COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE
ALLA RICERCA DI UN’ETICA UNIVERSALE:
NUOVO SGUARDO SULLA LEGGE NATURALE
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CAPITOLO III: I FONDAMENTI TEORICI DELLA LEGGE NATURALE
3.1. Dall’esperienza alla teoria
60. L’acquisizione spontanea dei valori etici fondamentali, che si esprimono nei precetti della legge naturale, costituisce il punto di partenza del processo che conduce poi il soggetto morale fino al giudizio di coscienza, nel quale enuncia quali sono le esigenze morali che gli si impongono nella sua situazione concreta.
È compito del teologo e del filosofo riprendere questa esperienza dell’acquisizione dei princìpi primi dell’etica, per provarne il valore e fondarla sulla ragione.
Il riconoscimento di questi fondamenti filosofici o teologici non condiziona però l’adesione spontanea ai valori comuni. Infatti il soggetto morale può attuare praticamente gli orientamenti della legge naturale senza essere capace, a motivo di particolari condizionamenti intellettuali, di comprenderne esplicitamente i fondamenti teorici ultimi.
61. La giustificazione filosofica della legge naturale presenta due livelli di coerenza e di profondità. L’idea di una legge naturale si giustifica anzitutto sul piano dell’osservazione riflessa delle costanti antropologiche che caratterizzano una umanizzazione riuscita della persona e una vita sociale armoniosa. L’esperienza riflessa, veicolata dalle sapienze tradizionali, dalle filosofie o dalle scienze umane, consente di determinare alcune delle condizioni richieste perché ciascuno dimostri al meglio le proprie capacità umane nella sua vita personale e comunitaria (59).
Così si riconosce che certi comportamenti esprimono un’esemplare eccellenza nel modo di vivere e di realizzare la propria umanità. Essi definiscono le grandi linee di un ideale propriamente morale di una vita virtuosa «secondo la natura», cioè in modo conforme alla natura profonda del soggetto umano (60).
62. Tuttavia, soltanto l’assunzione della dimensione metafisica del reale può dare alla legge naturale la sua piena e completa giustificazione filosofica. Infatti la metafisica consente di comprendere che l’universo non ha in se stesso la propria ragione ultima di essere e manifesta la struttura fondamentale del reale: la distinzione tra Dio, l’Essere stesso sussistente, e gli altri esseri posti da lui nell’esistenza.
Dio è il Creatore, la fonte libera e trascendente di tutti gli altri esseri. Questi ricevono da lui, «con misura, calcolo e peso» (Sap 11,20), l’esistenza secondo una natura che li definisce. Le creature sono dunque l’epifania di una sapienza creatrice personale, di un Logos fondatore che si esprime e si manifesta in esse. «Ogni creatura è verbo divino, perché è parola di Dio», scrive san Bonaventura (61).
63. Il Creatore non è soltanto il principio delle creature ma anche il fine trascendente verso il quale esse tendono per natura. Così le creature sono animate da un dinamismo che le porta a realizzarsi, ciascuna a modo suo, nell’unione con Dio. Tale dinamismo è trascendente, nella misura in cui procede dalla legge eterna, cioè dal piano di provvidenza divino che esiste nello spirito del Creatore (62).
Ma è anche immanente, perché non è imposto dall’esterno alle creature, ma è inscritto nella loro stessa natura. Le creature puramente materiali realizzano spontaneamente la legge del loro essere, mentre le creature spirituali la realizzano in modo personale. Infatti interiorizzano i dinamismi che le definiscono e li orientano liberamente verso la propria completa realizzazione.
Li formulano a se stesse come norme fondamentali del loro agire morale — è la legge morale propriamente detta — e si sforzano di realizzarli liberamente. La legge naturale si definisce perciò come una partecipazione alla legge eterna (63). Essa è mediata, da una parte, dalle inclinazioni della natura, espressioni della sapienza creatrice, e, d’altra parte, dalla luce della ragione umana che le interpreta e che è essa stessa una partecipazione creata alla luce dell’intelligenza divina. L’etica si presenta così come una «teonomia partecipata» (64).
3.2. Natura, persona e libertà
64. La nozione di natura è particolarmente complessa e non è affatto univoca. In filosofia, il pensiero greco della physis gioca un ruolo accertato. In esso la natura designa il principio dell’identità ontologica specifica di un soggetto, cioè la sua essenza che si definisce con un insieme di caratteristiche intelligibili stabili.
