Note sul "magistero" di "don Tonino" Bello (2)

Fides Cattolica n.2-2012

Alcune note sul “magistero” episcopale del servo di Dio
mons. Antonio (“don Tonino”) Bello (1935-1993).

Un contributo critico

di Padre Paolo M. Siano, FI

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5. LITURGIA E SPIRITUALITÀ “SECOLARE”.

DISISTIMA VERSO IL SACRO E I DOGMI

In un’omelia del 9 aprile 1989, don Tonino raccomanda – è giusto – di fare dell’altare «l’asse portante di tutte le vostre scelte personali», e raccomanda di coltivare «una profonda spiritualità» (62). Finalmente il Presule salentino dice qualcosa di bello e di buono! Eppure ciò non basta, come stiamo vedendo e come vedremo ancora…

In alcune riflessioni sulla festa del Corpus Domini (24 giugno 1992), mons. Bello elogia l’Eucaristia ripetendo il ritornello: «Ti adoro in ogni momento, o vivo Pan del Cielo, gran Sacramento!». Don Tonino constata con amarezza «gli effetti devastanti della secolarizzazione» (63), in particolare l’indifferenza e la poca partecipazione alla Processione eucaristica da lui presieduta.

Però, poi, don Tonino tira giù un fendente “secolare” contro la “nostalgia” di Processioni eucaristiche del passato, devotissime e frequentatissime: «Diciamoci, però, la verità. I tempi cambiano, e forse è fuga rincorrere le nostalgie del passato, quando la festa del Corpus Domini rievocava meriggi trascorsi nell’addobbo dei rioni, stormi di campane, volute di turiboli e fremiti di pianete. Ma è pur vero che ci stiamo adattando all’esilio» (64).

A questo punto ci chiediamo: forse anche mons. Bello, con la sua “svolta antropologica” ha contributo — non poco — alla secolarizzazione accelerata del suo territorio? E con lui, quanti altri Vescovi?…

Il Servo di Dio mons. Bello non mostra molta simpatia per i Riti liturgici celebrati secondo le rubriche, anzi sembra soffrire di ciò una vera avversione / ossessione… In questo don Tonino è “figlio” della sua epoca post-conciliare nella quale, a partire dagli anni 70-’80, hanno trionfato liturgisti moderni e antirubrìcali, sostenitori di danze e chitarre…

Così mons. Bello prega il Signore per il suo popolo (1982): «Liberalo dalla noia del rito, dall’usura del cerimoniale, dalla stanchezza delle ripetizioni. Fa’ che le sue Messe siano una danza di giovinezza e concerti di campane, una speranza di liberazione e canti di chiese ,[…]» (65).

Noia del rito? Usura del cerimoniale? Stanchezza delle ripetizioni? Ma con chi se la prende don Tonino? Nella sua parrocchia (1982) non celebrava la Messa “tridentina”!!! Lo sappiamo… i liturgisti modernisti non vogliono rubriche… Essi hanno in uggia anche le rubriche del “nuovo” Messale… Vogliono creatività a tutto spiano. In un progetto pastorale del 1984, mons. Bello manifesta nuovamente le sue incomprensioni e i suoi pregiudizi “antirubricali” tipici di quei liturgisti post-conciliari che scambiano per “rubricismo” anche la giusta e devota attenzione alle rubriche liturgiche. Quei liturgisti, nemici della Messa “tridentina”, vogliono invece assoggettare la Liturgia alle voglie creative della loro “schola” e dei singoli celebranti o animatori di turno.

Ecco cosa scrive don Tonino: «Spesse volte nelle nostre liturgie si ha la percezione nettissima che l’unico a mancare è Gesù Cristo. Rubricismo, tanto. Ritualismo, a non finire. Moralismo a volte insopportabile. Fede, zero. Incontro con Lui, opaco. Abbandono all’onda della sua grazia, quasi inesistente» (66).

Poi don Tonino si lamenta che nelle Liturgie «non c’è invenzione», non c’è «preghiera interiore», non c’è «ascolto contemplativo» (67), finito il «rito», «si depongono le chitarre e si scappa» (68). Se mons. Bello avesse favorito di più il Canto Gregoriano nelle parrocchie, forse ci sarebbe stata più “interiorità”… . Insomma vediamo che don Tonino è maldestro, contraddittorio.

Condanna la malattia, ma non è capace di somministrare una terapia giusta… Esorta alla meditazione, al silenzio, all’esame di coscienza, alla lettura spirituale, al colloquio personale con Cristo, anche allo «sforzo ascetico», però, dice che non vuole fare «l’apologia dei mille ingredienti devozionali che hanno inflazionato e continuano a inflazionare ancora la nostra spiritualità» (69).

Don Tonino è abile a rimanere nel vago, nell’ambiguità… Ma si ha l’impressione netta che la sua spiritualità (anti-devozionale) si ispiri a quella dei “maestri” influenzati dai “Fratelli separati” (giansenismo liturgico e anti-devozionale…). Don Tonino è un maestro di slogan, frasi fatte. Ad esempio, egli auspica che «le nostre messe siano “vere” e concepite come un incontro così forte, esigente ed estenuante con il Signore Risorto, da scoraggiarne la ripetizione senza un proporzionato motivo» (70).

La fantasia di mons. Bello è davvero estenuante, capricciosa… Poco oltre egli auspica che la preghiera universale dei fedeli non dev’essere stereotipa ma che esprima di più «la fantasia implorante dei fedeli» (71).

Il 16 ottobre 1988, mons. Bello interviene alle Giornate Salveminiane a Molfetta. Don Tonino elogia Gaetano Salvemini (1873-1957) in quanto — al dire di don Tonino — era un anticlericale onesto, mai volgare… Don Tonino si mostra affascinato dal «laicismo» di Salvemini il quale (proprio come don Tonino) non vuole caste o Chiese privilegiate… Don Tonino presenta Salvemini come… un santo laico! (72)

II Presule salentino trova addirittura «commovente» il testamento olografo di Salvemini, nel quale è scritto: «”Se ammirare e cercare di seguire gli insegnamenti morali di Gesù Cristo, senza curarsi se Gesù sia stato figlio di Dio o no, è essere cristiano, intendo morire da cristiano, come cercai di vivere, senza purtroppo esservi riuscito”» (73).

Nel 1946, Salvemini indirizza una lettera all’amico Modugno. Secondo mons. Bello, in quella lettera Salvemini «lascia trasparire questa fierezza unita a un’incredibile professione di umiltà» (74).

