Tonino condivide il conciliarismo e l'”avanguardismo” dei suoi “maestri”. In una lettera ad un sacerdote (1983), mons. Bello ricorda «i tempi profetici di Papa Giovanni. I fremiti del Concilio. Le difficoltà e le lentezze del postconcilio (15).
Lentezze del post-Concilió? Di solito questa locuzione è usata da coloro che hanno il “prurito delle novità”…
In un articolo del 1986, mons. Bello ricorda mons. Michele Mincuzzi (1913-1997), vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca dal 1974 al 1981 (la diocesi in cui è cresciuto don Tonino). A proposito di quei sette anni, mons. Bello mostra una sorta delirio iper-conciliarista e progressista, allorché scrive: «Sono stati gli anni in cui, ad uno ad uno, abbiamo appreso a demolire certi ìdoli che già il Concilio ci aveva fortemente invitati ad abbattere: la fierezza della carne e del sangue, il prestigio delle appartenenze, la sicurezza del linguaggio, il fascino rassicurante del passato, l’estraneità alle tribolazioni della ricerca umana, le rigide chiarezze concettuali» (16)
2. SECOLARISMO LINGUISTICO E TEOLOGICO
Mons. Bello afferma che lo slogan di una giornata mondiale missionaria era il seguente: Perché al mondo non manchi il Vangelo. Il Presule salentino inverte lo slogan: Perché al Vangelo non manchi il mondo… Secondo don Tonino non bisogna «comunicare con l’uomo contemporaneo mediante linguaggi superati» (ossia troppo religiosi, “sacri”, “tradizionali”…), ma bisogna «entrare in contatto tecnico con l'”ateismo linguistico” della sua cultura» (17).
Eppure don Tonino è l’esempio lampante che cambiando linguaggio si finisce, prima o poi, con l’adottare i contenuti del nuovo linguaggio… Non esiste un linguaggio “neutrale”, ovvero che prescinda del tutto dai suoi contenuti (i nominalisti/relativisti separano il linguaggio dalla realtà oggettiva)… Inoltre, non tutti i “linguaggi” sono idonei a veicolare le Verità della Fede. Pertanto, spiegare la Dottrina della Fede secondo le categorie di un linguaggio secolare (“ateo”)produce un impoverimento, uno svuotamento della Dottrina… Il “sacro” viene profanato ed alterato… Mons. Bello è un esempio di ciò.
In un’altra occasione, don Tonino ribadisce che per essere missionari dobbiamo adattare il nostro linguaggio catechetico «al vocabolario del mondo» per attuare, così, la «fedeltà all’ uomo» (18)
In un articolo del 1989, mons. Bello ribadisce la necessità pastorale e missionaria de «l’adattamento al vocabolario del mondo»(19) Ancora in preda ad una incontenibile “passione” di novità e di eversione linguistica, così dice il Presule salentino in un’omelia del 9 aprile 1989: «La parrocchia, perciò, deve essere luogo pericoloso dove si fa “memoria eversiva” della Parola di Dio» (20).
Quando parla di Dio, mons. Bello mostra grande antipatia per la Teologia “tradizionale”. Non ha fiducia nelle argomentazioni “classiche” della Teologia, dell’Apologetica e della ragione… Don Tonino ha invece fiducia nel sentimento, nelle “passioni”, nel sociale, nell’esistenziale… cioè in se stesso e nel suo modo di sentire. Una tale catechesi è fuorviante e risente dell’influsso del cosiddetto “pensiero debole”, anti-razionale e relativista.
Ecco cosa dice il Presule salentino nel 1992, con il solito linguaggio metaforico e “trasgressivo”, demolitore del “passato”: «Un fatto è certo: gli articolati sillogismi dei manuali, impressionanti per rigore scientifico e per lucidità filosofica, ti muoiono sulle labbra ogni volta che devi tentare un approccio che non voglia rimanere sospeso sulle trame della sterile accademia. Le solide costruzioni del pensiero, in cima alle quali, gradino dopo gradino, la ragione consolidava un tempo l’immagine di Dio, rischiano di ruzzolare alla prima argomentazione di segno contrario. Le stesse trionfanti conclusioni, a cui talvolta è dato di giungere senza che si siano frapposti ostacoli dialettici, non scaldano più che tanto gli interlocutori» (21).