Tale essenza prende il nome di natura soprattutto quando è intesa come il principio interno del movimento che orienta il soggetto verso la sua realizzazione. La nozione di natura non rinvia a un dato statico, ma significa il principio dinamico reale dello sviluppo del soggetto e delle sue attività specifiche. La nozione di natura è stata formata anzitutto per pensare le realtà materiali e sensibili, ma non si limita a tale ambito «fisico» e si applica analogicamente alle realtà spirituali.
65. L’idea secondo la quale gli esseri possiedono una natura si impone allo spirito quando esso vuole rendere ragione della finalità immanente agli esseri e della regolarità che percepisce nei loro modi di agire e di reagire (65). Considerare gli esseri come nature significa riconoscere loro una consistenza propria e affermare che sono centri relativamente autonomi nell’ordine dell’essere e dell’agire, e non semplici illusioni o costruzioni temporanee della coscienza.
Queste «nature» non sono però unità ontologiche chiuse in se stesse e semplicemente giustapposte le une alle altre. Esse agiscono le une sulle altre, intrattenendo fra loro complessi rapporti di causalità. Nell’ordine spirituale, le persone intrecciano relazioni intersoggettive. Le nature formano dunque una rete e, in ultima analisi, un ordine, cioè una serie unificata dal riferimento a un principio (66).
66. Con il cristianesimo, la physis degli antichi è ripensata e integrata in una visione più ampia e più profonda della realtà. Da una parte, il Dio della rivelazione cristiana non è una semplice componente dell’universo, un elemento del grande Tutto della natura. Al contrario, è il Creatore, trascendente e libero, dell’universo. Infatti l’universo finito non può fondare se stesso, ma punta verso il mistero di un Dio infinito, che per amore lo ha creato ex nihilo e dimora libero di intervenire nel corso della natura ogni volta che vuole.
D’altra parte, il mistero trascendente di Dio si riflette nel mistero della persona umana come immagine di Dio. La persona umana è capace di conoscenza e di amore; è dotata di libertà, è capace di entrare in comunione con altri ed è chiamata da Dio a un destino che trascende le finalità della natura fisica. Essa si compie in una libera e gratuita relazione di amore con Dio che si realizza in una storia.
67. Con la sua insistenza sulla libertà come condizione della risposta dell’uomo all’iniziativa dell’amore di Dio, il cristianesimo ha contribuito in modo determinante a dare il posto dovuto alla nozione di persona nel discorso filosofico, così da avere un’influenza decisiva sulle dottrine etiche. Inoltre, l’esplorazione teologica del mistero cristiano ha condotto a un approfondimento molto significativo del tema filosofico della persona. Da una parte, la nozione di persona serve a designare nella loro distinzione il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo nel mistero infinito dell’unica natura divina.
D’altra parte, la persona è il punto in cui, nel rispetto della distinzione e della distanza tra le due nature, divina e umana, si stabilisce l’unità ontologica dell’Uomo-Dio, Gesù Cristo. Nella tradizione teologica cristiana, la persona presenta due aspetti complementari. Da una parte, secondo la definizione di Boezio, ripresa dalla teologia scolastica, la persona è una «sostanza (sussistente) individuale di natura razionale» (67).
Essa rinvia all’unicità di un soggetto ontologico che, essendo di natura spirituale, gode di una dignità e di un’autonomia che si manifesta nella coscienza di sé e nella libera padronanza del proprio agire. D’altra parte, la persona si manifesta nella sua capacità di entrare in relazione: essa esercita la sua azione nell’ordine dell’intersoggettività e della comunione nell’amore.
68. La persona non si oppone alla natura. Al contrario, natura e persona sono due nozioni che si completano. Da una parte, ogni persona umana è una realizzazione unica della natura umana intesa in senso metafisico. D’altra parte, la persona umana, nelle libere scelte con cui risponde nel concreto del suo «qui e ora» alla propria vocazione unica e trascendente, assume gli orientamenti dati dalla sua natura. Infatti la natura pone le condizioni di esercizio della libertà e indica un orientamento per le scelte che la persona deve compiere. Scrutando l’intelligibilità della sua natura, la persona scopre così le vie della propria realizzazione.
3.3. La natura, l’uomo e Dio: dall’armonia al conflitto
69. Il concetto di legge naturale suppone l’idea che la natura sia per l’uomo portatrice di un messaggio etico e costituisca una norma morale implicita che la ragione umana attualizza. La visione del mondo, all’interno della quale la dottrina della legge naturale si è sviluppata e trova ancora oggi il suo senso, implica perciò la convinzione ragionata che esiste un’armonia fra le tre sostanze che sono Dio, l’uomo e la natura.