Il Presule salentino cita alcuni brani di quella «incredibile professione di umiltà» e di «cristianità» di Salvemini, ove leggiamo tra l’altro — parole di Salvemini: «Dichiaro che sono cristiano perché accetto incondizionatamente gli inse­gnamenti morali di Gesù Cristo, e cerco di praticarli per quanto la debolezza della natura umana me lo consente. Quanto ai dogmi…  non me ne importa proprio nulla: non li accetto, non li respingo, non li discuto: la mia fede in certe norme di condotta morale non dipende dal credere che Cristo era figlio d iDio» (75).

Più avanti, in quella lettera — scrive don Tonino —, Salvemini dice che «i catafalchi dominatici» non lo riguardano…(76).

Al termine di quel suo intervento alle giornate salveminiane, il Presule salentino (che in sostanza mostra di condividere la mentalità antidogmatica di Salvemini), scrive: «C’è da essere certi, però, che il Signore, sensibile ai galantuomini increduli non meno di quanto sia indulgente con le canaglie credenti, abbia accolto ugualmente nella sua pace questo profeta laico del suo Regno» (77).

Dunque, per mons. Bello tutti in Paradiso, a buon mercato: credenti e non credenti, penitenti e impenitenti, buoni e cattivi… Il Presule salentino è in fondo come Salvemini… Non gli importa nulla dei Dogmi.

In un articolo del 1989, il Servo di Dio mons. Bello manifesta ancora profonda incomprensione ed avversione per il sacro, per le rubriche liturgiche. Le sue parole sono intessute di voglia di “secolo” e di “laicità” mondana: «Appesantiti dall’impianto tipico della “civiltà cristiana” e da un apparato ancora marcatamente sacrale, fatichiamo a dare  smalto all’annuncio e a conferirgli i tratti di quella “hilaritas”, cioè di “.. quella gioia contagiosa di cui parla Sant’Agostino, che accompagna sempre le buone notizie, sconvolgenti e rivoluzionarie» (78).

Poco oltre, don Tonino si pone tante domande, ne rilevo alcune: «[Le nostre chiese] Sbloccano a sufficienza le cinture del rito, per liberare il messaggio e farlo “correre veloce”? O si estenuano spesso nella custodia del “sacro”, nella conservazione del “deposito”, nella vigilanza sul “talento” sotterrato? […] Quanto annuncio rivoluzionario rimane ancora sotto certi battesimi, cresime e prime comunioni? Quali stacchi eversivi producono certe omelie?» (79).

In una lettera ai catechisti, del 28 gennaio 1990, don Tonino dice che “noi sacerdoti” «spintoniamo» Gesù «ma senza toccarlo»: «Lo manipoliamo nei sacramenti, logorandolo con le nostre ritualità. Lo urtiamo con implorazioni da cerimoniale, comprimendolo nei frasari da copione. Gli strisciamo accanto con la ripetitività delle sacre faccende e gli piantiamo i gomiti nei fianchi, violentando i poveri al cui interno egli si nasconde» (80).

Come al solito il Presule salentino contrappone Liturgia e Poveri… Mons. Bello non riesce a cogliere il soprannaturale nelle «ritualità» e nel «cerimoniale»… Li critica volentieri per contrapporli ai poveri… Di fatto il Presule salentino presenta sacro, Liturgia, Riti liturgici, Cerimoniali, Rubriche liturgiche come ostacoli alla carità sociale verso i poveri… Non si arrabbino con me i sostenitori di mons. Bello se dico che l’avversione al sacro è di solito indizio di possessione diabolica… Certamente il Presule salentino non è un indemoniato, ma è altrettanto certo che la sua incomprensione / disistima / avversione al sacro non può provenire da Dio.

In un messaggio dell’8 aprile 1990, mons. Bello («Terziario Francescano Cappuccino»), in nome della “comunione” parrocchiale, scrive al Ministro dell’OFS di Molfetta insistendo che i Terziari non celebrino il Triduo Santo nella loro chiesa, bensì in quella parrocchiale…(81). Mi permetto di far notare che il far convergere tutto nella parrocchia, può essere pastoralmente utile e significativo, ma non sempre. Bisogna star attenti a non annullare le peculiarità in nome di una comunione esteriore e orizzontale. Un Pastore “social-comunista” come mons. Bello annulla facilmente le differenze e i sani pluralismi.

Narro un episodio tipico di “dontoninobellismo” che mi riguarda da vicino. Anni fa, un parroco (ora defunto), in nome della “comunione”, obbligava il nostro Convento-Seminario a celebrare il Triduo Santo nella sua parrocchia (la chiesa che noi officiavamo era un Santuario). Non potevamo celebrare la Liturgia secondo la nostra ars celebrandi, ossia sacra, devota, raccolta (con Canto Gregoriano).

I nostri frati erano costretti a prender parte a Tridui Pasquali animati dalla corale parrocchiale di tipo neo-catecumenale con stili liturgici diametralmente opposti al nostro. Quel parroco (pace all’anima sua!) ci ha rovinato il Triduo Pasquale almeno per due anni consecutivi, in nome di una comunione “orizzontale” che spezza e azzera le ricchezze e le peculiarità…

E quando predicava, quel brav’uomo, riduceva tutto all’uomo! Era tutto “don Tonino Bello”! Gesti, linguaggio e contenuti della sua oratoria… Ma parlava così tanto dell’uomo, svilendo i Misteri della Fede, che mi sembrava piuttosto “Ludwig Feuerbach” redivivo (filosofo che ridusse la Teologia ad Antropologia!).

Il Vescovo diocesano, di quel tempo, era devotissimo di don Tonino Bello vantandosi persino di guidare in pellegrinaggio i sacerdoti della sua diocesi sulla tomba del Vescovo di Molefetta.. Poi, quando, col Motu Proprio Summorum Pontifìcum (2007), noi frati cominciammo ad apprendere e a celebrare la Messa “tridentina”, quel Vescovo cercò di opporvisi, ma la Santa Sede ci difese Poi quel Vescovo, agli incontri del clero, ci tolse il saluto, facendo tutto il possibile per evitarci… Quando ci avvicinavamo a lui pei salutarlo, lui cercava di girarsi dall’altra parte! Ecco fin dove arriva la simpatia umana e la “comunione” dei Vescovi e dei preti “don toninobellisti”!

