“Virtù e torti del diritto nelle società post moderne”: sul tema è intervenuta Mary Ann Glendon, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali
di Luca Antonini
II sogno di diritti umani universali, realizzato con il sangue dei martiri della libertà, «rischia cosi di dissolversi in una cacofonia, dove l’oggetto dell’assalto è la visione dignitaria dei diritti». È la questione sollevata da Mary Ann Glendon, uno dei più illustri accademici Usa (insegna Constitutianal Law a Harvard e presiede la Pontifìcia Accademia delle Scienze sociali}, in occasione del recente convegno “Virtù e torti del diritto nelle società post moderne”, organizzato dalla cattedra di Diritto costituzionale dell’Università dì Padova e Treviso con il patrocinio della neo costituita Fondazione Novae Terrae e Fondazione per la Sussidiarietà.
Soggettivismo moderno
AI convegno hanno partecipato altri illustri relatori (tra gli altri: Buttiglione, Grossi, Ornaghi, Barbera, Violini, Gentile, Carezza), i quali hanno rilevato come la crisi del diritto sia in realtà una crisi del soggetto, derivi cioè da un certo, esasperato, soggettivismo moderno. M. A. Glendon ha denunciato dinamiche che l’uomo qualunque spesso ignora quando riflette sui diritti delle “società più avanzate” sentendosi subito tacciato di oscurantismo antidemocratico, se in coscienza osa avvertire un certo disagio di fronte alle nuove frontiere dei matrimoni omosessuali, relative adozioni e quanto altro.
Secondo la Glendon a essere davvero poco democratico è stato, invece, proprio il modo con cui questi nuovi diritti sono stati presentati e inculcati all’opinione pubblica. Ha, infatti, ricordato come proprio la “visione dignitaria” dei diritti sia stata alla base della Dichiarazione Universale sui Diritti Umani (Dudu), elaborata sul modello delle costituzioni europee del dopoguerra, incentrate sulla
dignità umana. Assumendo questo modello, la Dudu è un sistema unitario che ruota intorno alla dignità umana. Ma a partire dagli anni 70 è iniziato un duro attacco a quest’impostazione, e la Dudu è stata ridotta a un semplice menù dal quale staccare i singoli diritti. Una spinta in questa direzione, all’inizio, è stata anche favorita da diverse sentenze dei tribunali Usa.
In questo modo, ha evidenziato la Glendon, si è offerta un’opportunità eccezionale ai potenti e ricchi gruppi d’interesse, che da quel momento «hanno capito bene come la via per portare avanti le loro rivendicazioni, piuttosto che quella del consenso democratico nei propri Paesi, fosse quella dell’influenza delle Corti e delle sedi internazionali».
Tradizioni comuni
Le lobby hanno cosi potuto catturare e piegare ai loro fini il prestigio del progetto sui diritti umani universali. Questa tattica è venuta allo scoperto negli anni 90, quando la delegazione europea alla Conferenza Onu di Beijing ha proposto di rimuovere la parola “dignità” dai documenti della conferenza, insieme a tutti i riferimenti contenuti nella Dudu in tema di matrimonio, famiglia, libertà religiosa e diritti dei genitori.
Il fatto che fossero proprio i delegati europei a sostenere questo assalto alla dignità «è apparsa come una cosa del tutto sbalorditiva, dal momento che il linguaggio che costoro hanno proposto di rimuovere dai documenti Onu è sostanzialmente identico alle stesse previsioni costituzionali dei loro Stati di provenienza!».
Ma proprio questa è la tattica delle potenti lobby: creare dei «centri di attività off shore dove confezionare pacchetti di rivendicazioni specifiche a favore dei loro interessi e quindi rispedirli in patria con la dignità di diritti internazionali». Secondo la Glendon, le dichiarazioni dei diritti umani rischiano cosi di diventare meri elenchi in cui questo o quel gruppo dì interessi cerca di trovare il proprio spazio di diritto.