In tale prospettiva, il mondo è percepito come un tutto intelligibile, unificato dal comune riferimento degli esseri che lo compongono a un principio divino fondatore, a un Logos. Al di là del Logos impersonale e immanente scoperto dallo stoicismo e presupposto dalle scienze moderne della natura, il cristianesimo afferma che c’è il Logos personale, trascendente e creatore.
«Non sono gli elementi del cosmo, le leggi della materia che, in definitiva, governano il mondo e l’uomo, ma un Dio personale governa le stelle, cioè l’universo; non le leggi della materia e dell’evoluzione sono l’ultima istanza, ma la ragione, la volontà, l’amore – una Persona» (68). Il Logos divino personale — Sapienza e Parola di Dio — è non soltanto l’Origine e il Modello intelligibile trascendente dell’universo, ma anche colui che lo mantiene in una unità armoniosa e lo conduce verso il suo fine (69).
Con il dinamismo che il Verbo creatore ha inscritto nell’intimo degli esseri, egli li orienta verso la loro piena realizzazione. Questo orientamento dinamico non è altro che il governo divino, che attua nel tempo il piano della provvidenza, cioè della legge eterna.
70. Ogni creatura partecipa a modo suo al Logos. L’uomo, poiché si definisce con la ragione o logos, vi partecipa in modo eminente. Infatti, con la ragione, è in grado di interiorizzare liberamente le intenzioni divine manifestate nella natura delle cose. Egli le formula per sé sotto la forma di una legge morale che ispira e orienta la propria azione. In tale prospettiva, l’uomo non è «l’altro» della natura. Al contrario, stabilisce con il cosmo un vincolo di familiarità fondato su una comune partecipazione al Logos divino.
71. Per diversi motivi storici e culturali, che si ricollegano in particolare all’evoluzione delle idee durante il tardo Medioevo, tale visione del mondo ha perduto la sua preminenza culturale. La natura delle cose non è più legge per l’uomo moderno e non è più un riferimento per l’etica. Sul piano metafisico, la sostituzione dei pensieri dell’univocità dell’essere ai pensieri dell’analogia dell’essere e poi il nominalismo hanno minato i fondamenti della dottrina della creazione come partecipazione al Logos che rendeva ragione di una certa unità fra l’uomo e la natura.
L’universo nominalista di Guglielmo d’Ockham si riduce così a una giustapposizione di realtà individuali senza profondità, poiché ogni universo reale, cioè ogni principio di comunione tra gli esseri, è denunciato come un’illusione linguistica. Sul piano antropologico, gli sviluppi del volontarismo e la correlativa esaltazione della soggettività, definita come la libertà di indifferenza di fronte a ogni inclinazione naturale, hanno scavato un fossato tra il soggetto umano e la natura.
Ormai, alcuni ritengono che la libertà umana sia essenzialmente il ritenere che non conta nulla ciò che l’uomo è per natura. Il soggetto dovrebbe perciò rifiutare qualunque significato a ciò che non ha scelto personalmente e decidere da sé che cos’è essere uomo. L’uomo dunque ha sempre più compreso se stesso come un «animale denaturato», un essere antinaturale che tanto più si afferma quanto più si oppone alla natura.
La cultura, propria dell’uomo, è allora definita non come una umanizzazione o una trasfigurazione della natura con lo spirito, ma come una negazione pura e semplice della natura. Il principale risultato di tali evoluzioni è stata la scissione del reale in tre sfere separate, anzi opposte: la natura, la soggettività umana e Dio.
72. Con l’eclissi della metafisica dell’essere, la sola capace di fondare sulla ragione l’unità differenziata dello spirito e della realtà materiale, e con la crescita del volontarismo, il regno dello spirito è stato radicalmente opposto al regno della natura. La natura non è più considerata come un’epifania del Logos, ma come «l’altra» dello spirito. È ridotta all’ambito della corporeità e della stretta necessità, e di una corporeità senza profondità, perché il mondo dei corpi è identificato con l’estensione, certamente regolata da leggi matematiche intelligibili, ma priva di qualunque teleologia o finalità immanente.
La fisica cartesiana e poi la fisica newtoniana hanno diffuso l’immagine di una materia inerte, che obbedisce passivamente alle leggi del determinismo universale che lo Spirito divino le impone e che la ragione umana può conoscere e padroneggiare perfettamente (70). Soltanto l’uomo può infondere un senso e un progetto in questa massa amorfa e insignificante che egli manipola con la tecnica per i propri fini.