Questo tipo di Pastori sanno essere accoglienti con musulmani, ubriachi, drogati… magari anche con omosessuali “militanti” (ad es.: quel parroco giustificava le convivenze tra due ormosessuali “che si vogliono bene”, raccomandando che almeno fossero fedeli l’un l’altro!!! Mons. Bello era tanto accogliente con i politico omosessualista Nichi Vendola)… Però, tali Pastori, dinanzi a religiosi che zelano la loro identità ed amano la Messa “tridentina”, non sono più accoglienti ma sfoderano un’intolleranza, direi, “fascista”. C’est la vie

Quando si tratta di parlare o scrivere di misteri sublimi della Fede, don Tonino, immancabilmente “rovina” la festa affossando tutto nel sociale… Un esempio. In una festa per il Corpus Domini don Tonino dice che forse i suoi uditori si attendano che egli spieghi la Presenza eucaristica di Gesù, il suo amore per noi, i rapporti tra Chiesa ed Eucaristia…

Ma don Tonino spiazza tutti dicendo che ben altri «interrogativi» affollano la sua mente… A questo punto don Tonino fa le sue arringhe sociali e angosciose. Secondo don Tonino non può esserci festa del Corpus Domini finché un uomo senza tetto dorme nel “tabernacolo” di una barca rovesciata oppure finché un altro con i figli passa la notte in un vagone ferroviario… Non si è credibili se non si presta attenzione «al “corpo e al sangue” dei giovani drogati», ecc., ecc. (82).

È sempre la solita retorica social-comunista antiborghese che semina malumori anche durante momenti sacri in cui l’anima ha bisogno di ricaricarsi di Cielo per praticare le virtù in terra… Ma è la terra, non il Cielo, ciò che affascina, appassiona e ossessiona don Tonino… Al termine di quell’omelia, don Tonino condanna ancora una volta «il fasto vuoto delle nostre liturgie» (83). Quando si tratta di Liturgia, don Tonino è incapace a fare catechesi di elevazione liturgica… Con le sue continue denunzie di “fariseismi” liturgici (veri o presunti), indubbiamente don Tonino contribuisce a posporre la Liturgia (e quindi il Culto a Dio, l’onore di Dio) ai sindacalismi sociali…

Nel 1990 il Presule salentino va in Etiopia. Nel suo Diario di viaggio, egli mostra creatività liturgica con un pizzico di sensualità… Il 13 luglio mons. Bello celebra la Santa Messa. Ci sono anche delle Suore. Lascio la parola a mons. Bello: «Bellissima l’Eucaristia e partecipata in modo straordinario. […] All’offertone, la sorpresa dei doni e, soprattutto, della danza improvvisata da suor Celinia, sulla musica della marcia nuziale di Mendelssohn. Ho posato poi sull’altare un vasetto di profumatissimo unguento orientale (portato dalla Palestina). Ho colto al volo l’occasione per avvicinarmi a tutte le suore e ungerle con l’unguento, dicendo a ognuna “Sii il buon profumo di Cristo”» (84).

Al Presule salentino piace vedere e toccare

In un messaggio ai catechisti, del 21 aprile 1991, mons. Bello mostra ambiguità dottrinale, in cui sembra con-fondere sacro e profano, bene e male, virtù e vizio… Don Tonino afferma che la gloria di Dio, il Nome di Dio JHVH, quindi la sua «santità», «straripa da tutte le parti», trasuda dappertutto: nei Santuari, nelle chiese, mi monasteri, nelle mense Carìtas, ma anche nei luoghi viziosi e criminali, nei luoghi delle lobbies finanziarie, nei luoghi osceni, nei luoghi dove si bestemmia, nei luoghi criminali dove si pianifica e si attua la morte.. .(85).

Potrebbe sembrare che don Tonino voglia dire semplicemente che Dio è dappertutto e vede tutto… Eppure, alla luce di tutti i suoi scritti, è più logico concludere che secondo don Tonino non c’è più alcuna differenza tra sacro e profano…

Nel luglio 1991, don Tonino tiene gli Esercizi spirituali a Lourdes, ad un gruppo di sacerdoti ammalati e anziani. Ad un tratto egli rivela una delle sue «trasgressioni» (così lui stesso le definisce) in fatto di Liturgia: nella sua ultima Ordinazione sacerdotale ha ordinato ai sacerdoti presenti di non cambiare la stola al neo-sacerdote ma di lasciargliela nella posizione di diacono, per ricordargli che egli è un «diacono permanente», ossia servo di Cristo…(86).

Nel volume Scritti mariani, troviamo alcune meditazioni di mons. Bello tenute ad Assisi il 27 agosto 1992. In un brano davvero delirante, don Tonino afferma che la Chiesa deve rinunciare a quelli che lui definisce «progetti integralisti»… Insomma la Chiesa dev’essere compagna del mondo, dev’essere debole, la Chiesa non deve sentirsi superiore al mondo, la Chiesa dev’essere disposta a perdersi per la vita del mondo… così scompariranno le differente tra le religioni…

Ritengo necessario citare questo delirante brano di don Tonino dove troviamo una mentalità davvero massonica e mondana: «In secondo luogo, una Chiesa, che voglia essere compagna dell’uomo e testimone dello Spirito, deve liberarsi dal complesso di superiorità nei confronti del mondo, per la cui vita è anzi disposta a perdersi. E quando le religioni saranno capaci di dare la vita per l’uomo, allora scompariranno anche le loro contrapposizioni» (87).

La Chiesa deve perdersi per il mondo? Le religioni si devono perdere per l’uomo? Qui ci troviamo dinanzi ad atteggiamenti tipici dello storicismo hegeliano (la Chiesa si perde per il mondo e nel mondo… l’Assoluto si estranea, si nega, si perde…) e antropocentrismo post-hegeliano (Feuerbach, Marx…). Mons. Bello cita con elogio un racconto tratto dal libro di padre Ernesto Balducci (prete “moderno”) L’uomo planetario.

Nel 1943, una nave affonda in Groenlandia, colpita da un siluro tedesco. Quattro cappellani, un rabbino ebreo, un sacerdote cattolico, due pastori protestanti affondano insieme tenendosi per mano, e pregando, dopo aver messo gli altri in salvo…

Così commenta don Tonino: «Questo racconto mi sembra splendido per la sua forza evocativa. Intanto, la minaccia di morte che incombe sul genere umano. Poi, la fine dell’era delle molte religioni, antecedentemente rissose sulle loro prerogative di universalità che s’inabissano. E finalmente, l’inizio contestuale dell’unica religione, che assume come valore sommo la salvezza dell’uomo, anche mediante il dono della propria vita. Se nella Casa Comune le religioni si presenteranno tutte con questo intendimento di salvezza dell’uomo, se ne avvantaggerà anche la causa di Dio» (88).

