COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE
ALLA RICERCA DI UN’ETICA UNIVERSALE:
NUOVO SGUARDO SULLA LEGGE NATURALE
NOTE
La discussione generale si è svolta in occasione delle sessioni plenarie della stessa CTI, tenutesi a Roma, nell’ottobre 2006 e 2007 e nel dicembre 2008. Il documento è stato approvato all’unanimità dalla Commissione nella sessione dell’1-6 dicembre 2008 ed è stato poi sottoposto al suo presidente, il cardinale William J. Levada, che ha dato la sua approvazione per la pubblicazione.
(1) Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, proemio, n. 1.
(2) Cfr Ez 36,26.
(3) Giovanni Paolo II, Discorso del 5 ottobre 1995 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50° anniversario della sua fondazione, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII/2, 1995, Città del Vaticano, 1998, 732.
(4) Cfr Benedetto XVI, Discorso del 18 aprile 2008 davanti all’Assemblea generale dell’ONU, in AAS 100 (2008) 335: «Il merito della Dichiarazione universale è stato di aprire a culture, a espressioni giuridiche e a modelli istituzionali diversi la possibilità di convergere attorno a un nodo fondamentale di valori e quindi di diritti: ma è uno sforzo che oggi dev’essere ancora più sostenuto di fronte a istanze che cercano di reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l’unità interna per favorire il passaggio dalla protezione della dignità umana all’appagamento di semplici interessi, spesso particolari. […] Sovente constatiamo nei fatti un predominio della legalità sulla giustizia, quando si manifesta un’attenzione alla rivendicazione dei diritti che giunge sino a farli apparire come il risultato esclusivo di disposizioni legislative o di decisioni normative prese dalle diverse istanze delle autorità in carica. I diritti, quando sono presentati sotto una forma di pura legalità, rischiano di diventare proposizioni di debole portata, separati dalla dimensione etica e razionale, che costituisce il loro fondamento e il loro fine. La Dichiarazione universale ha infatti riaffermato con forza la convinzione che il rispetto dei diritti dell’uomo è radicata prima di tutto in una giustizia immutabile, sulla quale è pure fondata la forza coercitiva delle proclamazioni internazionali. È un aspetto che spesso è trascurato, quando si pretende di privare i diritti della loro vera funzione in nome di una stretta prospettiva utilitarista».
(5) Nel 1993, alcuni rappresentanti del Parlamento delle religioni del mondo hanno reso pubblica una Dichiarazione per un’etica planetaria, la quale afferma che «esiste già tra le religioni un consenso suscettibile di fondare un’etica planetaria; un consenso minimo che riguarda valori obbliganti, norme irrevocabili e tendenze morali essenziali». Questa Dichiarazione contiene quattro princìpi. 1) «Nessun nuovo ordine del mondo senza un’etica mondiale». 2) «Ogni persona umana sia trattata umanamente». La presa in considerazione della dignità umana è considerata come un fine in sé. Tale principio riprende la «regola d’oro» che è presente in molte tradizioni religiose. 3) La Dichiarazione enuncia quattro direttive morali irrevocabili: non-violenza e rispetto della vita; solidarietà; tolleranza e verità; uguaglianza dell’uomo e della donna. 4) Riguardo ai problemi dell’umanità, è necessario un cambiamento di mentalità, affinché ciascuno prenda coscienza della propria pressante responsabilità. È dovere delle religioni coltivare tale responsabilità, approfondirla e trasmetterla alle generazioni future.
(6) Benedetto XVI, Discorso del 12 febbraio 2007 al Congresso internazionale sulla legge morale naturale organizzato dalla Pontificia Università Lateranense, in AAS 99 (2007) 244.
(7) Cfr Agostino, s., De doctrina christiana, III, XIV, 22 (Corpus christianorum, series latina, 32, 91): «Il precetto: “Quello che tu non vuoi sia fatto a te, non farlo ad altri” non può in alcun modo variare in funzione della diversità dei popoli (“Quod tibi fieri non vis, alii ne feceris”, nullo modo posse ulla eorum gentili diversitate variari)». Cfr L. J. Philippidis, Die «Goldene Regel» religionsgeschichtlich Untersucht, Leipzig, 1929; A. Dihle, Die Goldene Regel. Eine Einführung in die Geschichte der antiken und frühchristlichen Vulgarethik, Göttingen, 1962; J. Wattles, The Golden Rule, New York – Oxford, 1996.
(8) Mānava dharmaśāstra, 1, 108 (G. C. Haughton, Mānava Dharma Śāstra or The Institutes of Manu, Comprising the Indian System of Duties, Religious and Civil, ed. By P. Percival, New Delhi, 1982(4), 14.
(9) Mahābhārata, Anusasana parva, 113, 3-9 (ed. Ishwar Chundra Sharma e O. N. Bimali; transl. according to M. N. Dutt, vol. IX, Delhi, Parimal Publications, 469).
(10) Ad esempio: «Dica la verità, dica cose che facciano piacere, non dichiari una verità sgradevole, non pronunci una bugia pietosa: questa è la legge eterna» (Mānava dharmaśāstra, 4, 138, p. 101); «Consideri sempre l’azione di colpire, quella di ingiuriare e quella di nuocere al bene del prossimo come le tre cose più funeste nella serie dei vizi provocati dalla collera» (Mānava dharmaśāstra, 7, 51, p. 156).
(11) Confucio, Entretiens 15, 23 (traduzione di A. Cheng, Paris, 1981, 125).
(12) Corano, sura 35, 24 (traduzione di D. Masson, Paris, 1967, 537); cfr sura 13, 7.