La natura cessa di essere padrona della vita e della sapienza, per diventare il luogo in cui si afferma la potenza prometeica dell’uomo. Questa visione sembra dare valore alla libertà umana, ma di fatto, opponendo libertà e natura, priva la libertà umana di qualunque norma oggettiva per la sua condotta. Essa conduce all’idea di una creazione umana del tutto arbitraria, anzi al puro e semplice nichilismo.
73. In tale contesto, in cui la natura non nasconde più alcuna razionalità teleologica immanente e sembra aver perduto ogni affinità o parentela con il mondo dello spirito, il passaggio dalla conoscenza delle strutture dell’essere al dovere morale che ne sembra derivare diventa effettivamente impossibile e cade sotto la critica del «sofismo o paralogismo naturalista (naturalistic fallacy)», denunciato da David Hume e poi da George Edward Moore nei suoi Principia Ethica (1903). Infatti il bene è diviso dall’essere e dal vero. L’etica è separata dalla metafisica.
74. L’evoluzione della comprensione del rapporto dell’uomo con la natura si traduce pure nella rinascita di un dualismo antropologico radicale che oppone lo spirito e il corpo, poiché il corpo è in qualche modo la «natura» in ciascuno di noi (71). Tale dualismo si manifesta nel rifiuto di riconoscere qualunque significato umano ed etico alle inclinazioni naturali che precedono le scelte della ragione individuale. Il corpo, realtà giudicata estranea alla soggettività, diventa un puro «avere», un oggetto manipolato dalla tecnica in funzione degli interessi della soggettività individuale (72).
75. Inoltre, per l’emergere di una concezione metafisica in cui l’azione umana e l’azione divina entrano in concorrenza, perché sono intese in modo univoco e poste, a torto, sullo stesso piano, l’affermazione, legittima, dell’autonomia del soggetto umano implica che Dio sia escluso dalla sfera della soggettività umana. Ogni riferimento a una normativa proveniente da Dio o dalla natura come espressione della sapienza di Dio, cioè ogni «eteronomia», è percepita come una minaccia per l’autonomia del soggetto. La nozione di legge naturale appare allora incompatibile con l’autentica dignità del soggetto.
3.4. Vie verso una riconciliazione
76. Per rendere tutto il suo senso e tutta la sua forza alla nozione di legge naturale come fondamento di un’etica universale, bisogna rivolgere uno sguardo di sapienza, di ordine propriamente metafisico, capace di abbracciare simultaneamente Dio, il cosmo e la persona umana per riconciliarli nell’unità analogica dell’essere, grazie all’idea di creazione come partecipazione.
77. È anzitutto essenziale sviluppare un’idea non concorrenziale dell’articolazione tra la causalità divina e la libera attività del soggetto umano. Il soggetto umano realizza se stesso inserendosi liberamente nell’azione provvidenziale di Dio, e non opponendosi ad essa. Deve scoprire con la ragione e poi assumere e condurre liberamente a realizzazione i dinamismi profondi che ne definiscono la natura. Infatti la natura umana si definisce con tutto un insieme di dinamismi, di tendenze, di orientamenti all’interno dei quali nasce la libertà.
Infatti la libertà suppone che la volontà umana sia «messa sotto tensione» dal desiderio naturale del bene e del fine ultimo. Il libero arbitrio si esercita allora nella scelta degli oggetti finiti che consentono di raggiungere tale fine. Nel rapporto con questi beni, i quali esercitano un’attrattiva che non è determinante, la persona conserva la padronanza della propria scelta a motivo della sua apertura innata al Bene assoluto. La libertà non è dunque un assoluto auto-creatore di se stesso, ma una proprietà eminente di ogni soggetto umano.
78. Una filosofia della natura che prenda atto della profondità intelligibile del mondo sensibile e, soprattutto, una metafisica della creazione consentono poi di superare la tentazione dualista e gnostica di abbandonare la natura all’insignificanza morale. Da tale punto di vista, bisogna superare lo sguardo riduttivo che la cultura tecnica dominante conduce a rivolgere sulla natura, per riscoprire il messaggio morale di cui essa è portatrice come opera del Logos.
79. Tuttavia la riabilitazione della natura e della corporeità in etica non può equivalere a un qualunque «fisicismo». Infatti alcune presentazioni moderne della legge naturale hanno gravemente negato la necessaria integrazione delle inclinazioni naturali nell’unità della persona. Trascurando di considerare l’unità della persona umana, esse assolutizzano le inclinazioni naturali delle diverse «parti» della natura umana, accostandole senza gerarchizzarle e tralasciando di integrarle nell’unità del progetto globale del soggetto.
