Cronaca dell’incontro milanese tra l’arcivescovo Luigi Negri e il filosofo ed ex presidente del Senato Marcello Pera
Benedetta Frigerio
“Il tema dei diritti nel contesto odierno”. Con questo titolo si è svolto giovedì sera a Milano l’incontro tra il vescovo di Ferrara-Comacchio, Luigi Negri, e il filosofo Marcello Pera. Commentando l’attualità – era appena giunta la notizia del passaggio in Senato delle unioni civili – l’ex presidente di Palazzo Madama ha detto caustico: «Oggi in Italia è nato un nuovo diritto: le cosiddette unioni civili fra persone dello stesso sesso equiparate al matrimonio. E non preoccupatevi se non c’è l’adozione, fra qualche mese ci penseranno i giudici ad inserirla». Anche se, ha poi aggiunto, il problema del ddl Cirinnà non è «l’adozione sì o l’adozione no», ma un impianto legislativo interamente «sganciato dal riconoscimento dell’uomo come creatura: se non torniamo qui, mi chiedo che giustificazione possiamo dare per opporci alle unioni civili».
DIRITTI SENZA LIMITI. Nel suo intervento, il professore ha criticato un certo atteggiamento della Chiesa che, a partire dal secondo dopoguerra, si è ammorbidita nei confronti dei cosiddetti diritti civili: «Cosa è accaduto nel secondo dopoguerra?», ha domandato. «Perché anche la Chiesa spesso rivendica i diritti civili, della salute o dell’ambiente se comportano un degrado morale evidente? Si possono coltivare i diritti dimenticando la sacralità dell’uomo creato?». È probabile, ha proseguito, che la Chiesa ancora non abbia compreso quale sia l’essenza della modernità che porta «intrinsecamente in sé la negazione di creaturalità dell’uomo, come dimostra la proliferazione dei diritti: io uomo mi faccio da me e quindi mi do diritti senza limiti». Ogni tentativo di dialogo non può essere che «truffaldino»: è l’illusione di chi presume si possa convivere, a patto che non vi sia alcuna «tensione alla verità». Invece, ha concluso, «occorre meno dialogo e più coraggio».
RAGIONE E FEDE. Monsignor Negri, riprendendo alcuni spunti del discorso del suo interlocutore, ha ricordato innanzitutto che, come diceva sempre don Giussani, il laicismo moderno è riassumibile nello slogan «Dio, se c’è, non c’entra». Ma, ha proseguito, «noi abbiamo il dovere di non subire i diritti umani ma di criticarli. E perciò la Chiesa li ha assunti, preoccupandosi di ridare loro il fondamento». È la grande opera che spetta ai cristiani, come ben illustrati dall’enciclica Fides et ratio: «Spiegare che la ragione ha bisogno della fede, così come il contrario». La separazione delle due porta a un laicismo imperante, da una parte, e a una fede sentimentale, dall’altra. Ma non bisogna disperare perché questa sintesi «esiste ancora nel popolo cristiano che entra nel mondo e si pone con questa identità unita», come si è visto di recente al Circo Massimo a Roma.
DECALOGO E DOVERI. Pera ha sottolineato l’urgenza da parte del cristianesimo di «riportare in prima linea il decalogo e i doveri. Se ritornassimo a parlare della loro importanza avremmo risolto il problema», perché «senza limiti il diritto diventa un mostro». Non solo, occorre tornare a proclamare la propria fede, ma non a partire dal Parlamento «dove ormai abbiamo tutti contro», ma «dall’educazione, dalle scuole, dal lavoro e dalle nostre famiglie. Dobbiamo proclamare così: “Io credo e consisto nel Dio fatto uomo, crocifisso e risorto e da qui vengono i miei diritti”». In un mondo dove tutto è anticristiano «c’è bisogno solo di una cosa: di noi e del nostro coraggio».
EDUCARCI E EDUCARE. Negri ha voluto sottolineare un aspetto importante: recuperare i doveri significa, innanzitutto, essere disposti alla conversione. «Non è una battaglia ideologica, ma di esperienza». Cioè mostrando che la sequela della vita cristiana ha una sua convenienza affascinante: «Va mostrato che la nostra vita è bella perché, come disse Giussani, la fede c’entra con il mangiare, il bere, il dormire». Questa testimonianza deve essere evidente anche «pubblicamente: pensare di combattere una battaglia simile senza mettere in gioco la propria identità è illusione o follia. Infatti, mostrandoci pubblicamente potremmo anche perdere la battaglia sul piano politico, ma avremo comunque dato alla società un apporto positivo con cui misurarsi».
Per questo, «per liberarci dal pensiero unico dobbiamo educarci ed educare». L’educazione, infatti, è l’antidoto all’individualismo e all’indifferenza perché «nasce dalla passione per l’uomo, che si impara aderendo a chi ha avuto passione per noi», a chi «contro ogni scetticismo ci ha mostrato il volto della Madre e della maestra». Negri ha concluso ricordando che Dio fa sempre delle grazie «a questo popolo: se nel Medioevo fu quella del successo sociale della fede, ora potrebbe concederci di essere suoi martiri».