Ecco un’altra perla della “teologia” di mons. Bello: «Qualcuno ha scritto che la meraviglia è la base dell’adorazione. È proprio vero. Anzi, l’empietà più grande non è tanto la bestemmia o il sacrilegio, la profanatone di un tempio o la dissacratone di un calice, ma la mancanza di stupore» (22).
Ancora in quel discorso del 1992, mons. Bello ritiene diseducativo presentare Dio come Uno che ti chiede il rendiconto finale. Dunque pare che mons. Bello non dia grande importanza al Giudizio di Dio… Paradiso assicurato per tutti? Inferno vuoto? Insomma pare che don Tonino non condivida molto l’ottica dei Santi (“pre-conciliari”!!!)…
Ecco l’ennesimo discorso superficiale del Servo di Dio: «[Dio] Non è il grande magazziniere dei nostri nomi. E neppure l’archivista supremo che per ogni uomo allestisce un “dossier” riservato. Non è l’infallibile memorizzatore di fatti e misfatti, che poi, nel giorno del giudizio, egli userà come prove di merito o come capi d’imputatone nei nostri confronti. Sarebbe veramente banale ridurre Dio al ruolo di controllare dei nostri “sgarri“, o al rango di banchiere dei nostri titoli di credito. Un Dio siffatto, che vesta l’abito del funzionario compiaciuto o che indossi la divisa del gendarme, è quanto di più allucinante si possa pensare» (23).
È davvero impressionante, la maestria con cui don Tonino banalizza (e praticamente nega) la verità di Dio Giudice. Don Tonino immagina un Dio a sua propria immagine e somiglianza e così pensa di tranquillizzare gli scrupolosi e di avvicinare gli animi a Dio… Ciò è semplicemente fuorviante e anti-pastorale. Al contrario, Gesù parla del Giudizio divino in termini che non hanno nulla a che fare con la “maliziosa” superficialità di don Tonino, il quale ha ben studiato la Teologia, ma si è lasciato prendere dallo spirito del mondo…
Poco oltre (ancora in quel discorso del ’92), mons. Bello afferma che la gloria di Dio, il suo nome JHVH, «straripa da tutte le parti». Dio è dappertutto: è nei luoghi sacri e positivi (santuari, monasteri, Caritas…) ma è anche nei luoghi dove si praticano «le orge della dissolutezza», i loschi affari finanziari, gli spettacoli osceni, la «stregoneria», le «bestemmie», la «violenza» e la «morte»… Don Tonino cita al riguardo i versetti del Salmo 139: «Se salgo in ciclo là tu sei; / se scendo negli inferi eccoti»… (24). Don Tonino aggiunge che la terra non è oggetto di spartizione tra il Bene e il Male, «non ci sono paletti catastali»… Dio è Santo, penetra dappertutto… (25).
Non discuto affatto la verità dell’Onnipresenza di Dio. Il problema è che tale dottrina nel contesto delle idee “dontoninobelliste” summenzionate, acquista una tinta spettrale.