Don Tonino non fa capire come e quale sarà quell’unica Religione che lui auspica… Sarà la religione cristiana? Forse… Ma conoscendo don Tonino, sarà un “cristianesimo” senza Dogmi, miserabile in fatto di Liturgia, socialistoide… Don Tonino, pregno dello “spirito di Assisi”, sogna il superamento di tutte le religioni? Le religioni, le «fedi», dunque anche quella Cattolica, sono solo sguardi parziali di un Mistero più grande? Don Tonino relativista?

Leggiamo quanto scrive nel 1989: «Anche oggi, in quest’esodo dei popoli verso la nuova terra di Canaan, emerge il bisogno di una forza divina che trascenda le fedi, espressione dei nostri sguardi parziali puntati su Dio. Dalle viscere dell’umanità prorompe il sussulto di uno pneuma universale che scavalchi le immagini di tutte le teofanie stanche, e provochi una convivenza nuova tra le genti fondata sulla pace, sulla giustizia e sulla salvaguardia del creato.

Assisi, Basilea, Seul… sono le tappe di un cammino di catarsi religiosa che, mentre impedisce la pietrificazione di Dio, sta conducendo, non più attraverso discussioni teoriche ma passando per gli incroci della qualità della vita, a quella esperienza di convivialità “sull’alto monte” predetta dai profeti. Tu solo, Gesù, compaginatore dell’unità, potrai liberarci dalla tragedia che le religioni, invece che accelerarla, frenino la nostra corsa verso traguardi di solidarietà planetaria» (89).

Don Tonino parla di una forza che trascende tutte le “fedi”… Anche la Fede Cattolica? Anche i Dogmi cattolici devono essere superati? Cosa deve fare Gesù? Convenire alla vera Religione oppure limitarsi a realizzare solidarietà umana e terrena interreligiosa? Cosa deve fare la Chiesa Cattolica? Dalle premesse poste da don Tonino, le risposte a queste e ad altre domande verteranno solo su: sociale, terra, mondo, uomo… 

In una preghiera del 1992 don Tonino da l’impressione di considerare le religioni come facce di una stessa medagliaLo stesso Dio viene invocato con vari nomi (Dio, Allah, ecc…)… Si direbbe che sia solo una questione di Nomi e non di contenuti dottrinali (nominalismo religioso): «Onnipotente e misericordioso Dio, Signore della storia e Creatore dell’universo, noi ti chiamiamo con nomi diversi, ma sei uno e unico in tutti» (90). «Signore, noi ti preghiamo per le tue Chiese, e per i nostri fratelli ebrei e musulmani. Noi tutù ti riconosciamo come unico Dio e abbiamo Abramo, Isacco e Giacobbe come nostri padri nella fede» (91).

È interessante notare nel Presule salentino il silenzio (quasi assoluto) sui Novissimi e sull’Aldilà (Morte-Giudizio-inferno-Purgatorio-Paradiso). Non sorprende che circa la “sorte” di Giuda Iscariota, don Tonino (26.02.1989) si mostri “perdonista” o almeno “agnostico”. Il calcagno di Giuda, levato per colpire il Signore, rappresenta, secondo don Tonino, un bisogno angoscioso di redenzione che chiede il nostro servigio e non la nostra condanna

Don Tonino scrive che a lui non interessa se Giuda si sia dannato o salvato..(92). Davvero stupefacente! Don Tonino perdona viziosi e criminali, anche gli impenitenti finali! Ma non perdona la Chiesa del passato pre-condliare, la Chiesa dei Dogmi, la Chiesa della Messa “tridentina”, ecc., ecc.

Mi perdonino i “dontoninobellisti” se dico che don Tonino mostra una sorta di perversione intellettuale volta a stravolgere ogni Verità e valore della nostra Fede, pur di adattarla agli effimeri slogan del mondo corrotto e decadente. E se è vero che uno agisce così come pensa, c’è da sperare che nella sua ortoprassi il buon senso abbia avuto la meglio sulla coerenza con queste idee strampalate.

Pare che il Presule salentino faccia silenzio (assoluto) anche sui peccati mortali e sulla distinzione tra peccato mortale e peccato veniale. Si direbbe che il peccato “grave” anzi “gravissimo”, per don Tonino sia solo la non-accoglienza dell’altro… (93).

Forse anche mons. Bello ha fatto sua l’eresia dell’opzione fondamentale? Conoscendo il suo pensiero, è lecito sospettarlo…

Nel settembre 1992, in alcune linee per l’anno pastorale 1992-93, don Tonino scrive tra l’altro: «Abituare i ragazzi al silenzio, ridurre l’eccedenza dei rumori ritualisti, ridare anima ai gesti celebrativi perché non restino spenti o artificiali, ricentrare tutto attorno all’Eucaristia, ridare peso alla direzione spirituale, ritrovare il gusto dell’arcano…» (94).

In questo caso siamo pienamente d’accordo con il Presule salentino. Peccato che con tutto quello che ha seminato negli anni precedenti, tali auspici sembrino restar sulla carta… È certo che la Messa “tridentina” favorisce molto quanto don Tonino . auspicava all’inizio del suo ultimo anno di pastorale e di vita…

Don Tonino elogia il pensiero di padre Ernesto Balducci (1922-1992). In un articolo pubblicato il 26.04.1992 sul quotidiano comunista II Manifesto, don Tonino mostra la sua avversione alla Chiesa dei Dogmi. Ecco quanto scrive in difesa di padre Balducci (con enfasi progressista e soggettivismo romantico): «L’hanno chiamato il “teologo del dissenso”. Anche i resoconti giornalistici di ieri parlavano di lui come di un “prete contro”.

Trovo infelici queste espressioni. Da che cosa egli dissentiva infatti, o contro che cosa faceva resistenza se non nei confronti di una Chiesa “edita”, arrivata, troppo sicura della sua corazza culturale e troppo innamorata della cristallizzazione del suo patrimonio ideologico? E, in fondo, questo “essere contro ” non significa lottare contro gli idoli? Padre Balducci amava la Chiesa» (95)

6. RELIGIOSI E SACERDOTI: (DEL) NEL MONDO, PER IL MONDO, CON IL MONDO… 

In apertura di un discorso alle religiose, mons. Bello elogia padre Paul Couturier (1881-1953), «il grande apostolo dell’ecumenismo», il quale già negli anni Trenta non voleva un ecumenismo inteso come “ritorno” alla Chiesa Romana da parte dei cristiani non-cattolici, bensì un ecumenismo inteso come cammino convergente di tutti, ciascuno rimanendo nella sua confessione cristiana… Secondo Couturier e secondo mons. Bello, il ritorno di tutti nella Chiesa Cattolica distruggerebbe le “diverse ricchezze culturali”… dunque occorrerebbe una unità intesa come armonia di opposti e diversi che rimangano tali… (96).