(13) Corano, sura 17, 22-38 (pp. 343-345): «Il tuo Signore ha decretato che adoriate soltanto Lui. Ha prescritto la bontà verso il padre e la madre. Se uno di loro o entrambi hanno raggiunto la vecchiaia vicino a te, non dire loro: “Oibò”, non allontanarli, rivolgi loro parole rispettose. China verso di loro, con bontà, l’ala della tenerezza e di’: “Mio Signore! Sii misericordioso verso di loro, come essi sono stati verso di me, quando ero bambino e mi hanno allevato”. Il vostro Signore conosce perfettamente ciò che è in voi. Se siete giusti, perdona coloro che ritornano pentiti a lui. Da’ ai parenti prossimi ciò che è loro dovuto, come anche al povero e al viandante; ma non essere prodigo. I prodighi sono fratelli dei demoni, e il Demonio è molto ingrato verso il suo Signore. Se, cercando una misericordia che speri dal tuo Signore, sei costretto ad allontanarti da loro, rivolgi loro una parola benevola. Non portare la mano chiusa al collo e non tenderla troppo larga, altrimenti ti troverai vilipeso e misero. Sì, il tuo Signore dispensa largamente oppure misura i suoi doni a chi vuole. È bene informato sui suoi servi e li vede perfettamente. Non uccidete i vostri figli per timore della povertà. Noi provvederemo al loro mantenimento insieme al vostro. La loro uccisione sarà un peccato enorme. Evitate la fornicazione: è un abominio! Che via detestabile! Non uccidete l’uomo che Dio vi ha vietato di uccidere, se non per una giusta ragione. […] Non toccate i beni dell’orfano, finché non ha raggiunto la maggiore età, se non per il migliore uso. Mantenete i vostri impegni, perché gli uomini saranno interrogati sui loro impegni. Quando misurate, date una giusta misura; pesate con la bilancia più precisa. È un bene e il suo risultato è eccellente. Non inseguire ciò di cui non hai alcuna conoscenza. Certamente dovrai rendere conto di tutto: dell’udito, della vista e del cuore. Non percorrere la terra con insolenza. Tu non puoi né squarciare la terra, né raggiungere l’altezza delle montagne. Ciò che in tutto questo è male è detestabile davanti a Dio».
(14) Sofocle, Antigone, v. 449-460 (ed. Pléiade, p. 584).
(15) Cfr Aristotele, Retorica, I, XIII, 2 (1373 b 4-11): «La legge particolare (nomos idios) è quella che ogni gruppo di uomini determina in rapporto ai suoi membri, e questi tipi di leggi si dividono in legge non scritta e legge scritta. La legge comune (nomos koinos) è quella conforme alla natura (kata physin). Infatti c’è un giusto e un ingiusto, comuni per natura, che tutti riconoscono per una specie di divinazione, anche se non vi sia nessuna comunicazione o reciproca convenzione. Perciò si vede l’Antigone di Sofocle dichiarare che è giusto seppellire Polinice, la cui sepoltura è stata vietata, affermando che tale sepoltura è giusta, essendo conforme alla natura»; cfr anche Etica a Nicomaco, V, 10.
(16) Cfr Platone, Gorgia (483 c-484 b) [Discorso di Callicle]: «La natura stessa dimostra che è giusto che il migliore abbia più del più debole, e il più potente più del più impotente. Essa manifesta in diverse circostanze che è bene così, sia negli altri esseri viventi sia in tutte le città e le razze degli uomini, e che il giusto è così determinato per il fatto che il più potente comanda al più debole e a una parte più grande. Infatti su quale idea del giusto si fondava Serse per fare guerra alla Grecia, o suo padre agli sciti? Si potrebbero citare molti esempi simili. Ma, mi pare, quelli hanno agito così secondo la natura del giusto e, per Zeus, secondo la legge della natura, e probabilmente non secondo quella istituita da noi; plasmando i migliori e i più forti tra noi, prendendoli fin dalla giovane età, come si farebbe con i leoni, seducendoli con i nostri sortilegi e stregandoli con i nostri incantesimi, li sottomettiamo a noi ripetendo loro che ciascuno dev’essere uguale agli altri, e che questo è il bello e il giusto. Ma se nasce un uomo dotato di una natura abbastanza potente, allora, liberandosi con una spallata di tutti questi ostacoli, facendoli a pezzi e sfuggendo loro, calpestando i nostri scritti, i nostri sortilegi, i nostri incantesimi e le nostre leggi che sono tutte senza eccezione contro natura, e alzandosi sopra di noi, ecco che lo schiavo si rivela nostro padrone, e allora appare in piena luce il giusto secondo la natura!».
(17) Nel Teeteto (172 a-b), il Socrate di Platone spiega le nefaste conseguenze politiche della tesi relativista attribuita a Protagora, secondo la quale ogni uomo è misura della verità: «Dunque, anche in politica, bello e brutto, giusto e ingiusto, pio ed empio, tutto ciò che ogni città ritiene tale e legalmente decreta tale per sé, tutto questo in verità è tale per ciascuno […]. Nelle questioni di giusto e ingiusto, di pio ed empio, si è d’accordo nel sostenere rigorosamente che nulla di questo è di natura né possiede la sua essenza in proprio; ma semplicemente ciò che sembra al gruppo diventa vero dal momento in cui sembra e fino a quando sembra».
(18) Cfr, ad esempio, Seneca, De vita beata, VIII, 1: «Bisogna seguire la natura come guida; la ragione la osserva e la consulta. Quindi è la stessa cosa vivere felice e vivere secondo la natura (Natura enim duce utendum est: hanc ratio observat, hanc consulit. Idem est ergo beate vivere et secundum naturam)».
(19) Cicerone, De legibus, I, VI, 18: «Lex est ratio summa insita in natura quae iubet ea quae facienda sunt prohibetque contraria».
(20) Cfr Am 1-2.
(21) Il giudaismo rabbinico si riferisce a sette imperativi morali che Dio ha dato a Noè per tutti gli uomini. Sono enumerati nel Talmud (Sanhedrin 56), 1) Non ti farai idoli. 2) Non ucciderai. 3) Non ruberai. 4) Non commetterai adulterio. 5) Non bestemmierai. 6) Non mangerai la carne di un animale vivo. 7) Stabilirai tribunali di giustizia per far rispettare i sei comandamenti precedenti. Mentre i 613 mitzot della Torah scritta e la loro interpretazione nella Torah orale riguardano soltanto gli ebrei, le leggi di Noè si rivolgono a tutti gli uomini.