Ricapitoliamo. Dapprima don Tonino dice che Dio non è il gendarme che scruta tutti e poi ti chiede il rendiconto al Giudizio finale… Poi dice che Dio è dappertutto anche negli ambienti del vizio… Con scaltrezza don Tonino prende un versetto biblico dove si dice che Dio è lassù nei cieli e negli inferi… Ci perdonino i “dontoninobellisti”, ma l’idea che danno questi brani di mons. Bello è che tutto sommato Cielo e inferi, bene e male, buoni e cattivi sono… la stessa cosa! In effetti in quel discorso (e in tutti gli altri), don Tonino non parla mai dell’inferno eterno, della dannazione eterna… Dunque buoni e cattivi, bene e male, virtù e vizio, cielo e inferi… Dio è tutto e dappertutto… Don Tonino sotto sotto (forse senza volerlo) ci offre una sorta di “panteismo” sui generis, affine a certe credenze esoteriche che predicano l’unione di tutti gli opposti…
La seguente citazione è un esempio chiarissimo di svolta antropologica e antropocentrista di don Tonino, il quale ha tradotto in termini popolari la teologia progressista di Karl Rahner: «Quando avrò tempo, quando andrò in pensione, mi piacerebbe rimodellare in termini umani tutte quelle preghiere che noi facciamo in chiesa. l’atto di fede, l’atto di dolore, di speranza, di carità… Mi Dio, credo fermamente… Mio Dio, mi pento con tutto il cuore… Mio Dio, ti amo… Mi piacerebbe formulare atti di fede nell’uomo che Dio ama; atti di amore nell’uomo. Atti di speranza nell’uomo. Perché Dio gioca tutto sull’uomo. Anche noi dovremmo…» (26).
Credere nell’uomo? Sperare nell’uomo? Amare l’uomo?… Ora capisco perché Nichi Vendola (omosessuale notorio) ha tanto “incensato” don Tonino Bello… Costui infatti predicava l’amore al mondo e all’uomo… Se non sbaglio, la storia insegna che alle impennate umanistiche sull’uomo corrispondono — guarda caso — anche impennate “omosessualiste”… [ad esempio: al tempo dell’umanesimo-Rinascimento fiorentino del ‘400; oppure si pensi al recente umanesimo clericale (filosofico-teologico-pastorale) post-conciliare e agli scandali di clero pedo filo ed omosessuale].
Poco oltre, don Tonino scrive: «Come solleviamo il turibolo intorno all’altare che è simbolo di Cristo, così dovremmo rivolgere il turibolo verso l’uomo. Non gesti della piaggeria, ma gesti di onore e di gloria. Dio ha posto sul capo dell’uomo una corona di gloria e di onore. Il Signore si toglie la corona di gloria e di onore e la pone sul capo dell’uomo» (27).
A proposito di verginità e celibato sacerdotale per il Regno dei cieli. In un articolo del 1983 don Tonino cerca di difendere questi valori, però fa affiorare il suo orgoglio antropocentrico, la sua eccessiva fiducia nelle sue doti di uomo… Egli racconta che quando era parroco qualcuno gli diceva di comprendere perché i preti non possono sposarsi: infatti i preti sposati come potrebbero seguire la comunità e badare alla propria famiglia, «magari con una moglie possessiva e con dei figli scapestrati»?
Al che, mons. Bello commenta: «Quando sentivo valutazioni del genere, pur condividendone in fondo i contenuti pratici, provavo dei rifiuti viscerali. Prima di tutto perché si insinuavano dei dubbi circa la mia capacità di scegliere una moglie che non fosse possessiva, o di educare dei figli che non fossero scavezzacolli. In secondo luogo, perché un ragionamento di quel tipo gettava un discredito notevole sulla valenza pastorale del matrimonio, quasi che un uomo sposato potesse essere solo un annunciatore part-time del Regno di Dio» (28).
È bene osservare due cose:
1) di fatto, i coniugati sono vincolati alla loro famiglia; invece chi non è sposato è più libero nelle cose del Signore; una tale considerazione non è un «calcolo faccendiero» (come dice don Tonino) ma è la constatazione della realtà;
2) il ragionamento di don Tonino, sulla valenza pastorale full-tìme del matrimonio, potrebbe indurre a giustificare in qualche modo (pastoralmente?), prima o poi, il sacerdozio uxorato…
Nello schema sommario del programma pastorale per l’anno 1984, mons. Bello condivide la definizione di «presbitero» illustrata da Karl Rahner che egli definisce «grande teologo contemporaneo». Secondo Rahner, il presbitero è essenzialmente l’uomo ordinato ad annunciare la Parola. L’«anamnesi eucaristica» è il momento culminante dell’annuncio della Parola (29).