Couturier apprezzava molto il pensiero di Teilhard De Chardin (convergenza in Cristo di tutta l’umanità a prescindere dal credo religioso) (97). Purtroppo, come dimostra la ricerca storica, tale ecumenismo del non-ritorno ha affascinato vari Padri e periti conciliari (del Vaticano II) ed è cresciuto con orgoglio rampante dopo il Vaticano II fino ai nostri giorni.

Mons. Bello sembra elogiare la vita religiosa (castità, povertà, obbedienza). Purtroppo non cita scritti di Santi, bensì (oltre all’ambiguo Couturier) cita Goethe (poeta, naturalista e massone) e Dietrich Bonhoeffer (pastore protestante) (98). Nel discorso di mons. Bello trapela qualche “stoccata” secolarista: la spiritualità delle religiose non è fuga dal mondo («fuga mundi») o disprezzo del mondo, ma è entrare nel mondo per portarlo a Dio… (99). Le religiose devono aiutare «coloro che hanno il compito di immergersi appassionatamente nella comunione col mando» (100) .

Comunione col mondo… In tal modo mons. Bello non aiuta affatto i Religiosi… Li imprigiona nel mondo, ovvero nella mondanità… Il Presule salentino non capisce che una qual certa «fuga mundi» è imprescindibile in qualsiasi cammino di Vita Consacrata, secondo l’esempio dei Santi… Mons. Bello mostra di non considerare affatto il pericolo della triplice concupiscenza (superbia, carne, mondo) da cui anche i religiosi devono guardarsi… Sembra che realtà come peccato, tentazione, custodia dei sensi e dell’anima, ecc., siano ormai “cose” vecchie, pre-conciliari…

Circa la comunione con i poveri e con gli “ultimi”, mons. Bello, in pratica, raccomanda alle religiose di dare i conventi vuoti a chi è senzatetto…(101). Egli chiede alle Congregazioni religiose che «facciano spazio a chi è senza tetto» (102).

In un altro scritto di don Tonino leggiamo tali affermazioni imprudenti: «Esaminare il problema di come restituire agli ultimi case religiose vuote e conventi chiusi. […] Educare chi si blocca di fronte al sospetto sistematico che sotto forme di pseudo povertà si camuffì il raggiro degli imbroglioni, avendo per certo che è molto meglio rischiare di mandare a piene mani nove impostori su dieci, che mandar via a mani vuote il solo bisognoso» (103).

Si direbbe che a mons. Bello non interessi affatto aiutare i religiosi a uscire dalla crisi della mancanza di vocazioni… Eppure come Vescovo dovrebbe dare delle indicazioni forti, in particolare per quanto riguarda la preghiera, l’ascesi, la penitenza, la clausura, la difesa dalle insidie del mondo…. insomma i mezzi soprannaturali che attirano le vocazioni… Qui sta il punto… Mezzi soprannaturali… Ma a giudicare dalla sua mariologia sensuale (vedremo più avanti) comprendiamo che mons.

Bello non dev’essere stato un gran che a stimolare nelle giovani l’amore per la pudicizia e per la verginità consacrata… A mons. Bello interessavano solo le rivendicazioni sociali… Inoltre, a don Tonino poco importa la clausura religiosa dei conventi e dei monasteri: meglio sacrificarla ai senza tetto… E i religiosi? Diventeranno secolari, come i senza tetto…

Nel giugno 1985, in occasione del Convegno interdiocesano, mons. Bello ribadisce che la scelta religiosa non dev’essere “fuga dal mondo “, sterile ripiego intimista al sicuro delle sagrestie, lontano dalle angustie del mondo e dal turbine dell’azione… la scelta religiosa vuol dire essere presentì nel mondo…(104).

In un ritiro dettato al suo Clero diocesano, il 20 settembre 1985, mons. Bello insiste sulla «conduzione collegiale» e sulla «corresponsabilità» nella conduzione delle parrocchie…(105).

Anche questa tesi di mons. Bello risente di una sorta di collettivismo bolscevico… Collegialità anche nella direzione di una parrocchia? E dove finisce la giusta “autonomia” e “libertà” di un parroco? Un parroco che non si attesta sulle posizioni progressiste del “dontoninobellismo” sarà costretto a cedere dinanzi alla collegialità “pretesca” (che magari non vorrà sentir parlare di Messa “tridentina” o prediche “devote” o “tradizionali”…) oppure a cambiar diocesi (“mobbing” clericale)…

In quel ritiro, mons. Bello afferma che il prete non è solo uomo di Dio, ma è «uomo del mondo»… Il Presule salentino fa capire che in ogni sacerdote c’è Esaù e Giacobbe: il primo è uomo che ama correre e stare nel mondo… il secondo è più contemplativo… Don Tonino ama Esaù e, di fatto, esorta ad essere un po’ Esaù… Esaù ci spinge «ad andare verso i lontani, verso la piazza»… Poi don Tonino cita alcuni casi di ragazzi disagiati (due ragazze tossicodipendenti, un’ex-carcerato che ha rubato e poi violentato una ragazza…)… Don Tonino mostra la sua impotenza dinanzi a quelle sconfitte… Ma la sua mentalità mostra un certo gusto e compiacimento nell’arrendersi e nel “tuffarsi” nel mondo…(106).

Ecco cosa trasmette, in fondo, don Tonino ai sacerdoti: l’ottimismo tragico e compiaciuto dei filosofi esistenzialisti… Privo di sana ascetica e di autentica mentalità di fede, l’uomo (anche il sacerdote) si ritrova sconfitto dal male

È vero che in quel ritiro, don Tonino raccomanda la lettura spirituale, la lettura detta vita dei Santi e degli scritti patristici…(107). Purtroppo questi buoni consigli (lettura dei Santi) di mons. Bello sono come “ingabbiati” e “soffocati” da una rete di mondanità, secolarismo, antropologismo che lo stesso mons. Bello contribuisce a tessere nel cuore dei suoi sacerdoti, religiosi e fedeli laici… Le buone medicine “tradizionali” e soprannaturali che pur fornisce (di quando in quando), non sono capaci di neutralizzare i veleni di quella mentalità secolarista che lui stesso accoglie e dispensa…

Il 18 febbraio 1990, in una visita pastorale, mons. Bello elogia la preghiera delle Clarisse per l’Est europeo, elogia la recita dei Rosari… Davvero bello! (108) Però egli non riesce a fare a meno di esortare ad amare il mondo… Siccome la gente non va in chiesa, allora, secondo don Tonino, è segno che bisogna uscire dalla chiesa… Don Tonino raccomanda di «uscire negli spazi profani»: «Invadete la profondità, profanatevi, diventate profani. Ascolteremo nelle letture. “Siate santi come il Signore è santo” (Lv 11,44). Non siate sacri ma santi. È un invito a uscire insieme alla gente. La parrocchia è fatta per servire il territorio: anche i miscredenti» (109).