(22) La letteratura sapienziale si interessa della storia soprattutto in quanto essa fa apparire certe costanti relative al cammino che conduce l’uomo verso Dio. I sapienti non disprezzano le lezioni della storia e il loro valore di rivelazione divina (cfr Sir 44-51), ma hanno una viva coscienza del legame tra gli avvenimenti dipendenti da una coerenza che non è un avvenimento storico. Per comprendere questa identità all’interno della mutabilità e agire in modo responsabile in funzione di questa, la sapienza ricerca i princìpi e le leggi strutturali piuttosto che precise prospettive storiche. Facendo così, la letteratura sapienziale si concentra sulla protologia, cioè sulla creazione iniziale con ciò che essa implica. Infatti la protologia tenta di descrivere la coerenza che si trova dietro gli avvenimenti storici. È una condizione a priori che consente di mettere in ordine tutti gli avvenimenti storici possibili. La letteratura sapienziale cerca dunque di valorizzare le condizioni che rendono possibile la vita di tutti i giorni. La storia descrive questi elementi in modo successivo, la sapienza va al di là della storia verso una descrizione atemporale di ciò che costituisce la realtà al tempo della creazione, «all’inizio», quando gli esseri umani furono creati a immagine di Dio.
(23) Cfr Prv 6,6-9: «Va’ dalla formica, o pigro, guarda le sue abitudini e diventa saggio. Essa non ha né capo, né sorvegliante, né padrone, eppure d’estate si provvede il vitto, al tempo della mietitura accumula il cibo. Fino a quando, pigro, te ne starai a dormire? Quando ti scuoterai dal sonno?».
(24) Cfr anche Lc 6,31: «E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro».
(25) Traduzione italiana della versione francese della Bibbia. Cfr Bonaventura, s., Commentarius in Evangelium Lucae, c. 6, n. 76 («Opera omnia, VII», ed. Quaracchi, p. 156): «In hoc mandato [Lc 6,31] est consummatio legis naturalis, cuius una pars negativa ponitur Tobiae quarto et implicatur hic: “Quod ab alio oderis tibi fieri, vide ne tu aliquando alteri facias”»; (Pseudo-)Bonaventura, Expositio in Psalterium, Ps 57,2 («Opera omnia, IX», ed. Vivès, p. 227); «Duo sunt mandata naturalia: unum prohibitivum, unde hoc “Quod tibi non vis fieri, alteri ne feceris”; aliud affirmativum, unde in Evangelio “Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines, eadem facite illis”. Primum de malis removendis, secundum de bonis adipiscendis».
(26) Cfr Concilio Vaticano I, Costituzione dogmatica Dei Filius, c. 2. Cfr anche At 14,16-17: «Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che ogni popolo seguisse la sua strada; ma non ha cessato di dar prova di sé beneficandovi, concedendovi dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendovi di cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori».
(27) In Filone di Alessandria si trova l’idea secondo la quale Abramo, senza la Legge scritta, conduceva già «per natura» una vita conforme alla Legge. Cfr Filone di Alessandria, De Abrahamo, § 275-276 (Introduzione, traduzione e note di J. Gorez, «Les œuvres de Philon d’Alexandrie, 20», Paris, 1966, 132-135): «Mosè dice: Quest’uomo [Abramo] ha osservato la legge divina e tutti gli ordini divini (Gn 26,5). E non aveva ricevuto un insegnamento di testi scritti. Ma, spinto dalla natura — non scritta — pone il suo zelo nel seguire da vicino slanci sani e senza difetto».
(28) Cfr Rm 7,22-23: «Nel mio intimo io acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione (to nomo tou noos mou) e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra».
(29) Clemente di Alessandria, Stromata, I, c. 29, 182, 1 [«Sources chrétiennes», 30, 176].
(30) Agostino, s., Contra Faustum, XXII, c. 27 [PL 42, col. 418]: «Lex vero aeterna est ratio divina vel voluntas Dei, ordinem naturalem conservari iubens, perturbari vetans». Ad esempio, sant’Agostino condanna la menzogna, perché va direttamente contro la natura del linguaggio e la sua vocazione ad essere il segno del pensiero; cfr Enchiridion, VII, 22 [Corpus christianorum, series latina, 46, 62]: «La parola non è stata data agli uomini per ingannarsi reciprocamente, ma per portare bene i loro pensieri alla conoscenza degli altri. Servirsi della parola per ingannare e non per il suo fine normale è dunque un peccato (Et utique verba propterea sunt instituta non per quae invicem se homines fallant sed per quae in alterius quisque notitiam cogitationes suas perferat. Verbis ergo uti ad fallaciam, non ad quod instituta sunt, peccatum est)».
(31) Agostino, s., De Trinitate, XIV, XV, 21 [Corpus christianorum, series latina, 50 A, 451]: «Queste regole dove sono scritte? L’uomo, anche ingiusto, dove riconosce ciò che è giusto? Dove vede che bisogna avere ciò che egli non ha? Dove sono scritte, se non nel libro di quel lume che si chiama la Verità? Là è scritta ogni legge giusta, di là essa passa nel cuore dell’uomo che pratica la giustizia; non emigra in lui, ma vi mette la sua impronta, come un sigillo che da un anello passa nella cera, ma senza lasciare l’anello (Ubinam sunt istae regulae scriptae, ubi quid sit iustum et iniustus agnoscit, ubi cernit habendum esse quod ipse non habet? Ubi ergo scriptae sunt, nisi in libro lucis illius quae veritas dicitur, unde omnis lex iusta describitur et in cor hominis qui operatur iustitiam non migrando sed tamquam imprimendo transfertur, sicut imago ex anulo et in ceram transit et anulum non relinquit?)».
