Alcune note sul “magistero” episcopale del servo di Dio
mons. Antonio (“don Tonino”) Bello (1935-1993).
Un contributo critico
di Padre Paolo M. Siano, FI
SU: RELIGIONI, SACRO, UOMO…
Nell’agosto 1992, presso la Cittadella (editrice) di Assisi si è svolto il 50 Corso di Studi Cristiano-interreligioso-internazionale sul tema Chiese e religioni nella nuova Europa: mercanti del sacro o testimoni dello Spirito? (141). In quell’incontro (a cui partecipò come relatrice anche l’onorevole comunista Nilde Jotti), mons. Bello tenne una conferenza più o meno intitolata La bisaccia del cercatore (oggi rinvenibile anche youtube [142]) dove, in circa 44 minuti, egli sintetizzò le linee portanti del suo “magistero” fin qui illustrato. Vediamo o rivediamo alcuni concetti chiave.
Don Tonino dice che bisogna essere compagni del mondo e dell’uomo, e testimoni dello Spirito. Egli intende purificare il volto di Dio dalle croste terrene… Dice che il «confluire sull’unico crocicchio di più religioni», invece che farci concorrenza, deve spingerci a «un processo di catarsi interiore che ci impedisca la pietrificazione di Dio, che ci preservi dall’assolutizzare i nostri sguardi parziali puntati su di lui» (143), una catarsi che ci abiliti a «percepire l’anelito di uno pneuma universale che erompe dalle viscere della terra e ci fa scavalcare le immagini di tutte le teofanie storiche» (144).
Praticamente, don Tonino auspica lo scavalcamento delle Religioni… già in altre occasioni egli ha fatto ben capire che i nostri Dogmi sono pietrificazioni di Dio…
Davvero inquietante il riferimento di don Tonino a «uno pneuma universale» (pneuma=spirito) che sgorga dalle viscere della terra (gli inferi?) e ci fa scavalcare le immagini delle teofanie storiche (dunque anche le teofanie ebraica e cristiana)… Ma quel “pneuma” o spirito, chi “diavolo” è? Uno spirito che viene dalle viscere della terra non è uno spirito del Cielo…
Don Tonino, su questo punto, è inequivocabilmente gnostico e, oserei dire, massonico.
Don Tonino, che forse comprende il carattere profondamente eversivo delle sue proposte, cerca di difendersi dicendo che non vuole mettere in crisi la nostra identità religiosa (Cattolica)… Anzi – citando padre Ernesto Balducci — mons. Bello dice che dobbiamo restare fedeli a una identità aperta, la quale non va ritenuta come il tutto ma come un frammento del tutto nascosto nel futuro… E con il nostro frammento (Cattolico!) non possiamo fare la misura del tutto… (145).
Quelle del Presule salentino sono espressioni dal sapore nettamente relativista e panteista che di fatto favoriscono un disprezzo dei Dogmi cattolici.
Il Presule salentino, quando parla di Liturgia e sacro, mostra sempre sottostima, fraintendimenti, incomprensioni… Ad esempio, in quel Convegno dice: «Anche dietro l’altare più santo è in agguato l’idolatria» (146).
Anche in quell’occasione don Tonino mostra avversione al sacro… Separa sacro e santità e poi fa sprofondare e identificare concettualmente la santità con il Profano… Mons. Bello profana il sacro e canonizza il profano… tutto ciò, ovviamente, in nome di un progressismo iper-conciliarìsta che vuole una Chiesa “mondanizzata”.
Mons. Bello dice che con la Gaudìum et spes, la Chiesa ricolloca le sue tende nella Città terrena… E la Chiesa, prosegue il Presule salentino, «non pretende per i discepoli di Gesù suoli privilegiati per la loro edilizia. Alla categoria del sacro, cioè della separatela che seleziona spazi e tempi da dedicare al Signore, [ndr. la Chiesa] preferisce la categoria della santità che permea di presenta divina anche le fibre più profane dell’Universo (147).
Mons. Bello critica i maestri ascetici, i maestri di vita inferiore (preconciliari) i quali di insegnavano a condividere le sofferente del mondo… Invece ora Gaudium et spes ci invita a condividere le gioie del mondo… Poi don Tonino, proseguendo il discorso sulla separazione tra sacro/santità, parla di «santità che è percettibile nelle cose» (148) (ovviamente, le cose del mondo).