In questo brano, mons. Bello, sulla scia di Rahner, non da grande peso alla dimensione sacrificale dell’Eucaristia (la Quale non è semplicemente Sacramento-Anamnesi, ma è Sacramento-Sacrificio, Presenza Reale di Cristo) né alla mediazione compiuta dal sacerdote tra Cristo e gli uomini per la gloria dì Dio e per la «salus animarum».
In quel progetto pastorale, mons. Bello, pur lamentandosi della scarsa affluenza dei fedeli alla Confessione, pur incitando i sacerdoti ad essere più disponibili alle Confessioni (30), però, dopo qualche rigo, fa divieto di ascoltare le confessioni dei fedeli durante la celebrazione della Messa (31). Tale decisione ci sembra poco pastorale.
In un discorso ai professionisti di Molfetta, mons. Bello separa il sacro e la santità… Egli si riconosce a malincuore uomo del sacro, uomo che celebra Riti… Ma egli ama la santità laica e raccomanda ai laici professionisti di promuovere tale santità… Egli identifica i valori del Vangelo ai valori umani: solidarietà, accettazione dell’altro, ecc… I valori soprannaturali sono ridotti e identificati ai valori naturali…
Ecco i brani sconvolgenti del Presule talentino: «II sacro è una tintura che noi mettiamo all’esterno secondo i nostri gusti. Santità è invece vita interiore, è ascolto […]. Ora io vorrei invitarvi ad essere i promotori di questa santità più di quanto non lo sia il vescovo. Perché il vescovo, purtroppo anche il vescovo, è un uomo del sacro. Io mi vedo moltissime volte interpellato sulle processioni, sui riti. Uomo del sacro. Siate voi i promotori della santità. Io mi appello a quella santità laica di cui tutti quanti voi potete essere fornitori, protagonisti e propositori. La santità laica, i valori del Vangelo che poi sono i valori che si sprigionano dalle viscere della terra. La solidarietà! […] La trasparenza! […] L’accettazione dell’altro! La ricerca dell’altro!» (32).
Prosegue poco oltre: «Provocare dalle viscere del territorio questa esemplarità. Questo è promozione di una cultura nuova per la città. La santità laica, la promozione di questi valori» (33).
Così mons. Bello conclude quel suo discorso “laico” ed “anti-sacro” rivolto ai professionisti di Molfetta: «Quanto merito vi troverete per essere stati promotori di questa santità urbana, di questa santità laicale, democratizzata, diffusa. La città langue di interiorità (34)
Le parole di mons. Bello, sopra menzionate, sono inequivocabili. Esse sono sintomo di grave crisi e di incomprensione della propria identità vocazionale e teologica. Il Presule salentino mostra di sopportare a malincuore il sacro e i Riti liturgici… li considera totalmente altro rispetto alla santità… Addirittura egli demanda ai laici il compito della santità e della promozione di interiorità… E invece ciò è il primo compito del Vescovo. Don Tonino ha dimenticato che i Segni sacri (Sacramenti) sono veicoli di santità? Mons. Bello con-fonde soprannaturale e naturale, Vangelo e valori umani… Mette troppo l’accento sulle viscere della terra… Viscere della terra, santità “laica”… sono elementi che fanno pensare al mondo esoterico dei riti massonici…
In un discorso ai soci dell’AVIS, don Tonino equipara la consacrazione di una chiesa a una raccolta di sangue, la lettiga all’altare, la sacca di sangue al calice della Santa Messa… Ecco poi il solito commento finale “naturalista”
«Tante cose che sono semplicemente umane possono assurgere a dimensioni sacre. Vivete queste dimensioni laiche della santità!» (35).