(32) Cfr Gaius, Instituta, 1. 1 (II sec. d.C.) (ed. J. Reinach, «Collection des universités de France», Paris, 1950, 1): «Quod vero naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes populos peraeque custoditur vocaturque ius gentium, quasi quo iure omnes gentes utuntur. Populus itaque romanus partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure utitur».
(33) San Tommaso d’Aquino distingue nettamente l’ordine politico naturale fondato sulla ragione e l’ordine religioso soprannaturale fondato sulla grazia della rivelazione. Egli si oppone ai filosofi musulmani ed ebrei medievali che attribuivano alla rivelazione religiosa un ruolo essenzialmente politico. Cfr Quaestiones disputatae de veritate, q. 12, a. 3, ad 11: «La società degli uomini, in quanto è ordinata al fine della vita eterna può conservarsi soltanto con la giustizia della fede, il cui principio è la profezia. […] Ma poiché questo fine è soprannaturale, sia la sua giustizia ordinata a tale fine sia la profezia che è il suo principio saranno soprannaturali. Invece la giustizia con la quale è governata la società umana in ordine al bene civile, si può ottenere quanto basta con i princìpi del diritto naturale posti nell’uomo (Societas hominum secundum quod ordinatur ad finem vitae aeternae, non potest conservari nisi per iustitiam fidei, cuius principium est prophetia […] Sed cum hic finis sit supernaturalis, et iustitia ad hunc finem ordinata, et prophetia, quae est eius principium, erit supernaturalis. Iustitia vero per quam gubernatur societas humana in ordine ad bonum civile, sufficienter potest haberi per principia iuris naturalis homini indita)».
(34) Cfr Benedetto XVI, Discorso tenuto a Ratisbona in occasione dell’incontro con i rappresentanti del mondo della scienza (12 settembre 2006), in AAS 98 (2006) 733: «Alla fine del Medioevo si sono sviluppate nella teologia tendenze che hanno manifestato questa sintesi tra lo spirito greco e lo spirito cristiano. Di fronte a quello che è detto l’intellettualismo agostiniano e tomista, inizia con Duns Scoto la teoria del volontarismo che, nei suoi sviluppi ulteriori, ha condotto a dire che noi possiamo conoscere di Dio soltanto la sua voluntas ordinata. Al di là di questa, ci sarebbe la libertà di Dio, in virtù della quale egli avrebbe potuto creare e anche fare il contrario di ciò che ha fatto. Qui si stabiliscono posizioni che possono […] tendere verso l’immagine di un Dio arbitrario, che non è più legato né al vero né al bene. La trascendenza e l’alterità di Dio sono poste così in alto che anche la nostra ragione e il nostro senso del vero e del bene non sono più un autentico specchio di Dio, le cui immense possibilità, dietro alle sue effettive decisioni, rimangono per noi eternamente inaccessibili e nascoste».
(35) TH. Hobbes, Leviathan, Parte II, c. 26 (tr. F. Tricaud, Paris, 1971, 295, nota 81): «In una città costituita, l’interpretazione delle leggi di natura non dipende dai dottori, dagli scrittori che hanno trattato di filosofia morale, ma dall’autorità civile. Infatti le dottrine possono essere vere: ma è l’autorità, non la verità, che fa la legge».
(36) La posizione dei Riformatori di fronte alla legge naturale non è monolitica. Più di Martin Lutero, Giovanni Calvino, fondandosi su san Paolo, riconosce l’esistenza della legge naturale come norma etica, anche se è radicalmente incapace di giustificare l’uomo. «È una cosa volgare che l’uomo sia sufficientemente istruito nella retta regola del vivere bene da quella legge naturale di cui parla l’Apostolo […]. Il fine della legge naturale è di rendere l’uomo inescusabile; perciò la possiamo definire propriamente così: è un sentimento della coscienza, con cui essa distingue sufficientemente tra il bene e il male, per togliere all’uomo la copertura dell’ignoranza, in quanto è rimproverato dalla sua stessa testimonianza» (L’Istituzione cristiana, libro II, c. 2, 22). Nei tre secoli successivi alla Riforma, per i protestanti la legge naturale è servita da fondamento alla giurisprudenza. Soltanto con la secolarizzazione della legge naturale, nel XIX secolo, la teologia protestante ne ha preso le distanze. Solamente a partire da tale epoca, si manifesta dunque l’opposizione delle opinioni cattolica e protestante sulla questione della legge naturale. Ma oggi l’etica protestante sembra manifestare un nuovo interesse per questa nozione.
(37) L’espressione ha origine in Hugo Grotius, De iure belli et pacis, Prolegomena: «Haec quidem quae iam diximus locum aliquem haberent, etsi daremus, quod sine summo scelere dari nequit, non esse Deum».
(38) Graziano, Concordantia discordantium canonum, pars I, dist. 1 [PL 187, col. 29]: «Humanum genus duobus regitur, naturali videlicet iure et moribus. Ius naturale est quod in lege et Evangelio continetur, quo quisque iubetur alii facere quod sibi vult fieri, et prohibetur alii inferre quod sibi nolit fieri. […] Omnes leges aut divinae sunt aut humanae. Divinae natura, humanae moribus constant, ideoque hae discrepant, quoniam aliae aliis gentibus placent».
(39) Cfr Paolo VI, Enciclica Humanae vitae, n. 4, in AAS 60 (1968) 483.
(40) Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1954-1960; Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, nn. 40-53.
(41 ) Benedetto XVI, Discorso del 12 febbraio 2007 al Congresso internazionale sulla legge morale naturale organizzato dalla Pontificia Università Lateranense, in AAS 99 (2007) 243.
(42) Cfr Id., Discorso del 18 aprile 2008 davanti all’Assemblea generale dell’ONU: «Questi diritti [i diritti dell’uomo] trovano il loro fondamento nella legge naturale inscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Separare i diritti umani da tale contesto significherebbe limitare la loro portata e cedere a una concezione relativista, per la quale il senso e l’interpretazione dei diritti potrebbe variare e la loro universalità potrebbe essere negata in nome delle diverse concezioni culturali, politiche, sociali e anche religiose».
(43) Cfr Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae, nn. 73-74.