A quel Convegno, mons. Bello non riesce a contenere la sua ossessione critica verso il sacro e verso la sacra Liturgia, che lui, oggettivamente, sottovaluta e ritiene superflua per l’opera di santità e testimonianza cristiana… Infatti mons. Bello afferma che per una genuina testimonianza cristiana, occorrono coordinate di «concretezza ed autenticità» le quali sono «da rintracciare non nelle carte nautiche dei libri edificanti, o dei nostri Messali e neppure delle nostre sontuose liturgie, ma da rintracciare nella vita pratica dei cristiani veri che gli uomini di oggi per quanto scettici o lontani, increduli o indifferenti o diversi potranno incrociare la loro rotta con quella di Gesù Cristo»149.
E ancora in preda ad ossessioni anti-liturgìche, antirubrìcalì ed antidogmatiche, il Presule salentino dice che la Chiesa non deve trincerarsi «nel perimetro rassicurante delle sue liturgie» e non deve rimanere «assorta nella sterile lucidità dei suoi dogmi» (150). Quindi mons. Bello cita con elogio il seguente brano di Dietrich Bonhoeffer: «Non ci è lecito intonare il canto gregoriano finché c’è un solo ebreo che è votato allo sterminio» (151).
Quasi a conclusione della sua conferenza, mons. Bello afferma che la Chiesa non deve contare «su progetti integralisti» (152). Qualche minuto prima egli ha dichiarato che il nostro «deficit» (ecclesiale) non sta nella carenza dell’annuncio della Risurrezione di Gesù quanto invece nella mancanza di testimonianza cristiana autentica… (153).
Da come si evince anche da altri brani e discorsi qui citati, è chiaro che mons. Bello da scarsa importanza alla custodia ed alla difesa della Dottrina della Fede… Non conosce, o fa finta di non conoscere, i gravi errori di Teologia, di Morale e di Esegesi biblica (anche circa la Risurrezione di Cristo) che già all’epoca (anni ’80-’90) allignavano in ambienti ecclesiali e accademici.
Insomma, il Presule salentino propone col suo “magistero” episcopale una mentalità “anti-integralista”, cioè una mentalità “nuova” di cristianesimo in cui sacro, sacra Liturgia, Dogmi sono insignificanti, indifferenti, quasi superflui, per la missione di santità e di testimonianza cristiana nel mondo… Ma una Chiesa così “debole”, come la vuole don Tonino, non potrà dare un’autentica testimonianza di Fede. Una siffatta Chiesa è appiattita, “tradita”, consegnata al secolarismo.
Mons. Bello si è comportato, di fatto, come un oggettivo alleato del comunismo culturale e del neo-modernismo ideologico.
Verso la conclusione della sua relazione a quel Convegno, mons. Bello cita l’episodio della morte di quattro cappellani militari (un ebreo, un cattolico, due protestanti) che muoiono tenendosi per mano, mentre cercano di mettere in salvo il resto dell’equipaggio di una nave colpita da un siluro nazista (1943)… Per mons. Stello quell’episodio rappresenta la fine delle Religioni che si sacrificano per la salvezza dell’uomo… E quindi l’avvento dell’«unica religione» che assume come valore la salverà dell’uomo…(154)
Davvero nelle parole del Presule salentino si coglie quello “spirito di Assisi” inteso in senso profondamente esoterico e gnostico.
Come vedremo nel prossimo paragrafo, il Presule salentino mostra in varie occasioni sprazzi di sensualità incontenibile… In quel Convegno assisano del ’92, mentre disquisisce sui rapporti tra buono e bello, bonus e bellus, dice ad un certo punto che nel dialetto salentino, per dire che “una ragazza è bella” si dice che è «bunedda»...
E più avanti, allorché cerca di mostrare che le gioie umane sono contigue a quelle eterne e che la Gaudium et spes (del Vaticano II) ci esorta ad essere cirenei della gioia del mondo, a far da compagni del mondo, il Presule salentino ci esorta a condividere le gioie umane e accenna all’ «estasi» che si prova dinanzi un bel paesaggio, e poi, poco oltre, accenna o «umanissima gioia che ti rapisce davanti al sorriso di un bambino, al lampeggiamento degli occhi di una donna, […] alla letizia di un abbraccio sincero» (156).