In un discorso ad un Consiglio pastorale, mons. Bello presenta una stravagante e mondana interpretazione della parabola di Gesù sulle dieci vergini. Don Tonino rimprovera le vergini sapienti perché non hanno voluto dare l’olio alle vergini stolte…(36). Don Tonino non si accorge che facendo così, rimprovera anche il Signore che ha “inventato” quella parabola… Don Tonino più sapiente di Gesù?
Mons. Bello si mostra teorico di un “pensiero debole”, avverso a Dogmi e a mentalità pre-conciliare… In uno scritto del 28 gennaio 1987, mons. Bello accusa la Chiesa di «tradimenti» consumati contro gli intellettuali, contro la loro ricerca, libertà e autonomia intellettuale… (37) (forse egli si riferisce anche al caso Galilei)… In una sua rilettura della storia, don Tonino accusa la Chiesa di aver distrutto le culture («ecatombe delle culture»), «violentando le grandi tradizioni religiose degli Incas o degli Aztechi o dei Maya» (38)…
Don Tonino sapeva che le «grandi tradizioni religiose» che lui rimpiange comprendevano anche i sacrifici umani? I “conquistadores” con le armi liberarono popoli inermi, vittime di aguzzini… Ma si sa… Don Tonino è contro le armi… In un’omelia del 6 settembre 1990, dopo aver elogiato le comunità di base, mons. Bello accenna ai rapporti tra la Santissima Trinità e la Madonna e dice: «Non voglio andare oltre. Perché forse mi perderei in un terreno che è già pieno di insidie dottrinali perfino per i teologi più scaltriti» (39).
Quando si tratta di Misteri della Fede (e non di rivendicazioni sociali), mons. Bello non si sente a suo agio… In un discorso del settembre 1984, in occasione della profanazione di una chiesa di Molfetta, mons. Bello parla del malessere sociale della città… Poi elogia il pianto della povera gente e conclude parlando di Dio in modo troppo antropomorfico: «E Dio non sarà tentato a disperare di noi» (40).
Don Tonino è troppo ligio alla Gaudium et spes fino al punto da assolutizzarla. Egli identifica la speranza cristiana con la speranza del mondo… Certo, poi egli ammette che ad un certo punto la speranza cristiana scavalca quella mondana verso l’ultraterreno… Ma come al solito, le cose “soprannaturali” dette da don Tonino non sono coinvolgenti, non elevano verso l’Alto, ma restano come asfissiate dal suo costante e oggettivo “antropocentrismo” e “socialismo” linguistico (nonché concettuale)…(41).
Alla sua Chiesa locale, dopo il Convegno di Loreto (1985), don Tonino dice, tra l’altro, che non esiste «una politica cristiana»… La politica deve avere la sua «laicità», senza «ipoteche confessionali»…42. Citando la relazione di mons. Bruno Forte, don Tonino Bello dice anche che la Chiesa del futuro deve essere «debole», deve condividere il travaglio della perplessità, dev’essere compagna del mondo, deve servire il mondo senza pretendere che il mondo creda in Dio o che vada a Messa la domenica o che viva maggiormente in linea col Vangelo…(43).
Indubbiamente, il “pensiero debole” del Presule salentino indebolisce i cristiani che lo assumono (preti, religiosi e fedeli laici) e rafforza la cultura laicista. Pertanto ritengo che le frequenti lamentele e provocazioni linguistiche del Presulesalentino sulla crisi di Fede, sulla secolarizzazione, sull’incoerenza dei cristiani nella società, ecc., siano lamentele e provocazioni sterili e ipocrite. Mons. Bello è come un medico che denuncia il male, ma somministra una medicina che lo aegrava.
4. “SOCIALISMO”, PACIFISMO ASSOLUTO, GLI “ULTIMI”
(ANCHE IN EPISCOPIO)
In filigrana, nel pensiero del Presule salentino, possiamo riscontrare un sostanziale e tacito filo-socialismo o filo-comunismo.