Don Tonino dice che il metodo missionario è cambiato… «Non dobbiamo trascinare le anime a Cristo»… Ora è Cristo che agisce attraverso il nostro servizio al territorio…(110).

Il 15 marzo 1992, un anno prima della morte, don Tonino raccomanda ai suoi preti di pregare, anche davanti al Tabernacolo…(111). Il problema è che chi ha assorbito in pieno il “dontoninobellismo” (immersione nel mondo, svalutazione del sacro e dei Dogmi) forse farà grande fatica a restare davanti al Tabernacolo…

In alcune omelie del 12-15 settembre 1985 (triduo in onore della Madonna dei martiri, Patrona di Moffetta), giustamente, mons. Bello raccomanda a tutti la Confessione sacramentale, almeno una volta al mese… E aggiunge che «la confessione non è il tribunale della penitenza, è il luogo del perdono» (112). In realtà la Confessione è anche “tribunale” di penitenza… Del resto si chiama anche Sacramento della Penitenza… Ma si sa… i Pastori “moderni” preferiscono parlare di “Sacramento della Riconciliazione”… Penitenza è un termine “pre-conciliare” per i “dontoninobellisti”…

Comunque c’è almeno un altro punto di quelle omelie (12-15 settembre 1985), in cui mons. Bello “zoppica” nella Dottrina mostrando ancora la sua mentalità “comunista”. Eccolo. Mons. Bello mette in guardia da una «ecclesiologia satanica»… ossia il concepire  «una Chiesa arrogante […],  una Chiesa che si atteggia sempre a maestra, che sta sempre dalla parte della cattedra e non si mette mai dalla parte degli scolari, una Chiesa che pone le sue compiacenze nella sua arte, nelle sue biblioteche, nella sua cultura, nelle sue tradizioni, nei secoli di gloria che ha avuto, nella sua storia, nella sua diplomazia, nella sua capacità di trattare con gli uomini; una Chiesa forte che vuoi avere il suo spazio nella piazza del mondo e reclama la sua porzione di gloria. Questo è il modo satanico di concepire la Chiesa, questa è l’ecclesiologia satanica. Non è questa la Chiesa che Gesù ci presenta» (113).

In realtà, ciò che è satanico è la mentalità secolare e social-comunista con cui il Presule salentino fraintende e distorce il mistero e la realtà storico-teologica della Chiesa. Mons. Bello non mostra grande apprezzamento per il Magistero della Chiesa… soprattutto per quello pre-conciliare…

Forse che la Chiesa dell’era “pre-conciliare” (quando era più “potente” o “influente” nella società, ed era molto più attaccata al suo “passato” liturgico, teologico, ecc…) non era anche una Chiesa al servizio dei poveri? E che dire delle tantissime opere di carità sorte a favore dei poveri nella Chiesa pre-conciliare? Don Tonino è “satanico” nella sua manipolazione della storia.

Sempre legato ai soliti slogan da politica comunista, don Tonino dice che Gesù vuole «la Chiesa che scende a livello della gente, che fa lo stesso cammino, percorre la stessa strada, non la Chiesa che non vuoi macchiarsi il vestito» (114).

E quale sarebbe la Chiesa che «non vuoi macchiarsi il vestito»? Quella “pre-conciliare”, legata ai Dogmi e al “rubricismo”?… Don Tonino predica sempre sulla Chiesa che indossa il grembiule per servire, la «Chiesa del grembiule» (115)… Dall’insieme delle idee di don Tonino Bello, qui illustrate, potremmo pensare anche al grembiule… massonico!

Il 17 settembre 1989, mons. Bello stabilisce che tutti i ritiri spirituali che si terranno per «suore, sacerdoti, ministri straordinari dell’Eucaristia» vertano sulla Christifideles laici (116)

Anche qui don Tonino mostra di ignorare che sacerdoti e religiosi hanno particolari esigenze spirituali e non devono essere livellati ai laici. Egli confonde, inoltre, ritiro spirituale e incontro di formazione dottrinale e pastorale… Poi don Tonino ribadisce la priorità della vita interiore… (117). Ma ormai il dado è tratto. L’immersione (apostolica) nel mondo caldeggiata di continuo da don Tonino, inevitabilmente risucchia e ostacola le migliori energie spirituali e le virtù tipicamente religiose (tra cui clausura, raccoglimento, ecc…) 

Circa il rapporto tra Sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune dei fedeli, nonché le prerogative benedicenti del Vescovo, mons. Bello mostra di non avere le idee molto chiare… In data 13 settembre 1987, ad una coppia di laici (Filomena e Mario) che partono missionari in Argentina, don Tonino dice: «E ora, prima di allontanarvi dal grembo materno della vostra comunità, con tutta la forza che vi deriva dal sacerdozio regale e profetico dei fedeli, vogliate tracciare su di noi un largo benedicente segno di croce» (118)

Nel luglio 1991, mons. Bello predica a Lourdes Eserciti spirituali per sacerdoti ammalati e anziani. Il tema è Sacerdoti per il mondo e per la Chiesa. Al ritorno da Lourdes mons. Bello scopre di avere un tumore allo stomaco. Le prediche di quegli Esercizi spirituali sono raccolte nel libro Cirenei della gioia, pubblicato nel 1995 con la Prefazione di Enzo Bianchi, priore di Bose. Il titolo di quegli Esercizi ribadisce il leitmotiv del magistero episcopale di mons. Bello: Sacerdotì per il mondo…

Don Tonino parla di Dio in modo molto antropomorfico, direi, pagano: «II mondo è il chiodo fisso di Dio, è l’idea dominante che gli turba il sonno e non gli fa chiudere occhio. Comprendete allora che, se noi assumiamo nella loro crudezza queste espressioni e le metabolizziamo all’interno della nostra vita interiore, anche per noi il mondo deve diventare il chiodo fisso, l’idea dominante che non ci fa chiudere occhio» (119).

Invece di “imitare” il Presule salentino (beatificabile?), preferiamo seguire san Massimiliano M. Kolbe, il quale additava l’Immacolata come la nostra cara e amata «idea fissa»! Don Tonino dice che siamo «sacerdoti per il mondo», che il mondo «è il termine ultimo del progetto di salvezza», che dobbiamo avere «affetto per il mondo», ossia «il mondo della violenza […], il mondo della droga, il mondo della cattiveria […], il mondo dello squallore», ecc…(120).