8. MARIOLOGIA «TERRA TERRA», SENSUALITÀ, FEMMINISMO
Nell’anima di mons. Bello troviamo scolpita una grande sensualità, frutto della sua ossessione verso l’uomo e verso il mondo. In uno scritto del 18 gennaio 1987, egli racconta la sua prima visita “ad limina” dal papa Giovanni Paolo IL II Pontefice pone varie domande a mons. Bello rigurdanti la sua diocesi, i giovani, i sacerdoti, il popolo, ecc… A questo proposito, mons. Bello scrive: «Non ricordo che cosa gli ho risposto. Forse mi sono espresso con impacciata forzatura, così come un uomo innamorato può parlare della sua donna» (157).
Mons. Bello parla persino della «nudità del Vangelo» (158), oppure di mettere «a nudo i bisogni scoperti» (159), oppure di «logica di nudità» (160) (ossia spogliarsi delle apparenze e del superfluo), «logica della nudità» (161)… Quando parla di «Chiesa del grembiule» (immagine a lui tanto cara), don Tonino la definisce «un’immagine un tantino audace, discinta, provocante. Una fotografia leggermente scollacciata di Chiesa» (162).ì
Insomma, mons. Bello usa un linguaggio provocatorio, “di mondo”, con riferimenti “osé” al corpo femminile…
Alcuni comportamenti diplomatici di Giovanni Paolo II hanno destato scalpore in ambienti cattolici “di sinistra”, ossia l’abbraccio del Papa a Pinochet e la sua visita a Reagan. A questo proposito, mons. Bello dice che lui vuole bene al Papa ed esorta a pregare per il Papa, «perché il Papa è Pietro, Pietro peccatore, non Pietro senza peccati, Pietro che sbaglia e non soltanto prima della Resurrezione di Gesù, ma anche dopo» (163).
Poi il Presule salentino parla della Chiesa e si lascia scappare una… parolaccia: «Noi sappiamo che la Chiesa è una “casta meretrix”, come dicevano i Padri, una “casta puttana” cioè, espressione in cui l’aggettivo va erodendo giorno dopo giorno il sostantivo» (164).
Ah, don Tonino… don Tonino… Perché ha tradotto “meretrix” con quel termine volgare e triviale? Un Vescovo che parla così, cosa ha nel cuore e nella mente? Aspettate e leggerete dell’altro.
Mons. Bello indirizza una lettera immaginaria, e piena di «galanterie», a Myriam, sorella di Mosè… Don Tonino vede in Maria sorella di Mosè «il simbolo tutto moderno dell’audacia, della tenerezza e delle rivendicazioni del mondo femminile» (165).
Don Tonino non riesce a nascondere la sua sensualità. Allorché elogia la «danza inventata» da Myriam, egli aggiunge: «Si condensa nelle volute dei vostri corpi di donna, roridi di profumi e di sudore [,..]»(166). Poi don Tonino immagina «i piedi nudi delle danzatrici», tra cui quelli della «dolcissima Myriam» (167)… Don Tonino elogia, di Myriam, il suo «Profumo di donna» (168).
In un certo senso, don Tonino da il “colpetto” iniziale alla fantasia dei Lettori, specialmente giovani, portandoli ad immaginare corpi di donna che danzano … Non osiamo pensare dove potrebbe arrivare l’immaginazione lungo i “sentieri” sensuali e voluttuosi tracciati con delicata scaltrezza dal Servo di Dio (e servo del mondo!) mons. Antonio Bello.
E ancora. Nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, 22 ottobre 1989, mons. Bello si rivolgi a tutti, tutti sono missionari. «Anche tu!». Ad un certo punto don Tonino scrive: «Anche tu, Lella, che ti sei iscritta all’Isef e i ragazzi, quando la sera passeggi sul corso, ti lasciano gli occhi addosso perché sei bellissima e modesta» (169)
Da questa frase si evince che anche don Tonino ha lasciato «gli occhi addosso» alla «bellissima» Lella… Anche se fosse un personaggio fittizio, poco importa… Don Tonino si diletta a guardare e a ricordare… L’esatto contrario di quel che fanno i Santi, amanti della castità.