(44) Cfr Id., Enciclica Veritatis splendor, n. 44: «La Chiesa si è riferita spesso alla dottrina tomista della legge naturale, integrandola nel suo insegnamento morale».
(45) Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 2: «Il primo precetto della legge è che si deve fare e perseguire il bene ed evitare il male. Su questo si fondano tutti gli altri precetti della legge di natura, che cioè si deve fare ed evitare tutto ciò che riguarda i precetti della legge di natura, che la ragione pratica riconosce naturalmente come beni umani (Hoc est primum praeceptum legis, quod bonum est faciendum et prosequendum, et malum vitandum. Et super hoc fundantur omnia alia praecepta legis naturae, ut scilicet omnia illa facienda vel vitanda pertineant ad praecepta legis naturae, quae ratio practica naturaliter apprehendit esse bona humana)».
(46) Cfr ivi, Ia, q. 79, a. 12; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1780.
(47) Cfr R. Guardini, Liberté, grâce et destinée (tr. J. Ancelet-Hustache, Paris, 1969, 46-47): «Compiere il bene significa pure compiere ciò che rende feconda e ricca l’esistenza. Così, il bene è ciò che preserva la vita e la conduce alla sua pienezza, ma soltanto quando è compiuto per se stesso».
(48) Cfr Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 2: «Fra tutti gli esseri, la creatura ragionevole è soggetta alla provvidenza divina in modo più eccellente, poiché essa stessa è partecipe di questa provvidenza, provvedendo a sé e agli altri. In questa creatura c’è dunque una partecipazione alla ragione eterna, secondo la quale essa possiede un’inclinazione naturale al modo di agire e al fine che sono dovuti. Questa partecipazione alla legge eterna nella creatura razionale si dice legge naturale (Inter cetera autem rationalis creatura excellentiori quodam modo divinae providentiae subiacet, inquantum et ipsa fit providentiae particeps, sibi ipsi et aliis providens. Unde et in ipsa participatur ratio aeterna, per quam habet naturalem inclinationem ad debitum actum et finem. Et talis participatio legis aeternae in rationali creatura lex naturalis dicitur)», Questo testo è citato in Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, n. 43. Cfr pure Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis humanae, n. 3: «La norma suprema della vita umana è la stessa legge divina eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con un suo disegno di sapienza e amore ordina, dirige e governa il mondo intero e le vie della comunità umana. E Dio rende partecipe l’uomo di questa legge, cosicché l’uomo, per soave disposizione della provvidenza divina, possa conoscere sempre più l’immutabile verità».
(49) Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 36.
(50) Cfr Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 2.
(51) Cfr ivi, Ia-IIae, q. 94, a. 6.
(52) Cfr Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, art. 3.5.17.22.
(53) Cfr ivi, articolo 16.
(54) Cfr Aristotele, Politica, I, 2 (1253 a 2-3); Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 12, § 4.
(55) Girolamo, s., Epistolae 121, 8 [PL 22, col. 1024].
(56) Cfr Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 6: «Quanto ai precetti secondi, la legge naturale può essere cancellata dal cuore degli uomini, sia per cattive esortazioni, come nelle scienze speculative si insinuano errori riguardo a conclusioni necessarie, sia per cattive abitudini e comportamenti viziosi, come alcuni non consideravano peccati le rapine e neppure i vizi contro natura, come dice san Paolo (Rm 1,24). (Quantum vero ad alia praecepta secundaria, potest lex naturalis deleri de cordibus hominum, vel propter malas persuasiones, eo modo quo etiam in speculativis errores contingunt circa conclusiones necessarias; vel etiam propter pravas consuetudines et habitus corruptos; sicut apud quosdam non reputabantur latrocinia peccata, vel etiam vitia contra naturam, ut etiam apostolus dicit, ad Rom. 1,24)».
(57) Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 4: «Ratio practica negotiatur circa contingentia, in quibus sunt operationes humanae, et ideo, etsi in communibus sit aliqua necessitas, quanto magis ad propria descenditur, tanto magis invenitur defectus […]. In operativis autem non est eadem veritas vel rectitudo practica apud omnes quantum al propria, sed solum quantum ad communia, et apud illos apud quod est eadem recititudo in propriis, non est aequaliter omnibus nota. […]. Et hoc tanto magis invenitur deficere, quanto magis ad particularia descenditur».
(58) Cfr Id., Sententia libri Ethicorum, Lib. VI, 6 (ed. Leonina, t. XLVII, 353-354): «La prudenza non considera soltanto l’universale, in cui non c’è azione; ma deve conoscere il singolare, poiché è attiva, cioè principio di azione. Ora, l’azione è sul singolare. Perciò alcuni che non hanno una scienza universale sono più attivi in alcune realtà particolari di quelli che hanno una scienza universale, perché hanno l’esperienza delle realtà particolari. […]. Poiché dunque la prudenza è una ragione attiva, bisogna che l’uomo prudente abbia entrambe le conoscenze, cioè l’universale e la particolare; oppure, se ne ha una sola, è meglio che abbia la conoscenza del particolare, che è più vicina all’operazione (Prudentia enim non considerat solum universalia, in quibus non est actio; sed oportet quod cognoscat singularia, eo quod est activa, idest principium agendi. Actio autem est circa singularia. Et inde est, quod quidam non habentes scientiam universalium sunt magis activi circa aliqua particularia, quam illi qui habent universalem scientiam, eo quod sunt in aliis particularibus experti. […]. Quia igitur prudentia est ratio activa, oportet quod prudens habeat utramque notitiam, scilicet et universalium et particularium; vel, si alteram solum contingat ipsum habere, magis debet habere hanc, scilicet notitiam particularium quae sunt propinquiora operationi)».
(59) Ad esempio, la psicologia sperimentale sottolinea l’importanza della presenza attiva dei genitori dell’uno e dell’altro sesso per lo sviluppo armonioso della personalità del bambino, o ancora il ruolo decisivo dell’autorità paterna per la costruzione della sua identità. La storia politica suggerisce che la partecipazione di tutti alle decisioni che riguardano l’insieme della comunità è generalmente un fattore di pace sociale e di stabilità politica.
