Il contributo dell’Opus Dei nella Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia ex comuniste
di Giuseppe Brienza
Per 28 anni, dal 1961 al 1989, il muro di Berlino ha tagliato in due non solo una città, ma un intero continente. È stato il simbolo della divisione del mondo in due schieramenti contrapposti, uno dal quale tutti volevano scappare, quello comunista, l’altro, Occidentale, nel quale tutti volevano restare, ma non sempre per vivere felici.
NUOVI “MURI” DI GENERAZIONI SENZA “MURO”. Come è stato infatti giustamente scritto, è stata la Chiesa cattolica a comprendere «prima e più di molti quello che stava accadendo e, soprattutto, come ci si debba comportare per rendere migliore il mondo nel quale viviamo, dopo il Muro. Un mondo, il nostro, che non conosce più la pretesa egemonica delle diverse ideologie che si sono susseguite per governare il mondo occidentale dalla Rivoluzione francese alla caduta del comunismo (1789-1989), ma non per questo è diventato migliore» (Marco Invernizzi, Una generazione senza il Muro, Newsletter di Alleanza Cattolica in Milano, n. 153 –novembre 2014).
Ora gli “schieramenti” sono centinaia ma, tant’è. È, infatti, ormai passata una generazione, 25 anni, da quando è stato abbattuto, il 9 novembre 1989, The Wall, per riprendere il titolo di quell’indimenticabile album dei Pink Floyd.
Che questo Muro non ci sia più è certamente un bene per l’umanità e, non solo perché ha restituito la libertà a decine di milioni di persone ma, anche, perché ha consentito nuovamente all’evangelizzazione di dispiegarsi in favore di quei popoli che, dalla padella della “dittatura del proletariato”, hanno rischiato di cadere nella “brace” della “dittatura del relativismo”, formula con la quale Benedetto XVI ha descritto la dinamica dominante del mondo occidentale post-cristiano.
NUOVA EVANGELIZZAZIONE PER GLI EX COMUNISTI. Don Carlo Pioppi, professore di Storia contemporanea della Chiesa nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Crocee vicedirettore dell’Istituto Storico San Josemaría Escrivá, nel saggio dedicato a Mons. Álvaro del Portillo, la fine della Cortina di Ferro e la diffusione iniziale dell’Opus Dei nei paesi dell’Europa centrorientale [cfr. Pablo Gefaell (a cura di), Vir fidelis multum laudabitur. Nel centenario della nascita di Mons. Álvaro del Portillo, vol. 2, Edusc, Roma 2014, pp. 227-249], il contributo dato dall’Opera fondata da san Escrivá de Balaguer (1902- 1975), alla Nuova Evangelizzazione dei popoli ex comunisti della Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia.
Innanzitutto grazie allo stesso mons. Escrivá che, fin dal dopoguerra, pregò con costanza per i fedeli cattolici dell’Europa orientale, i quali soffrivano sotto il duro giogo dei regimi comunisti. In particolare, ricorda Pioppi, nel 1955 il fondatore dell’Opus Dei compose ed iniziò a recitare, promuovendola ai suoi figli spirituali, la giaculatoria “Sancta Maria, Stella Orientis, filios tuos adiuva”!
Il sacerdote spagnolo aveva anche intitolato con questa invocazione mariana una delle cappelle della sede centrale dell’Opera a Roma. Come testimoniato da chi gli era vicino, san Josemaria pregò intensamente durante la Rivolta Ungherese del 1956 anche se, per i trent’anni successivi, l’attività apostolica e di formazione dell’Opus Dei tutti i paesi dell’Europa dell’est fu praticamente inesistente.
A partire dal 1986, però, qualcosa si iniziò a muovere. Come rileva Don Pioppi, in quell’anno vi fu l’organizzazione di una serie di “campi di lavoro” estivi, con migliaia di giovani «che frequentavano centri dell’Opus Dei in paesi del mondo occidentale [i quali] si recavano d’estate per aiutare nella costruzione di chiese, in Polonia, e dal 1990, anche Cecoslovacchia e Ungheria: dal 1986 al 1993 furono 2.780 gli studenti universitari, provenienti dall’Europa e dall’America del Nord, che andarono in questi tre paesi per lavorare in 58 progetti» (pp. 230-231).