Sull’episodio della mormorazione di Myriam (sorella di Mosè), mons. Bello da, compiaciuto, un’interpretazione femminista; in tal modo don Tonino, oggettivamente, mette in cattiva luce Dio presentandolo come un Giudice che ha dato un castigo ingiusto e sproporzionato… Un Dio Giudice maschilista e ingiusto? Che bestemmia! E un Vescovo che fa queste “esegesi” bibliche dovrebbe esserci proposto come “Beato” o addirittura come “Santo”? Che vergogna!!!
Infatti mons. Bello spiega che Myriam ha mormorato contro Mosè poiché questi accentrava tutto il potere nelle sue mani… Poi Dio ha punito Myriam con la lebbra... Don Tonino difende ed elogia la «ribellione» di Myriam (170). Così don Tonino conclude la sua lettera femminista e sensuale: «Mi fermo qui. Anche perché non vorrei essere accusato di aver fornito imprudentemente ai circoli femministi pericolosi argomenti biblici, strumentalizzabili per le loro rivendicazioni» (171).
Troppo tardi, Eccellenza… Ormai il “sasso” l’ha lanciato… il “colpetto” lo ha dato, e come al solito nasconde la mano e fa’ finta di niente, lasciando che gli altri scivolino e cadano lungo i sentieri “sinistri” da lei tracciati (antropocentrismo, progressismo teologico ed ecclesiale, secolarismo religioso-sacerdotale, femminismo, cripto-comunismo…).
In data 18 gennaio 1990, mons. Bello indirizza a San Giuseppe una lettera immaginaria, nella quale troviamo un romanticismo melenso, stupido, sensuale e irriverente, che equipara i due castissimi Sposi a una coppia qualunque…
Il Presule salentino immagina che la Madonna ricambi il sorriso di san Giuseppe sfiorandogli il capo «con la prima carezza». Poi san Giuseppe, facendosi coraggio, va una notte sotto la finestra di Maria, profumata di menta e basilico, e le canta alcuni versi del Cantico dei Cantici… (112). Poi la Madonna— fantastica don Tonino — ascoltando la “serenata” biblica, esce sulla strada, va da san Giuseppe, gli prende la mano e gli rivela di essere diventata la Madre del Figlio di Dio; poi la Madonna chiede a san Giuseppe di uscire dalla sua vita… Allora san Giuseppe stringe Maria al suo cuore e le accarezza il grembo… (113).
È lecito ipotizzare che mentre scriveva queste cose, mons. Bello era delirante oppure in preda ad una crisi di “sensualità mistica”…
In un paio di lettere del febbraio 1988, mons. Bello tenta di «riformulare» le Litanie mariane «in termini più laici». Il primo appellativo con cui chiamare Maria dovrebbe essere «Donna senza retorica»… Don Tonino equipara la Madonna alle varie ragazze dei nostri giorni: «Come Antonella, la ragazza di Beppe», «come Angela, la parrucchiera della città vecchia», ecc…(174).
Mons. Bello immagina che Maria: «Come tutte le mogli, avrà avuto anche lei momenti di crisi nel rapporto con suo marito, del quale, taciturno com’era, non sempre avrà capito i silenzi. […] Come tutte le donne, ha provato pure lei la sofferenza di non sentirsi compresa, neppure dai due amori più grandi che avesse sulla terra» (175).
Mons. Bello scrive, seriamente convinto, che «la follia» di ricondurre la Madonna «nei confini dell’esperienza terra terra», non vuole essere dissacratoria… Don Tonino vuole togliere l’aureola a Maria per ammirarla «a capo scoperto»… vuole spegnere «i riflettori puntati» su di Lei per misurare meglio l’Onnipotenza di Dio..(176). Purtroppo dobbiamo constatare che il Presule salentino ha compiuto, dal punto di vista letterario e pastorale, una oggettiva dissacrazione mariana, nonostante le sue pur buone intenzioni espresse con maestrìa poetica e fantasiosa.
Nel 1993 le Edizioni Paoline pubblicano quello che forse è il best-seller mariano di don Tonino Bello: Maria donna dei nostri giorni. Don Tonino desiderava usare quel libro per il mese di maggio e invece morì il 20 aprile di quell’anno. Le ultime Litanie mariane, che recitò insieme all’amico mons. Luigi Bettazzi, furono quelle scritte in Maria donna dei nostri giorni (111). Questo libro di don Tonino Bello viene offerto addirittura come supplemento n. 2 (pp. 163) al numero del 18 maggio 2004 del settimanale Famiglia Cristiana edito dai Paolini. In questa sede cito la prima edizione pubblicata nel 1993 dalle Edizioni Paoline, quando mons. Bello era ancora vivo. Vediamo ora alcune tesi dell’ultimo libro di mons. Bello.