(60) A questo primo livello, l’espressione della legge naturale talvolta fa astrazione da un riferimento esplicito a Dio. Certamente, l’apertura alla trascendenza fa parte dei comportamenti virtuosi che ci si devono attendere dall’uomo realizzato, ma Dio non è ancora necessariamente riconosciuto come il fondamento e la fonte della legge naturale né come il fine ultimo che mobilita e gerarchizza i diversi comportamenti virtuosi. Questo non riconoscimento esplicito di Dio come norma morale ultima sembra che impedisca all’approccio «empirico» alla legge naturale di costituirsi in dottrina propriamente morale.
(61) Bonaventura, s., Commentarius in Ecclesiasten, cap. 1 («Opera omnia, VI», ed. Quaracchi, 1893, p. 16): «Verbum divinum est omnis creatura, quia Deum loquitur».
(62) Cfr Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 1: «La legge non è altro che una prescrizione della ragione pratica nel principe che governa una comunità perfetta. Ora, è manifesto — essendo ammesso che il mondo è governato dalla provvidenza divina — che tutta la comunità dell’universo è governata da un piano divino. Perciò il piano del governo delle cose che è in Dio come nel capo dell’universo ha valore di legge. E poiché il piano divino non concepisce nulla nel tempo ma ha una concezione eterna […], ne segue che tale legge deve dirsi eterna (Nihil est aliud lex quam quoddam dictamen practicae rationis in principe qui gubernat aliquam communitatem perfectam. Manifestum est autem, supposito quod mundus divina providentia regatur […], quod tota communitas universi gubernatur ratione divina. Et ideo ipsa ratio gubernationis rerum in Deo sicut in principe universitatis existens, legis habet rationem. Et quia divina ratio nihil concipit ex tempore, sed habet aeternum conceptum […], inde est quod huiusmodi legem oportet dicere aeternam)».
(63) Cfr ivi, Ia-IIae, q. 91, a. 2: «Unde patet quod lex naturalis nihil aliud est quam participatio legis aeternae in rationali creatura».
(64) Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, n. 41: «L’insegnamento sulla legge naturale come fondamento dell’etica è accessibile di diritto alla ragione naturale. La storia lo attesta. Ma, di fatto, questo insegnamento ha raggiunto la piena maturità soltanto sotto l’influenza della rivelazione cristiana. Anzitutto perché la comprensione della legge naturale come partecipazione alla legge eterna è strettamente legata a una metafisica della creazione. Ora, questa, benché sia di diritto accessibile alla ragione filosofica, è stata veramente presentata e spiegata soltanto sotto l’influenza del monoteismo biblico. E poi perché la Rivelazione, ad esempio attraverso il Decalogo, spiega, conferma, purifica e completa i princìpi fondamentali della legge naturale».
(65) La teoria dell’evoluzione, che tende a ridurre la specie a un equilibrio precario e provvisorio nel flusso del divenire, non rimette forse in questione radicalmente il concetto stesso di natura? Infatti, qualunque sia il suo valore sul piano della descrizione biologica empirica, la nozione di specie risponde a un’esigenza permanente della spiegazione filosofica del vivente. Soltanto il ricorso a una specificità formale, irriducibile alla somma delle proprietà materiali, consente di dare ragione dell’intelligibilità del funzionamento interno di un organismo vivente considerato come un tutto coerente.
(66) La dottrina teologica del peccato originale sottolinea fortemente l’unità reale della natura umana. Questa non può ridursi a una semplice astrazione né a una somma di realtà individuali. Essa indica piuttosto una totalità che abbraccia tutti gli uomini che condividono uno stesso destino. Il semplice fatto di essere nati (nasci) ci pone in relazioni durevoli di solidarietà con tutti gli altri uomini.
(67) Boezio, Contra Eutychen et Nestorium, c. 3 [PL 64, col. 1344]: «Persona est rationalis naturae individua substantia». Cfr Bonaventura, s., Commentaria in librum I Sentantiarum, d. 25, a. 1, q. 2; Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, Ia, q. 29, a. 1.
(68) Benedetto XVI, Enciclica Spe salvi, n. 5.
(69) Cfr pure Atanasio di Alessandria, Traité contre les païens, 42 [«Sources chrétiennes», 18, 195]): «Come un musicista che accorda la lira unisce con la sua arte le note gravi con le note acute, le note medie con le altre, per eseguire una sola melodia: così la Sapienza di Dio, il Verbo, tenendo l’universo come una lira, unisce gli esseri dell’aria con quelli della terra, e gli esseri del cielo con quelli dell’aria; combina l’insieme con le parti; conduce tutto con il suo comando e con la sua volontà; produce così, nella bellezza e nell’armonia, un solo mondo e un solo ordine del mondo».
(70) La physis degli antichi, prendendo atto dell’esistenza di un certo non-essere (la materia), preservava la contingenza delle realtà terrestri e opponeva una resistenza alle pretese della ragione umana di imporre all’insieme della realtà un ordine determinista puramente razionale. Così lasciava aperta la possibilità di un’azione effettiva della libertà umana nel mondo.
(71) Cfr Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, n. 19: «La filosofia, che ha enunciato il principio del cogito, ergo sum, “penso, dunque sono”, ha pure impresso nella concezione moderna dell’uomo il carattere dualista che la distingue. È proprio del razionalismo opporre radicalmente nell’uomo lo spirito al corpo e il corpo allo spirito. Al contrario, l’uomo è una persona nell’unità del suo corpo e del suo spirito. Il corpo non può mai essere ridotto a una pura materia: è un corpo «spiritualizzato», come lo spirito è così profondamente unito al corpo che si può dire uno spirito «incarnato».