Nell’agosto del 1992, durante un convegno assisano (a cui partecipò come relatrice anche l’on. Nilde Jotti), mons. Bello ha detto che nel giorno del suo ingresso come Vescovo a Molfetta, durante l’omelia, per esortare i fedeli ad essere “eccentrici” ed appassionati per il Vangelo nel mondo, egli ha citato un pensiero di Antonio Gramsci (comunista) che esortava i suoi “compagni di partito” ad avere il «brivido della passione»…
Mons. Bello racconta che in seguito ha ricevuto una lettera anonima nella quale lo si rimproverava di aver citato un comunista invece che i Padri della Chiesa. Ovviamente mons. Bello non era affatto “pentito” di aver citato Gramsci e a questo proposito ha ricevuto a quel Convegno scroscianti applausi, dopo aver parlato del «brivido della passione» auspicato da Gramsci…
Nel 1992 mons. Bello si è recato in “viaggio di pace” a Sarajevo, all’epoca martoriata dalla guerra. È interessante notare che il Diario di viaggio di mons. Bello è stato pubblicato anche sul quotidiano comunista Il Manifesto, in prima pagina, il 15 dicembre 1992 (45)
In un’omelia del 6 settembre 1990, don Tonino loda le «comunità ecclesiali di base», o «comunità di base», come icona della Santissima Trinità (46), comunità «inventate dal Signore» (47)… Sappiamo che le “comunità cristiane di base”, sorte negli anni ’60-’70 in Italia e in America Latina, si pongono in posizione critica nei confronti della gerarchia ecclesiastica privilegiando un approccio molto soggettivo e “popolare” nei confronti della Parola di Dio e della morale (es.: circa i divorziati risposati, il ruolo dei laici nella gestione della comunità cristiana…).
Tali comunità hanno uno spirito decisamente iper-conciliarista (48) e “comunista”.
Secondo don Tonino, «avvento» è quando la Comunità condivide l’esistenza (grama e “randagia”) del «terzomondiale»… Avvento è quando Madre Teresa di Calcutta abbandona la clausura per andare sulle strade del mondo…(49).
Perché don Tonino non dice che Avvento è anche quando le religiose di clausura aumentano le loro austerità e preghiere in favore del prossimo, in preparatone al Natale? Ma ciò sa troppo di “tradizionale”… Ciò non rientra nei progetti mondani di don Tonino…
In occasione del Natale (di un anno imprecisato), mons. Bello parla dell’Incarnazione, della «inabitazione di Dio tra gli uomini». E subito, egli ne approfitta per parlare e difendere a tutti i costi gli “ultimi”: ossia i sieropositivi, i tossicodipendenti da recuperare, gli zingari, gli abusivi… Don Tonino rimprovera coloro che protestano allorché questi “ultimi” diventano loro “vicini” di casa… Don Tonino, di fatto, equipara sieropositivi, tossicodipendenti, zingari e abusivi al Verbo Incarnato…
Eppure don Tonino dovrebbe essere un po’ più comprensivo verso la gente che teme tali “ultimi”… La cronaca insegna che tossicodipendenti (anche in fase di recupero) e zingari, sono categorie “particolari” da cui non raramente provengono certi “soggetti” che mettono in difficoltà la sicurezza e la proprietà altrui (talora anche la vita)… Ma si sa… Don Tonino ha il complesso socialista e gioca sulla pelle degli altri creando scrupoli inutili e falsi sensi di colpa…
Ossessionato dalla mentalità “rossa” e sessantottina, il Presule salentino dice anche che la Chiesa deve incoraggiare l’obiezione di coscienza contro il servizio militare… (51)
Don Tonino è assolutamente contrario alla guerra, ad ogni guerra… Secondo lui nessuna guerra è giusta, nemmeno come “extrema ratto“… L’unica difesa contro i tiranni, contro gli assalitori, è la non-violenza…(52.) Persino la «legittima difesa» non dev’essere armata, non deve ricorrere alla violenza…
Dobbiamo dire che anche in questo il Presule salentino non si è rivelato un buon maestro. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (1999 2, rist. 2003) difende il principio della «guerra giusta» ossia «la legittima difesa con la forza militare» a determinate condizioni (n. 2309), occorrendo le quali, «i pubblici poteri, in questo caso, hanno il diritto e il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale» (n. 2310).