Qui don Tonino ripete cose già dette su Maria in pubblicazioni precedenti e che ho sopra citato. Segnalo anche la “litania” antropologica a cui si riferiscono le strane opinioni di don Tonino che metterò in evidenza (e che se non fossero attribuite ad un Servo di Dio, sarebbero delle autentiche sciocchezze):
1) «Maria, donna feriale». La Madonna vede i suoi capelli bianchi e prova la «struggente nostalgia» che provano tutte le donne a vedere sfiorita la loro giovinezza. Anche la Madonna avrà avuto le sue crisi coniugali a causa delle reciproche incomprensioni con (san) Giuseppe… Don Tonino ammette la sua «follia» di voler ricondurre Maria «entro i confini dell’esperienza terra terra» per apprezzarla meglio (?!)…(178).
2) «Maria, donna senza retorica». La Madonna è come Antonella, la fidanzata di Beppe, entrambi senza lavoro… È come Angela, la parrucchiera… È come Isabella, la vedova… è come «Rosanna, la suora stimmatina» per il recupero dei tossicodipendenti… (179). Don Tonino equipara e “abbassa” la Madonna (svolta antropologica) al livello di creature ordinarie concepite col peccato originale…
3) «Maria, donna innamorata». Don Tonino equipara la Madonna ad una “normale” ragazzina italiana “di parrocchia”: «Ha assaporato pure lei [ndr. Maria] la gioia degli incontri, l’attesa delle feste, gli slanci dell’amicizia, l’ebbrezza della danza, le innocenti lusinghe per un complimento, la felicità per un abito nuovo» (180).
Il Presule salentìno fantastica sulle reciproche dichiarazioni e tenerezze “d’amore” tra Maria e (san) Giuseppe avendo come punto di riferimento l’amore umano (forse anche foto-romanzi, film, telefilm…): parole, sguardi, serenate notturne di (san) Giuseppe sotto la finestra di Maria (Cantico dei Cantici)…, (181).
Le cose sopra citate, e quelle che andremo a citare (sempre dal libro Maria, donna dei nostri giorni), denotano nel Presule salentino una gravissima carenza di Fede, di Teologia, di soprannaturale e persino di razionalità… Fede e ragione (disciplinata) vengono “prese a pugni” dalla “mariologia” (mariologia, tra virgo-lette) spontaneista, sensualista e antropocentrica di mons. Bello, secondo il quale, le salmodie notturne dette claustrali e i balletti delle danzatrici del Bolscioi, emanano dalla medesima sorgente di Amore... Con tutta la buona volontà “giustificazionista” non si può rimanere “abbottonati” dinanzi a scempiaggini di questo genere (che alle pia aures fidelium suonano come bestemmie).
Ecco cosa dice (in preda ad una sorta di «follia» dissacrante) il Presule salentino a Maria: «Aiutaci perché in quegli attimi veloci di innamoramento con l’universo possiamo intuire che le salmodie delle claustrali e i balletti delle danzatrici del Bolscioi hanno la medesima sorgente di carità. E che la fonte ispiratrice della melodia che al mattino risuona in una cattedrale è la stessa che si sente giungere la sera… da una rotonda sul mare: “Parlami d’amore, Mariù”» (182).
Ma cosa è mai questa “verve” di don Tonino? Poesia? Follia? Furore dissacratore? Forse, un po’ tutto…
4) «Maria, donna gestante». Di fatto, don Tonino insinua dubbi sulla verginità fisica di Maria Santissima e, in pratica, anche sulla di Lei Immacolata Concezione. Non la chiama mai “Santissima”, forse perché, per lui, è un aggettivo troppo “sacro”, troppo “devoto”. Al massimo, la chiama “Santa Maria”.
Circa la gravidanza di Maria, don Tonino scrive: «Maria non fu estranea alle tribolazioni a cui è assoggettata ogni donna comune gestante. Anzi, era come se si concentrassero in lei le speranze, sì, ma anche le paure di tutte le donne in attesa. Che ne sarà di questo frutto, non ancora maturo, che mi porto nel seno? Gli vorrà bene la gente? Sarà contento dì esistere? E quanto peserà su di me il versetto della Genesi: “Partorirai i figli nel dolore?”. Cento domande senza risposta. Cento presagi di luce. Ma anche cento inquietudini» (183).