Il 2 novembre 1989, una settimana esatta prima dell’abbattimento del Muro, i primi due sacerdoti dell’Opera, Stefan Moszoro e Rafael Mora, partirono per il centro dell’Opus Dei di Berlino Ovest. D’allora, lo faranno con frequenza mensile, per predicare ritiri, offrire direzione spirituale e confessare. Ecco, quindi, l’avvicinamento “strategico” e la preparazione “ufficiale” per intraprendere, di lì a poco, la Nuova Evangelizzazione oltre la “cortina di ferro”.
LA “RESISTENZA INDOMABILE” DEL POPOLO POLACCO. Ma facciamo un passo indietro. Infatti, dobbiamo tornare almeno alla fine degli anni Settanta per rintracciare l’inizio di quello che, fra i fattori che hanno originato la liberazione dei popoli euro-orientali dal comunismo, ha avuto un ruolo determinante. Infatti, come rileva Don Pioppi, è sicuramente «la resistenza indomabile del popolo polacco, fondata sulla religione cattolica e galvanizzata dall’elezione al soglio pontificio dell’arcivescovo di Cracovia» (p. 228), ad aver causato crisi finale del comunismo europeo.
Lo slancio finale si ebbe nell’aprile del 1989 quando, il movimento politico-sindacale polacco di Solidarnosc, fu alla fine legalizzato e, il 4 giugno successivo, presentandosi con il suo leader Lech Walesa in tutte le piazze polacche, vinceva con una schiacciante maggioranza le prime elezioni libere che si tenevano in un paese aderente al Patto di Varsavia.
Agl’inizi di marzo 1989, don Fernando Ocáriz, attualmente Vicario Generale dell’Opus Dei, era giunto in Polonia e, per ben sei giorni, vi rimase per studiare in loco le possibilità di dare avvio lì ad attività apostoliche della prelatura dell’Opera. Pochi mesi dopo giunsero nel Paese i primi sacerdoti dell’Opus Dei.
Il 26 giugno 1989, festa liturgica del fondatore, fu celebrata una Messa in suffragio di mons. Escrivá nella chiesa di Sant’Anna a Varsavia. Vi parteciparono circa 350 persone: fu uno dei segni dell’inizio della rinascita spirituale della Polonia. Durante l’estate furono poi organizzati vari progetti di campi di lavoro per studenti universitari dell’Europa occidentale e dell’America settentrionale, volti a collaborare alla costruzione di chiese. Il 9 aprile 1990, il successore di Escrivá, il neo-beato Don Alvaro del Portillo (1914-1994) erigeva la Delegazione dell’Opus Dei della Polonia.
LA “FRONTIERA” UNGHERESE. E veniamo alla Patria magiara. Tutto ha inizio nel 1988, quando János Kádár (1912-1989) è sostituito come Segretario Generale del Partito Comunista da Károly Grósz. Il 23 agosto 1989, il governo ungherese decide che è arrivato il momento di aprire le frontiere con l’Austria. Si ebbe così la prima breccia nel prima oppressivo controllo della polizia comunista di tutti i movimenti dei propri cittadini.
Questa decisione delle autorità magiare, ricorda Pioppi, «provocò un effetto a catena che destabilizzò definitivamente i regimi comunisti: il 9 novembre 1989 venivano aperti numerosi varchi nel Muro di Berlino, avviando un processo che sarebbe giunto a compimento il 3 ottobre 1990, con l’unificazione delle due Germanie» (p. 228).