Poi don Tonino dice che noi sacerdoti siamo «per il mondo» (per il mondo che lui ha appena descritto) e che dobbiamo soffrire e gioire «insieme con il mondo»… (121). Qualcuno avrebbe dovuto chiedere a don Tonino: come è possibile gioire con il mondo… della droga, della cattiveria, dello squallore, ecc., che non vogliono nessuna conversione? E poi che senso ha, insistere su questo «chiodo fisso» (il mondo!) durante Eserciti spirituali rivolti a sacerdoti ammalati e anziani che oramai hanno bisogno prioritario di pregare e di coltivare meglio le virtù soprannaturali e prepararsi all’incontro con Dio? Insomma, ci sembra che il Presule salentino abbia mostrato incapacità spirituale e pastorale anche nella scelta dell’argomento guida di quegli Esercizi.

Ancora con i soliti slogan mondani, don Tonino dice che noi siamo sacerdoti «per una Chiesa che supera la sue barriere. Una Chiesa che non chiude occhio per il mondo. Non una Chiesa che si protegge, che si difende» (122).

Don Tonino dice giustamente che la Chiesa e noi sacerdoti dobbiamo salvare il mondo, dobbiamo portarlo a Cristo…123. Ma nel contesto “progressista”, “mètadogmatico”, anti-sacrale e “socialista” del pensiero di don Tonino, c’è il rischio che la salvezza sia intesa semplicemente come “sociale”, terrena, intra-mondana… Oppure che il Cristo non sia più quello dei Dogmi… Don Tonino auspica che i fedeli sappiano liberare anche noi sacerdoti «dai ceppi rituali nei quali siamo bloccati» (124)…. Mons. Bello dice: «Noi dobbiamo essere servi del mondo» (125).

Nel Vangelo di san Giovanni è scritto che Gesù (durante l’Ultima Cena) si alzò da tavola, si cinse dell’asciugatoio e lavò i piedi ai suoi Discepoli. Don Tonino dice che i sacerdoti devono “alzarsi da tavola”, ossia uscire fuori dal perimetro delle chiese, uscire dal «nostro sacro rifugio», in cui don Tonino vede solo «il linguaggio delle pantofole, delle vestaglie, del caminetto»… Uscire dai «narcisismi spirituali che ci attanagliano anche nelle nostre assemblee»… uscire da quei «muri, dove non penetra mai l’ordine del giorno che il mondo ci impone»…(126).

Secondo don Tonino dobbiamo «uscire nella strada in un modo o nell’altro: c’è uscito anche Giuda “ed era notte” (Cv 13,30)» (127).

Ma è strana l’esegesi di mons. Bello… Sembra presentarci Giuda Iscariota come modello di uscita nel mondo

Don Tonino non mostra rimpianto e nemmeno comprensione della direzione spirituale ricevuta ai tempi del Seminario… Egli dice infatti che a furia dì vincere le passioni — come raccomandavano i padri spirituali— lui e i sacerdoti come lui, hanno perso la passione ossia l’entusiasmo per il Regno di Dio...(128).

In quegli Esercizi spirituali don Tonino narra di una sua lettera ai catechisti scritta di giorno, durante una Visita pastorale… Don Tonino, in quella lettera, dice che lui avrebbe voluto scrivere loro quella lettera di notte, nel raccoglimento… Avrebbe desiderato scrivere loro sulla Santissima Trinità… E invece è costretto a scrivere di giorno… ma ci sono tante persone che gli vogliono parlare… tanti problemi esistenziali da risolvere: drogati, invalidi, divorziati, disoccupati… Mons. Bello confessa candidamente ai suoi catechisti (e agli uditori di quegli Esercizi) che proprio non ce la fa a scrivere sul «mistero trinitario»… Mons. Bello dichiara che non sa come riannodare la Dottrina trinitario, con quello spettacolo desolante di problemi

Mons. Bello mostra di essersi lasciato troppo coinvolgere ed avviluppare dal mondo (da lui tanto predicato, osannato, amato…), dalle angosce esistenziali, fino al punto da non riuscire ad elevare se stesso e gli altri alle “cose di lassù” e al Mistero della Santissima Trinità in particolare… Don Tonino non è stato un Buon Pastore che eleva al Cielo. Con il suo “chiodo fisso” sul mondo, fa restare le sue anime sulla terra… Il Vescovo “don” Tonino è poco soprannaturale, troppo terreno e socio-politico…

Riporto vari brani di mons. Bello, circa quella Visita pastorale (brani riportati nei suoi Esercizi spirituali — Lourdes 1991), in cui notiamo una certa “crisi di fede”: «Questo girotondo di persone ferite, di persone sconsolate, di situazioni insanabili, di violenze sotto traccia… Che fatica combinare il vocabolario suggerito dalla dottrina biblica con quello urlato dalla disperazione degli uomini.

Quanto lontana è la luce dei cicli da questi crepuscoli vermigli della terra unti di sangue. In cima a un foglio ho segnato: mutua immanenza delle persone divine, ma che cosa ha da spartire questo concetto, che pure avrei voluto spiegarvi, col 70% di invalidità di Luigi, che mi sono annotato più sotto, nella speranza di segnalarlo alla casa di riposo dove non hanno voluto accogliere sua moglie, anch’essa anziana e malata di diabete?

Che senso ha che sul dritto del foglietto dei miei appunti abbia abbozzato alcune frasi sulla inabitazione della Trinità nell’anima del giusto, e sul rovescio mi ritrovo il numero telefonico del SUNIA, presso cui stasera dovrò protestare perché ad una famiglia numerosa, che abita in un locale diroccato fuori mano, non hanno concesso il punteggio giusto per l’assegnazione delle case popolari? […]» (129), e via ancora di questo passo con “litanie” dove si mescola sacro e profano con la netta vittoria del secondo…

Più avanti, dopo aver affermato più volte la sua impossibilità a discorrere di Dio Uno e Trino dinanzi alle angosce della gente, finalmente mons. Bello conclude: «È inutile, non ce la faccio proprio a sollevarmi verso le vertigini trìnitarie, sono troppo impantanato nei problemi dei nostri umani crepacci. Mi fermo qui, forse sono troppo stanco. Se mi riuscirà stanotte riconsidererò tutto nel silenzio della mia cappella. Per ora perdonatemi. Vi saluto» (130).

