Notiziario di un gruppo di volontari libanesi membri di “Oui pour la vie”, associazione di volontariato con sede a Damour in Libano, legalmente riconosciuta e operante in favore dei più poveri.
padre Damiano Puccini
Anche nei pressi di Damour, vicino la sede legale della associazione “Oui pour la vie”, come in tutta la periferia di Beirut i volontari cristiani si recano costantemente ad aiutare i rifugiati siriani, sparsi in accampamenti informali o sotto ripari di eternit o legno.
Si tratta di persone giunte dalla Siria senza niente e che ora si trovano a dover far fronte alle rigide temperature invernali. L’aiuto consiste – con gli scarsi mezzi a disposizione dei volontari – nel costruire tende con cartone, plastica e sassi, non sufficienti per il clima rigido della zona. Quando piove l’acqua filtra all’interno e i bambini per proteggere le gambe dal fango, quando camminano, mettono ai piedi buste di plastica. Sono circa 35 mila bambini siriani in Libano con meno di 14 anni che vivono in condizioni estreme.C’è anche il pericolo di epidemie di epatite e colera poiché le latrine sono inondate e non ci sono i mezzi per mantenere strutture igieniche adeguate.
Le case hanno prezzi proibitivi: un appartamento viene affittato a 600 dollari e per questo viene occupato anche da 30 persone che dormono per terra. Anche in questo caso i volontari cristiani danno il loro costante contributo per le urgenze. Quando entrano in queste case e si siedono per terra accanto a queste persone che non hanno nessun arredamento nei loro rifugi di emergenza è sempre toccante vedere il sorriso illuminare il volto di tutti quanti: dei volontari e delle donne profughe, che accompagnano per visitare appartenenti anche a gruppi rivali e condividere con loro un poco degli aiuti acquistati grazie alle rinunce dei giovani cristiani. Sono gesti che “Oui pour la vie” propone alle persone aiutate per favorire il perdono reciproco, dopo le laceranti violenze subite.
Una signora ha scelto di mangiare solo ortaggi al posto della carne e donare dell’olio. Un uomo che ha un piccolo negozio ha dato una parte dei suoi locali per accogliere una famiglia composta dai genitori e da otto tra figli e nipoti. Questo signore diceva di non sentirsi tranquillo con il suo riscaldamento, i pasti caldi e un letto sapendo che c’erano persone in strada. Un’altra persona ha accolto una famiglia di profughi nella sua casa e un venditore di frutta e legumi si è impegnato a offrire regolarmente dei pasti cucinati con gli ingredienti che vende.
I nostri volontari s’impegnano molto anche nelle ripetizioni scolastiche ai bambini siriani che sono abituati a ricevere nel loro paese di origine un insegnamento nella sola lingua araba, mentre in Libano si utilizzano moltissimo l’inglese e il francese.
Ad aprile un sacerdote appena arrivato in Libano dalla Siria ha così descritto la situazione del suo paese: «La situazione degli sfollati all’interno è tragica. Gli affitti nelle zone di rifugio sono esorbitanti, mentre non c’è più possibilità di salario. Questi rifugiati dopo aver perso le loro case, il loro lavoro e spesso anche gli strumenti per lavorare, solo molto raramente trovano un impiego. Spesso sono senza alcuna risorsa. Ma anche chi ha ancora la possibilità di restare nel proprio villaggi, nelle proprie case, è ormai povero a causa della crisi economica che ha colpito tutto il Paese e dell’aumento dei prezzi»
«Ovunque incontriamo le stesse tragedie e la disperazione. Anche il dolore della perdita di un marito, un figlio, un fratello… morto, rapito o scomparso. Ovunque dubbio, paura e sospetto. Ma tutto questo è solo un’immagine assai pallida della triste realtà della vita quotidiana dei nostri fedeli in Siria. Tutte le chiese della Siria si sono riunite per portare aiuto e sollievo a tutti, cristiani e musulmani, che chiedono e che continuano ogni giorno a domandare».
Una delle collaboratrici di “Oui pour la vie” che ha perduto il figlio in seguito al conflitto siriano, al ritorno di una visita fatta ad una famiglia di rifiutati ha confidato: «Quel poco che ho potuto dare l’ho offerto con il cuore e sono serena. Nel povero aiutato ho visto mio figlio». Inoltre una signora sconosciuta, vista in sogno, le diceva che ora a suo figlio ci pensava lei… Molti sono impegnati in una specie di gara di generosità: c’è una coppia di sposi che si tagliano reciprocamente i capelli in casa per donare i soldi così risparmiati, la mamma di due figli che quando i volontari lanciano un appello guarda quello che ha in cucina per offrirne la metà, o il giovane che porta sempre il solito paio di scarpe estivo per donare l’altro invernale ai poveri.