Una “Maria” così “profanata”, così “dontoninobellista”, di fatto non è più la Sempre Vergine, la Sempre Intatta, l’Immacolata Concezione… Il Presule salentino ha ridotto la Madonna a “casta meretrix”…
5) «Maria, donna del primo passo». Don Tonino fantastica su Maria e Giuda Iscariota: «Chi sa con quale batticuore sei uscita di casa per distogliere Giuda dalla strada del suicidio: peccato che non l’abbia trovato. Ma c’è da scommettere che, dopo la deposizione di Gesù, sei andata a deporre dall’albero anche lui, e gli avrai ricomposto le membra nella pace della morte» (184).
La Madonna che ricompone il cadavere di Giuda che, nell’atto dell’impiccagione si era crepato in due? Il buonismo, il perdonismo e l’audacia fantastica di don Tonino uniscono tutti gli opposti… virtù e vizio, penitenza e impenitenza, salvezza e dannazione…
6) «Maria donna coraggiosa». Con il solito linguaggio fatto di “slogan” scioccanti, trasgressivi, a effetto, mons. Bello presenta la Madonna come antesignano della teologia della liberazione… la Madonna che non è tutta casa e chiesa come la presenta il “devozionalismo”... Si vede che don Tonino non apprezza la vita religiosa femminile “tradizionale”…
Don Tonino dice a Maria: «Hai reagito dinanzi alle ingiustizie sociali del tuo tempo. Non sei stata, cioè, quella donna tutta casa e chiesa che certe immagini devozionali vorrebbero farci passare. Sei scesa sulla strada e ne hai affrontato i pericoli, con la consapevolezza che i tuoi privilegi di Madre di Dio non ti avrebbero offerto isole pedonali capaci di preservarti dal traffico violento della vita» (185).
7) «Maria, donna del vino nuovo». Mons. Bello prega la Madonna contro i seguenti “pericoli”: «Preservaci dalle false sicurezze del recinto, dalla noia della ripetitività rituale, dalla fiducia incondizionata negli schemi, dall’uso idolatrico della tradizione» (186)
Ora, però, nel contesto del pensiero di don Tonino:
– per «false sicurezze del recinto», leggi: Dogmi di Fede e massime ascetico-spirituali;
– per «ripetitività rituale», leggi: rispetto delle rubriche liturgiche;
– per «uso idolatrico della tradizione», leggi: zelo legittimo per l’ortodossia di Fede e per la Tradizione…
8) «Maria, donna che conosce la danza». Don Tonino afferma di aver letto il libro di una antropologa che scardina le Verità della Fede su Maria e nelle ultime pagine la studiosa aggiunge che la Madonna non potrà mai danzare. Il Presule salentino è scandalizzato per quest’ultima frase, la trova «pesante come un’ingiuria» e aggiunge: «O Dio: nel libro c’è di peggio, perché vengono scardinate le verità più salde che i credenti hanno sempre professato sul conto della Madonna. Però, mentre non mi ha scandalizzato più di tanto il sorrìso di sufficienza sul suo immacolato concepimento, sulla sua verginale maternità, mi ha dato invece un fastidio incredibile l’insinuazione che lei non sapesse danzare. Mi è parso insomma un enorme sacrilegio. Un oltraggio alla sua umanità. Un delitto contro ciò che ce la rende più cara: l’irresistibile dolcezza delle figlie di Eva» (187)
Ancora indignato per quella frase («Maria non potrà mai danzare») — e non per il rifiuto dei Dogmi mariani — mons. Bello aggiunge, con toni morbosi: «Che cosa si nasconde, infatti, sotto questa frase, se non l’affermazione che Maria non ha avuto un corpo come le altre donne, e che la sua era una femminilità per modo di dire, o, comunque, così disincarnata ed evanescente, da renderle impossibile il prolungarsi gestuale nel vortice della danza?» (188)
Ancora sensualità… Don Tonino prosegue nella sua arringaranto antropologica, poetica e sensuale sulla danza della Madonna: «E non vi sembra una bestemmia il solo sospetto che Maria fosse una creatura svigorita di passioni, povera di slanci, priva di calore umano, macerata solo da digiuni e astinenze, genuflessa sugli specchi frigidi delle contemplazioni, incapace degli struggimenti interiori che esplodono appunto nella grazia del canto e nella dilatazione corporea del ritmo?» (189).