Le riflessioni di don Tonino non sono affatto edificanti. Invece di scrivere quelle cose angoscianti, avrebbe fatto meglio ad aspettare la notte e scrivere con spirito più soprannaturale. Invece di trasmettere Fede e Speranza, don Tonino trasmette impotenza umana e angoscia, quasi disperazione… Don Tonino, un Vescovo, che deve portare la Luce, purtroppo è “entrato” così a fondo nel mondo che alla fine nemmeno lui sa come portare Dio al mondo e il mondo a Dio… E entrato nella “disperazione” del mondo…

Circa quella lettera, mons. Bello vi ha aggiunto un post scriptum: «È vero, è tutto vero. Ho rimeditato su tutto ciò che ho scritto ieri e il Signore mi ha suggerito di non cambiare neppure una virgola: forse è proprio vero che le strade del cielo attraversano i poveri incroci della terra» (131).

A questo punto dovremmo commentare: “Dalla padella alla brace”!

Persino dopo una riflessione notturna, fatta con calma, don Tonino ribadisce e approva addirittura le sue crisi di fede, le sue parole insensate… E addirittura dice che il Signore gli ha ispirato così! Quale Gesù gli ha ispirato questo? Forse il “Gesù” senza Dogmi, quello che piaceva a Gaetano Salvemini (lodato dallo stesso mons. Bello)?

Un’altra occasione mancata. Mons. Bello, invece di “riparare”, si è ostinato a far scendere Dio, il sacro, la Fede, nell’abisso della disperazione quotidiana, sociale e secolare… E così non ha elevato gli animi al Ciclo, né ha risolto i problemi della terra… In don Tonino si vede il gusto per il mondo, il gusto per l’angoscia, per il tragico… E questo “sadismo” spirituale viene verniciato di pseudocristianesimo.

Il Presule salentino, anche a Lourdes (per giunta, a sacerdoti ammalati e anziani) parla della Madonna in modo eversivo e rivoluzionario: «Quando presentate Maria ai giovani, cari confratelli, non presentatela come la bambinella, la santarella tutta casa e sinagoga. Maria è amante della giovinezza, amante del cambiamento. Questo discorso fatto ai giovani li seduce» (132).

Don Tonino presenta una Madonna trasgressiva, eversiva, proprio come i giovani degli anni ’80-’90. Ma questo è un antropomorfismo insopportabile. Poi don Tonino, sulla linea dei giovani (eversivi), auspica «rinascite che si ottengono solo con radicali rovesciamenti di fronte, non con impercettibili restauri da laboratorio» (133).

Don Tonino dice anche cose devote su Maria Santissima (però lui la chiama solo «Maria»). Ad esempio, egli è convinto che la Madonna è stata addirittura testimone dell’evento della Risurrezione di Gesù (134). Ma questo è solo uno “sprazzo”, un “lampo”… Poi don Tonino, dopo qualche pagina, ricade pesantemente in una “mariologia” minimalista e secolarizzata, troppo dipendente da esagerate preoccupazioni ecumeniche. Mons. Bello ha in uggia anche la devozione, scambiandola facilmente per “devozionalismo”…

Leggiamo quello che dice il Presule salentino: «Dobbiamo riscoprire di più la funzione di Maria all’interno della nostra vita interiore, all’interno della nostra vita spirituale. Qualcuno potrà avere la sensazione che stiamo rasentando le soglie del devozionismo; qualcuno potrà anche arricciare il naso in nome del cristocentrismo, del pneumocentrismo e di tutti gli altri centrismi. Qualcuno potrebbe domandarsi perplesso: Cosa diranno i nostri fratelli protestanti se vengono qui? Non voglio esortarvi ad aumentare gli spessori della devozione mariana, vi sto esortando a ricentrare di più, a scoprire di più, la funzione ecclesializzante di Maria, la funzione di Maria all’interno della nostra vita interiore. Non si tratta di devozione: la Lumen Gentìum parla chiaro» (135).

Purtroppo mons. Bello vede incompatibilità tra il riscoprire il ruolo della Madonna nella nostra vita interiore e l’aumento della nostra devozione verso di Lei… Già… la devozione… Essa, come i Riti liturgici, non gli sta tanto a cuore… Certo, sulla scia della Lumen gentium, don Tonino spiega che non possiamo fare a meno della Madonna, Ella è «anticipazione della Chiesa»… Ma, leggendo oltre tali Esercizi spirituali, comprendiamo che quella di don Tonino è una Madonna “nuova”, secolarizzata e profanata (da don Tonino)…

Leggiamo alcune frasi: «Maria viveva sulla terra una vita comune a tutti. Simile cioè alla vicina di casa. […] Anche a lei un giorno dissero: “Maria, ti stai facendo i capelli bianchi…”. Si specchiò forse alla fontana, e anche lei provò la struggente nostalgia di tutte le donne quando si accorgono che sfiorisce la giovinezza. Non è estranea Maria alla sofferenza di tutte le figlie di Eva» (136).

Dunque una Madonna un po’ vanitosa, secondo don Tonino…

E poi don Tonino immagina una Madonna che ha i momenti di crisi con suo marito san Giuseppe, di cui Ella non riesce a comprendere i silenzi… una Madonna che soffre incomprensioni da parte di Gesù e san Giuseppe (137)… Ma che Madonna è mai questa? Don Tonino presenta la Madonna come — parole sue — «un’antica compagna di scuola» (138).

Un altro colpo di piccone anti-devozionale, don Tonino lo da alla reale Onnipotenza supplice di Maria Mediatrice di grazia. Don Tonino non sa che farsene di una Madonna che risolve i nostri problemi… Don Tonino vuole invece una Madonna che soffre i problemi e le angosce esistenziali (anche dal Paradiso??) come noi…

Ecco come don Tonino si rivolge alla Madonna: «Fa’ che possiamo sentirti vicina ai nostri problemi. Non come Signora che viene da lontano a sbrogliarceli con la potenza della sua grafia o con i soliti moduli stampati una volta per sempre. Ma come una che gli stessi problemi li vive anche lei sulla sua pelle, ne conosce l’inedita drammaticità e ne percepisce le sfumature del mutamento, e ne coglie l’alta quota di tribolazione» (139).

Don Tonino propone, di fatto, una devozione mariana secolarizzata, angosciosa, disperata… È lodevole che poi egli parli delle «esperienze spirituali» vissute da Maria, di modestia, umiltà e purezza per i nostri giorni… (140). Ma l’antropocentrismo di don Tonino permea tutta la sua mentalità, spiritualità, teologia e pastorale, soffocando i semi e i bei germogli di fede, devozione e spiritualità… E i frutti, seppur vi sono, non sono belli e non durano…

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