E che dire del commercio delle armi che mons. Bello avversa in modo assoluto? Ebbene, il Catechismo non parla di “soppressione” bensì di “regolamentazione” di tale commercio (cf. CCC 2316), ovviamente condannando la corsa pazza agli armamenti.
Non siamo in un “paradiso terrestre”. Ci sono gruppi di uomini malvagi che detengono armi… Perciò occorrono altrettante armi nelle mani delle polizie e degli eserciti, per difendere gli inermi. Il pacifismo di mons. Bello è pertanto sterile e lesivo, fondato sul solito mea-culpismo e auto-lesionismo degno dell’epoca sessantottina.
In alcune sue riflessioni, mons. Bello accosta la stola al grembiule e presenta il grembiule quale l’unico paramento sacerdotale registrato dal Vangelo… Don Tonino rincara la dose dicendo che a proposito della Messa solenne celebrata da Gesù il Giovedì Santo, il Vangelo «non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali» (54). Egli auspica «la Chiesa del grembiule» (55).
In un’omelia del 6 gennaio 1991, mons. Bello ricorda con affetto Giuseppe – un alcolizzato morto l’anno precedente -, che viveva… in episcopio, dove giungeva anche a ritirarsi, ubriaco, «più tardi del solito» (56)! In uno slancio di antropologismo e sentimentalismo poetico, mons. Bello spiega in questo modo la differenza tra Basilica minore e Basilica maggiore: Basilica minore è la chiesa fatta di pietre… Basilica maggiore «è quella fatta di carne. È l’uomo, insomma!» (57).
Don Tonino spiega chiaramente che Basilica maggiore è ogni uomo… è don Tonino stesso… ed è anche… Giuseppe quando è ubriaco fradicio! Don Tonino scrive che una volta, tornando tardi in episcopio, ha trovato Giuseppe, ubriaco fradicio, davanti al portone dell’episcopio e ha contemplato in lui – ubriaco fradicio – quasi un angelo… (58)
Don Tonino narra un episodio avvenuto all’inizio del suo ministero episcopale. Un giovane ladro spara contro un metronotte ferendolo gravemente. Il metronotte risponde al fuoco uccidendo il giovane. Mons. Bello visita all’ospedale il metronotte ferito e celebra le esequie del ladro al cimitero. Poi mons. Bello scrive una lettera immaginaria al giovane ladro, Massimo.
Più volte mons. Bello scrive che «giustamente» il metronotte ha ucciso Massimo. Forse don Tonino si è “convertito” ed ammette la liceità della legittima difesa armata? No. All’inizio della sua lettera immaginaria, don Tonino scrive: «Mio caro fratello ladro, sono letteralmente distrutto. Ma non per la tua morte. Perché stando ai parametri codificati dalla nostra ipocrisia sociale forse te lo meritavi» (59).
E poi don Tonino mena giù fendenti, col solito mea-culpismo “comunista”, sociale e collettivista: prima di essere «giustamente» ucciso dal metronotte, Massimo è stato «ingiustamente ucciso» da «tutta la città», e poi dalle «nostre comunità cristiane» che non sono andate a cercarlo e ad inseguirlo… E poi don Tonino dice che ladro non è Massimo ma tutti coloro che (don Tonino include anche se stesso) gli hanno rubato la dignità umana…(60).
Anche in quella lettera è immancabile il riferimento indirettamente colpevolista contro la Liturgia… Le comunità cristiane che don Tonino rimprovera, a suo dire, «celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo» (61).
In tutta quella lettera piena di retorica comunista, fanno brutta figura il metronotte che ha ucciso… e la Liturgia che distrae dal “sociale”…