(72) L’ideologia del gender, che nega ogni significato antropologico e morale alla differenza naturale dei sessi, si inscrive in questa prospettiva dualista. Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, n. 2: «Per evitare ogni supremazia dell’uno o dell’altro sesso, si tende a cancellare le loro differenze, considerate come semplici effetti di un condizionamento storico e culturale. In questo livellamento, la differenza corporale chiamata sesso è minimizzata, mentre la dimensione puramente culturale, chiamata genere, è sottolineata al massimo e considerata come primordiale. […] La radice immediata di questa tendenza si trova nell’ambito della questione della donna, ma la sua motivazione più profonda dev’essere ricercata nel tentativo della persona umana di liberarsi dai suoi condizionamenti biologici. Secondo questa prospettiva antropologica, la natura umana non avrebbe in sé caratteristiche che si impongano in modo assoluto: ogni persona potrebbe o dovrebbe determinarsi secondo il suo buon volere, in quanto sarebbe libera da ogni predeterminazione legata alla sua costituzione essenziale».
(73) Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, n. 50.
(74) Il dovere di umanizzare la natura nell’uomo è inseparabile dal dovere di umanizzare la natura esterna. Questo giustifica l’immenso forzo compiuto dagli uomini per emanciparsi dalle coercizioni della natura fisica nella misura in cui esse ostacolano lo sviluppo dei valori propriamente umani. La lotta contro le malattie, la prevenzione dei fenomeni naturali ostili, il miglioramento delle condizioni di vita sono di per sé opere che attestano la grandezza dell’uomo chiamato a riempire la terra e a sottometterla (cfr Gn 1,28). Cfr Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 57.
(75) Reagendo al pericolo del fisicismo e insistendo giustamente sul ruolo decisivo della ragione nella elaborazione della legge naturale, alcune teorie contemporanee della legge naturale trascurano, anzi rifiutano, il significato morale dei dinamismi naturali pre-razionali. La legge naturale sarebbe detta «naturale» soltanto in riferimento alla ragione, che definirebbe il tutto della natura dell’uomo. Obbedire alla legge naturale si ridurrebbe dunque ad agire in modo ragionevole, cioè ad applicare all’insieme dei comportamenti un ideale univoco di razionalità generato dalla sola ragione pratica. Ciò significa identificare a torto la razionalità della legge naturale con la sola razionalità della ragione umana senza tener conto della razionalità immanente alla natura.
(76) Cfr Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, IIa-IIae, q. 154, a. 11. La valutazione morale dei peccati contro natura deve tener conto non soltanto della loro gravità oggettiva ma anche delle disposizioni soggettive, spesso attenuanti, di coloro che li commettono.
(77) Cfr Gn 2,15.
(78) Cfr Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, nn. 73-74. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1882, precisa che «certe società, quali la famiglia e la comunità civica, sono più immediatamente rispondenti alla natura dell’uomo».
(79) Cfr Giovanni XXIII, Enciclica Mater et Magistra, n. 65; Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 26 § 1; Dichiarazione Dignitatis humanae, n. 6.
(80) Cfr Giovanni XXIII, Enciclica Pacem in terris, n. 55.
(81) Cfr ivi, n. 37; Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, nn. 192-203.
(82) Cfr Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, Ia-IIae, q. 95, a. 2.
(83) Agostino, s., De libero arbitrio, I, V, 11 [Corpus christianorum, series latina, 29, 217]: «Infatti non mi sembra legge, quella che non è giusta»; Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, Ia-IIae, q. 93, a. 3, ad 2: «La legge umana ha ragione di legge in quanto è conforme alla retta ragione; a questo titolo, è manifesto che essa deriva dalla legge eterna. Ma, nella misura in cui si allontana dalla ragione, è dichiarata legge iniqua, quindi non ha più ragione di legge, ma è piuttosto una violenza (Lex humana intantum habet rationem legis, inquantum est secundum rationem rectam, et secundum hoc manifestum est quod a lege aeterna derivatur. Inquantum vero a ratione recedit, sic dicitur lex iniqua, et sic non habet rationem legis, sed magis violentiae cuiusdam)»; Ia-IIae, q. 95, a. 2: «Ogni legge posta dagli uomini non ha ragione di legge che nella misura in cui deriva dalla legge naturale. Se in qualche punto si allontana dalla legge naturale, allora non è più una legge, ma una corruzione della legge (Unde omnis lex humanitus posita intantum habet de ratione legis, inquantum a lege naturae derivatur. Si vero in aliquo a lege naturali discordet, iam non erit lex sed legis corruptio)».
(84) Cfr Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 1.
(85) Per sant’Agostino, il legislatore, per fare una buona opera, deve consultare la legge eterna; cfr Agostino, s., De vera religione, XXXI, 58 [Corpus christianorum, series latina, 32, 225]: «Il legislatore temporale, se è saggio e buono, consulta la legge eterna, che nessun uomo può giudicare, affinché secondo le sue norme immutabili possa riconoscere ciò che in quel momento conviene comandare o vietare (Conditor tamen legum temporalium, si vir bonus est et sapiens, illam ipsam consulit aeternam, de qua nulli animae iudicare datum est; ut secundum eius immutabiles regulas, quid sit pro tempore iubendum vetandumque discernat)». In una società secolarizzata, nella quale non tutti riconoscono il segno di questa legge eterna, la ricerca, la difesa e l’espressione del diritto naturale mediante la legge positiva ne garantiscono la legittimità.
(86) Cfr Agostino, s., De Civitate Dei, I, 35 [Corpus christianorum, series latina, 47, 34-35].
(87) Cfr Pio XII, Discorso del 23 marzo 1958, in AAS 25 (1958) 220.
(88) Cfr Pio XI, Enciclica Quadragesimo anno, nn. 79-80.
(89) Cfr anche Gv 1,3-4; 1 Cor 8,6; Eb 1,2-3.
(90) Cfr Gv 3,19-20; Rm 1,24-25.