In Ungheria, in quell’estate dell’Ottantanove, i monasteri ripresero la loro vita, sino ad allora mantenuta in clandestinità. Nell’autunno dello stesso anno l’organizzazione che riuniva i sacerdoti emanazione della dittatura comunista veniva sciolta. Nel gennaio 1990 il parlamento votò una legge sulla libertà religiosa e, il mese dopo, il card. Joseph Mindszenty (1892-1975), primate di Ungheria fino allora perseguitato dalle autorità, fu riabilitato, pochi giorni prima, dunque, della stipula di un concordato con la Santa Sede. Quest’ultimo, tre anni dopo, ha permesso una completa riorganizzazione delle strutture ecclesiali del paese.
È dalla primavera del 1990 che assumono cadenza continuativa le attività di formazione cristiana dell’Opera coi giovani. Un membro dell’Opus Dei, infatti, lo spagnolo Francisco Gómez Antón, si reca a Budapest per conto della Facoltà di Comunicazione dell’Università di Navarra, stabilendo numerosi contatti con giornalisti ungheresi e, quindi, organizzando d’allora periodici incontri e lezioni, per universitari e non, sull’etica e la fede cristiana.
Dal 31 luglio al 2 settembre 1990, racconta Pioppi, ebbe quindi luogo a Felsopakony, comune di nemmeno tremila abitanti, situato nella provincia di Pest (Ungheria settentrionale), «un campo di lavoro per collaborare alla costruzione di una nuova chiesa: l’attività era svolta da studenti universitari spagnoli che frequentavano centri dell’Opus Dei» (p. 242).
Successivamente professori dell’allora Ateneo della Santa Croce (oggi Pontificia Università della Santa Croce), tenuto dall’Opera, si recarono in varie città per collaborare alla formazione dei docenti ed aiutare nella riorganizzazione delle strutture universitarie cattoliche.
Nel settembre ‘90, mons. Álvaro del Portillo, per favorire lo sviluppo dell’apostolato in Ungheria, decise quindi di ampliare la giurisdizione della vicina “Quasi-Regione” dell’Austria al territorio magiaro, ceco e slovacco. Inizia quindi il lavoro anche nell’ormai “ex” Cecoslovacchia.
NEL NOME DI SAN METODIO. Tra il 17 e il 28 novembre 1989, infatti, anche in Cecoslovacchia il governo comunista era capitolato, a seguito di massicce e pacifiche manifestazioni popolari. In maniera particolare in Slovacchia, lungo gli anni 1980, come annota Don Pioppi, si era notevolmente rafforzata «la pratica religiosa e la resistenza cattolica al regime comunista: esempio di ciò fu la concentrazione di 200.000 fedeli a Velehrad il 7 luglio 1985, per commemorare l’undicesimo centenario della morte di san Metodio.
Caduta la dittatura, la repubblica riprendeva le relazioni diplomatiche con la Santa Sede già nell’aprile del 1990, e la compagine ecclesiale si riorganizzava rapidamente. Pochi anni dopo, il 1° gennaio 1993, avveniva la pacifica separazione della Slovacchia» (pp. 229-230). Dall’ottobre 1990 l’Opera intraprende l’attività di apostolato a Budapest con viaggi da Vienna per due anni (1990-91 e 1991-92), ed aprendo un centro nella capitale nell’anno accademico 1992-93.
Qui si sviluppano quindi presto regolari corsi di formazione spirituale e dottrinale cui partecipano professionisti e studenti universitari interessati ad approfondire la pratica della vita cristiana e, nel contempo, a conoscere lo spirito dell’Opus Dei.
Dall’indagine documentaria di Carlo Pioppi, si evince dunque chiaramente la grande attenzione dedicata dal Beato Del Portillo, in totale aderenza alle intenzioni e propositi del fondatore dell’Opus Dei, di riportare la fede cattolica nelle società dell’ex-blocco comunista.
L’espansione della prelatura dell’Opera in questi paesi, inizialmente realizzata con il consueto stile di discrezione e con un certa prudenza, non ha mancato però di dare avvio in breve tempo ad iniziative di solida formazione cristiana che, con il tempo e con la presenza di fedeli dell’Opus Dei sul territorio, sono maturate poi in «attività più strutturate e rispondenti alle necessità di tali paesi» (p. 249).