Ora, spiega Giovanni Paolo II, «le inclinazioni naturali non acquistano una qualità morale, se non in quanto si rapportano alla persona umana e alla sua realizzazione autentica» (73). Oggi dunque bisogna tenere presenti insieme due verità. Da una parte, il soggetto umano non è una unione o una giustapposizione di inclinazioni naturali diverse e autonome, ma un tutto sostanziale e personale chiamato a rispondere all’amore di Dio e ad unificarsi mediante un orientamento riconosciuto verso un fine ultimo, che gerarchizza i beni parziali manifestati dalle diverse tendenze naturali.
Tale unificazione delle tendenze naturali in funzione dei fini superiori dello spirito, cioè tale umanizzazione dei dinamismi inscritti nella natura umana, non costituisce affatto una violenza che sarebbe loro fatta. Al contrario, è la realizzazione di una promessa già inscritta in essi (74). Ad esempio, l’alto valore spirituale che si manifesta nel dono di sé nel reciproco amore degli sposi è già inscritto nella natura stessa del corpo sessuato, che trova in questa realizzazione spirituale la sua ultima ragione di essere.
D’altra parte, in questo tutto organico, ogni parte conserva un significato proprio e irriducibile, di cui la ragione deve tener conto nell’elaborazione del progetto globale della persona. La dottrina della legge morale naturale deve dunque affermare il ruolo centrale della ragione nell’attuazione di un progetto di vita propriamente umano, e insieme la consistenza e il significato proprio dei dinamismi naturali pre-razionali (75).
80. Il significato morale dei dinamismi naturali pre-razionali appare in piena luce nell’insegnamento sui peccati contro natura. Certamente, ogni peccato è contro natura in quanto si oppone alla retta ragione e ostacola lo sviluppo autentico della persona umana. Tuttavia alcuni comportamenti sono giudicati in modo speciale peccati contro natura nella misura in cui contraddicono più direttamente il senso oggettivo dei dinamismi naturali che la persona deve assumere nell’unità della sua vita morale (76).
Così il suicidio deliberato e voluto va contro l’inclinazione naturale a conservare e a far fruttificare la propria esistenza. Così alcune pratiche sessuali si oppongono direttamente alle finalità inscritte nel corpo sessuato dell’uomo. Perciò contraddicono anche i valori interpersonali che devono promuovere una vita sessuale responsabile e pienamente umana.
81. Il rischio di assolutizzare la natura, ridotta a pura componente fisica o biologica, e di trascurare la propria vocazione intrinseca ad essere integrato in un progetto spirituale minaccia oggi alcune tendenze radicali del movimento ecologico. Lo sfruttamento irresponsabile della natura da parte degli agenti umani che cercano soltanto il profitto economico e i pericoli che essa fa pesare sulla biosfera interpellano giustamente le coscienze.
Tuttavia, l’«ecologia profonda (deep ecology)» costituisce una reazione eccessiva. Essa sostiene una supposta uguaglianza delle specie viventi, senza più riconoscere alcun ruolo particolare all’essere umano, e ciò, paradossalmente, indebolisce la responsabilità dell’uomo nei confronti della biosfera di cui fa parte. In modo ancor più radicale, alcuni sono giunti a considerare l’essere umano come un virus distruttore che insidierebbe l’integrità della natura, e gli rifiutano ogni significato e ogni valore nella biosfera. Si giunge allora a una sorta di totalitarismo che esclude l’esistenza umana nella sua specificità e condanna il legittimo progresso umano.
82. Non ci può essere una risposta adeguata agli interrogativi complessi dell’ecologia, se non nel quadro di una comprensione più profonda della legge naturale, che dia valore al legame tra la persona umana, la società, la cultura e l’equilibrio della sfera bio-fisica nella quale si incarna la persona umana. Un’ecologia integrale deve promuovere ciò che è specificamente umano, valorizzando insieme il mondo della natura nella sua integrità fisica e biologica.
Infatti, anche se l’uomo, come essere morale che cerca la verità e i beni ultimi, trascende il proprio ambiente immediato, lo fa accettando la missione speciale di vegliare sul mondo naturale e di vivere in armonia con esso, di difendere i valori vitali senza i quali non possono mantenersi né la vita umana né la biosfera di questo pianeta (77). Tale ecologia integrale interpella ogni essere umano e ogni comunità in vista di una nuova responsabilità. Essa è inseparabile da un orientamento globale rispettoso delle esigenze della legge naturale.