A dire il vero, in questo caso, anche il Presule salentino rasenta la «bestemmia»: egli infatti antropologizza e de-soprannaturalizza Maria a tal punto, che la “infossa” nelle passioni umane, la mette allo stesso livello delle povere figlie peccatrici di Eva (vanitose, sensuali, seducenti e “ballerine”), sino al punto da sfigurare e demolire i suoi Privilegi mariani.
Il Presule salentino, nella sua “mariologia” terra terra, non celebra i Privilegi di Maria Santissima, ma celebra con morbosità il di Lei corpo femminile immaginandolo voluttuoso e danzante… Il Presule salentino celebra la volontà (sua e altrui) di voler vedere Maria come una qualsiasi creatura passionale, schiava della concupiscenza… Una “mariologia” senza Dogmi. Ecco cosa celebra mons. Bello. Celebra la sua idea di “Maria”. Ma questa non è la vera Madonna.
Invece di “equiparare” (in certo qual modo) Maria Santissima alle sante suore, monache e vergini consacrate (caste, pudiche, modeste, raccolte, oranti, “angeliche”), invece di mostrare tali anime consacrate come le più vicine e somiglianti a Maria Santissima, al contrario mons. Bello (Servo di Dio!) equipara Maria alle ragazze secolari vanitose, sensuali e dannanti e (di fatto) presenta queste come le più vicine e somiglianti a Maria… Anche su questo punto mons. Bello opera una inversione di valori, una alchemica unione di opposti…
Anche attraverso lo studio della sua “mariologia”, comprendiamo che mons. Bello non aveva grande stima né comprensione per la vita religiosa “tradizionale”…
Nel suo sproloquio mariologico, mons. Bello afferma: «Qualcuno forse si chiederà perché mai mi sia tanto ostinato a sottolineare questa particolare attitudine “artìstica” di Maria. La risposta è semplice: non può sostenere la morte chi non sa sostenere la danza! Dire, perciò, che Maria non potrà mai danzare, significa ritenerla estranea a ciò che morte e danza hanno in comune: l’affanno del respiro, lo spasimo dell’agonia, la contrazione dolorosa del corpo. Significa svuotare di valore salvifico la sofferenza della Madonna, e ridurre il mistero dell’Addolorata, nonostante le sette spade confitte nel cuore, a uno spettacolo appariscente, allestito da Dio per funzionali ragioni scenografiche;
In modo davvero capzioso, mons. Bello si serve di Verità mariane (in tal caso la Cooperazione di Maria alla Redenzione) semplicemente per giustificare la sua ossessione antropologica e sensuale verso Maria, donna che danza… Tutti i misteri della Fede, in virtù della “svolta antropologica” vengono fatti convergere verso l’uomo, verso il mondo, verso cioè una comprensione terra terra, mondana sensuale…
9) «Maria, donna bellissima». Il riferimento fugace all’Immacolata Concezione, (Maria, «senza neppure l’ombra del peccato») serve unicamente a don Tonino per esaltare la bellezza di Maria, anche quella corporea. Infatti precisa: «Parlo, anche, del suo corpo di donna» (191)
10) «Maria, donna dei nostri giorni». Ecco la 29a litania in cui don Tonino immagina Maria: «Immersa nella cronaca paesana. Con gli abiti del nostro tempo. Che non mette soggezione a nessuno. Che parcheggia la macchina accanto alla nostra».
Purtroppo, don Tonino non si ferma qui. Va oltre. E ribatte inchiodo della sensualità. Mons. Bello scrive di Maria: «Vogliamo immaginarla adolescente, mentre nei merìggi d’estate rìsale dal la spiaggia, in bermuda, bruna di sole e di belletta, portandosi negli occhi limpidi un frammento dell’Adriatico verde. E d’inverno, con lo zaino colorato, va in palestra anche lei» (192).