Un’insegnante ha accettato di fare qualche ora in più in un’altra scuola sperando che questo straordinario sia pagato per poterlo devolvere e aiutare qualcuno, intanto di ritorno da scuola si è fermata a casa di alcuni suoi nuovi alunni provenienti dalla Siria, molto poveri e discriminati rispetto agli altri del paese, per lasciare loro alcune brioches come segno di benvenuto.
Col passare dei mesi il conflitto siriano è diventato sempre più duro e all’inizio dell’estate il numero dei rifugiati è diventato quasi incalcolabile e non sono mancate le tensioni. L’emergenza umanitaria, che di giorno in giorno diventa sempre più difficile gestire, causa un enorme aumento del costo della vita, spingendo molti a compiere gesti disperati.
I volontari cristiani di “Oui pour la Vie” hanno voluto fare loro la frase del Papa Francesco pronunciata nella sua visita a Lampedusa: «Preghiamo per avere un cuore che abbracci gli immigrati. Dio ci giudicherà in base a come abbiamo trattato i bisognosi». L’occasione dell’ aiuto umanitario diventa il motivo per un’amicizia, una vicinanza che aiuta il povero a diventare lui stesso “protagonista” di carità, diventando tramite verso altri bisognosi a lui vicini. Si cerca così di tessere una rete di fiducia, che colleghi tra loro le persone moderate sperando che questo possa evitare ritorsioni e vendette che facilmente sfocerebbero in una guerra civile, anche nel Libano.
Una famiglia cristiana, molto povera e conosciuta nel quartiere di Nabaa, alla periferia di Beirut, indicava ai volontari altre persone, musulmane, da aiutare, tra cui una certa Nawal, che ha speso tutto il denaro guadagnato con il lavoro per interventi chirurgici trovandosi senza niente e senza che nessuno dei suoi nipoti voglia sapere di lei. Il giorno del funerale del marito non l’hanno neppure accolta in casa per non rischiare di doverla poi tenere ancora. Uno dei volontari cristiani l’ha allora ospitata in casa sua. Eppure lei non si è mai lamentata e non è facile farle accettare qualcosa.
Per non mortificarla i suoi nuovi amici comprano qualcosa dal suo piccolo negozio, dove si trova un po’ di tutto. Quando riceve visite racconta molte storie divertenti della sua vita, ma senza lamentarsi. Come lei ci sono tantissimi che da una settimana all’altra vengono cacciati dalle loro case, anche semplici stanze o garage, perché non riescono più a pagare l’affitto; così capita di trovare anche 13 bambini in una stanza di diverse famiglie scampate alla guerra siriana.
In questa situazione non si contano i casi veramente tristi, come Gorge, malato terminale di cancro che non ha i soldi per la chemioterapia e non riceve la pensione. Avendogli procurato il necessario per un nuovo ciclo di terapia, ha detto a una volontaria: «Voi mi avete ridato la vita ma preferisco non ripetere il trattamento perché, se poi sto di nuovo male come prima, non potrei più vedervi». Charbel è malato di diabete e non ha nemmeno qualche dollaro per l’insulina. Da quando ha cominciato ad andare con i volontari a visitare gli altri bisognosi di tutte le appartenenze ed a chiedere gli aiuti per loro, ha vinto la tentazione di scoraggiarsi e considerare inutile la sua vita.
Il ministro degli Interni libanese, dopo gli attentati avvenuti in agosto a Beirut, ha dichiarato che «il numero dei rifugiati siriani in Libano nella fine dell’anno corrente raggiungerà i due milioni, pari alla metà della popolazione del Libano». La situazione quindi è sempre più tragica.
Soha è appena arrivata dalla Siria con figlie e nipotini, nessuno di questi maggiore di dieci anni. «Ecco come siamo sistemate. Che Dio ci aiuti sempre! », dice mostrando i due vani all’interno di un rudere dove si sono fermate per un poco. Letti, bagno e cucina sono un tutt’uno; gli unici averi sono poche coperte ammassate in un angolo, fornellino a gas con una pentola rotta e i vestiti che indossano. «Siamo scappate di notte, lasciando tutto ciò che avevamo», aggiunge. Nonostante questo Soha offre sempre dell’acqua a chi arriva a farle visita in segno di benvenuto e di ospitalità.
Purtroppo anche tra i profughi non mancano episodi di sfruttamento e di violenza ma come avviene in questi casi vi sono anche esempi positivi. Lorette, nonostante la sua estrema povertà – nella dispensa conserva soltanto un po’ di riso, dell’acqua e pochi legumi trovati tra i rifiuti – condivide buona parte degli aiuti che le vengono dati con i siriani e conserva una grande serenità, stando molto attenta ad educare i suoi i figli insegnando loro a stare lontani da ogni proposta di corruzione o di facili guadagni.
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