Il Presule salentino sembra impazzito. La Madonna che va al mare, abbronzata, e che indossa bermuda, mostrando così seno, gambe e fianchi… ? La Madonna che va in palestra come le comuni ragazzine, anche lì mettendo così in mostra il suo corpo femminile? Il Presule salentino denota una fantasia morbosa, segno di una discutibile integrità interiore. A don Tonino piace immaginare Maria che, come una qualsiasi donna, il giovedì va al mercato di Molfetta «e tira sul prezzo anche lei» (193).
Come già predicato a Lourdes, nel 1991, anche nel suo ultimo libro (1993), mons. Bello dice che vuole sentire Maria vicina, non come Colei che risolve i problemi, ma come Colei che li vive… «Fa’ che possiamo sentirti vicina ai nostri problemi. Non come Signora che viene da lontano a sbrogliarceli con la potenza della sua grafia o con i soliti moduli stampati una volta per sempre. Ma come una che, gli stessi problemi, li vive anche lei sulla sua pelle, e ne conosce l’inedita drammaticità, e ne percepisce le sfumature del mutamento, e ne coglie l’alta quota di tribolazione» (194).
Maria: «Come un’antica compagna di scuola» (195)
9 ALCUNE CONCLUSIONI
Nell’ottica di mons. Bello, tutti i Misteri della Fede (Dio Uno e Trino, Cristo, l’Eucaristia, la Vergine Santissima, la Chiesa..?) divengono un pretesto per parlare dell’uomo e del mondo, per osannare e glorificare l’uomo… Il soprannaturale è affossato “gnosticamente” nel naturale… Il “magistero” episcopale di mons. Bello non aiuta l’uomo ad elevarsi al Cielo, ma imprigiona il Ciclo e l’uomo nell’angoscia esistenziale della terra, senza scampo… La speranza soprannaturale è labile, è offuscata…
Mons. Bello rimpicciolisce e restringe al quaggiù gli orizzonti soprannaturali ed eterni… Egli “imprigiona” lo spirituale ed il soprannaturale nel materiale e nel naturale… Questa non è affatto una logica da “Mistero dell’Incarnazione”, bensì è una logica gnostica… Curioso al riguardo l’ossessione di mons. Bello per la Chiesa del grembiule… Il grembiule… Ma quale? Quello massonico? Che dire poi di quel riferimento (Assisi, 27 agosto ’92) allo spirito («pneuma») universale che erompe dalle viscere della terra e vuoi scavalcare tutte le teofanie storiche? Chi è quello spirito che proviene dal “basso” e scavalca religioni e teofanie? Il diavolo.
I massoni accettano di buon grado il “cristianesimo” socio-orizzontale e a-dogmatico tratteggiato da mons. Bello (come pure quello del card. Martini, a cui mons. Bello si rifa volentieri).
Insomma non vediamo affatto in mons. Bello un’autentica Fede e Spiritualità Cattolica, non troviamo in lui un’autentica ansia di Cielo, come quella dei Santi, ma solo un continuo rìvendicazionismo sociale e un gusto “pazzo” per il mondo e per l’uomo, ossia valori e atteggiamenti umani con i quali, di fatto, il Presule salentino mescola, identifica, riduce il Vangelo e la Fede Cattolica… Non troviamo in lui sicurezza e chiarezza dottrinale. In lui non c’è nessuna lotta in favore della difesa dei Dogmi della Fede, ma solo lotta per il sociale, allergia per la Chiesa “pre-conciliare” (con i suoi Dogmi, Liturgie, sicurezze dottrinali…), smania futurista e progressista per il “nuovo”…
E’ nostra opinione che Beatificare o Canonizzare mons. Antonio Bello equivale, praticamente (in certo qualmodo), a “canonizzare” un modello assai discutibile, labile ed eterodosso di Pastore e di pastorale.
In conclusione, nonostante la confusione dottrinale dei nostri tempi, ci meraviglieremmo molto se il Servo di Dio mons. Antonio Bello venisse beatificato; in quel caso ipotetico — ci sia permesso un po’ di ironia – non potremmo far nostro nemmeno il motto: “Santi ammirabili ma non sempre imitabili”. Non vediamo davvero cosa ci sia né da ammirare, né da imitare.
Sottomettendo, sin d’ora, il nostro giudizio a quello futuro del Santo Padre sulla “beatificabilità” del Servo di Dio, al presente, ci auguriamo che i Pastori della Chiesa — soprattutto loro — non imitino mons. Antonio Bello nei suoi errori dottrinali e nei suoi atteggiamenti scandalosi qui denunciati.