(91) Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 22. Cfr Ireneo di Lione, s., Contro le eresie, V, 16,2 [Sources chrétiennes, 153, 216-217]: «Nei tempi anteriori, si diceva certamente che l’uomo era stato fatto a immagine di Dio, ma ciò non appariva, perché il Verbo era ancora invisibile, egli a cui immagine l’uomo era stato fatto: del resto, per questo motivo la somiglianza si era facilmente perduta. Ma quando il Verbo di Dio si è fatto carne, ha confermato l’una e l’altra: ha fatto apparire l’immagine in tutta la sua verità, diventando egli stesso quello che era la sua immagine, e ha ristabilito la somiglianza in modo stabile, rendendo l’uomo del tutto simile al Padre invisibile per mezzo del Verbo da allora visibile».
(92) Cfr Agostino, s., Enarrationes in Psalmos, LVII, 1 [Corpus christianorum, series latina, 39, 708]: «Per mano del Creatore, la Verità ha scritto nei nostri cuori queste parole: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”. Nessuno poteva ignorare questo principio, anche prima che fosse data la legge, perché doveva servire a giudicare proprio quelli a cui la legge non era stata data. Ma per impedire agli uomini di lamentarsi e di dire che era loro mancato qualche cosa, si è scritto anche nelle tavole quello che essi non leggevano più nei loro cuori. Non è che non lo possedessero come scritto, ma non volevano leggerlo. Si pose perciò sotto i loro occhi quello che sarebbero obbligati a vedere nella propria coscienza: la voce che Dio ha fatto sentire dal di fuori ha costretto l’uomo a rientrare in se stesso (Quandoquidem manu formatoris nostri in ipsis cordibus nostris scripsit: “Quod tibi non vis fieri, ne facias alteri”. Hoc et antequam lex daretur nemo ignorare permissus est, ut esset unde iudicarentur et quibus lex non esset data. Sed ne sibi homines aliquid defuisse quaererentur, scriptum est et in tabulis quod in cordibus non legebant. Non enim scriptum non habebant, sed legere nolebant. Oppositum est oculis eorum quod in conscientia videre cogerentur; et quasi forinsecus admota voce Dei, ad interiora sua homo compulsus est)». Cfr Tommaso d’Aquino, s., In III Sent., d. 37, q. 1, a. 1: «Necessarium fuit ea quae naturalis ratio dictat, quae dicuntur ad legem naturae pertinere, populo in praeceptum dari, et in scriptum redigi […] quia per contrariam consuetudinem, qua multi in peccato praecipitabantur, iam apud multos ratio naturalis, in qua scripta erant, obtenebrata erat»; Summa theologiae, Ia-IIae, q. 98, a. 6.
(93) Cfr Sir 24,23 (Vulgata: 24,32-33).
(94) Cfr Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, Ia-IIae, q. 100.
(95) La liturgia bizantina di san Giovanni Crisostomo esprime bene la convinzione cristiana quando mette sulla bocca del sacerdote che benedice il diacono nel ringraziamento dopo la comunione: «Cristo nostro Dio, che sei il compimento della Legge e dei Profeti e che hai compiuto tutta la missione ricevuta dal Padre, riempi i nostri cuori di gioia e di letizia, in ogni tempo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen».
(96) Cfr Gal 3,24-26: «Così la Legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotti a Cristo, perché fossimo giudicati per la fede. Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Gesù Cristo». Sulla nozione teologica di compimento, cfr Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue sante Scritture nella Bibbia cristiana, specialmente n. 21.
(97) Cfr Mt 22,37-40; Mc 12,29-31; Lc 10,27.
(98) Cfr Lc 6,27-36.
(99) Cfr Lc 10,25-37.
(100) Cfr Gv 15,13.
(101) Cfr anche Ger 31,33-34.
(102) Cfr Tommaso d’Aquino, s., Summa theologiae, Ia-IIae, q. 106, a. 1: «La cosa principale nella legge della nuova alleanza, in cui risiede tutta la sua forza, è la grazia dello Spirito Santo che è data per la fede in Cristo. Ecco perché la nuova legge è principalmente la grazia stessa dello Spirito Santo, che è data a quelli che credono in Cristo (Id autem quod est potissimum in lege novi testamenti, et in quo tota virtus eius consistit, est gratia Spiritus sancti, quae datur per fidem Christi. Et ideo principaliter lex nova est ipsa gratia Spiritus sancti, quae datur Christi fidelibus)».
(103) Cfr ivi, Ia-IIae, q. 108, a. 1, ad 2: «Poiché la grazia dello Spirito Santo è come un abito interiore infuso in noi, che ci inclina a operare rettamente, ci fa compiere liberamente le opere che convengono alla grazia ed evitare quelle che le sono contrarie. Così dunque, la nuova legge è detta doppiamente legge della libertà. Anzitutto perché non ci costringe a compiere o ad evitare se non gli atti di per sé necessari o contrari alla salvezza, che sono comandati o vietati dalla legge. Poi perché ci fa compiere liberamente questi comandi o divieti, in quanto li compiamo per lo stimolo interiore della grazia. Per questi due motivi, la nuova legge è detta “legge perfetta, legge della libertà” (Gc 1,25) (Quia igitur gratia Spiritus sancti est sicut habitus nobis infusus inclinans nos ad recte operandum, facit nos libere operari ea quae conveniunt gratiae, et vitare ea quae gratiae repugnant. Sic igitur lex nova dicitur lex libertatis dupliciter. Uno modo, quia non arctat nos ad facienda vel vitanda aliqua, nisi quae de se sunt vel necessaria vel repugnantia saluti, quae cadunt sub praecepto vel prohibitione legis. Secundo, quia huiusmodi etiam praecepta vel prohibitiones facit nos libere implere, inquantum ex interiori instinctu gratiae ea implemus. Et propter haec duo lex nova dicitur lex perfectae libertatis, Iac 1,25)».
(104) Id., Quodlibeta, IV, q. 8, a. 2: «La nuova legge, legge della libertà è costituita dai precetti morali della legge naturale, dagli articoli di fede e dai sacramenti della grazia (Lex nova, quae est lex libertatis […] est contenta praeceptis moralibus naturalis legis, et articulis fidei, et sacramentis gratiae)».
(105) Giovanni Paolo II, Discorso del 18 gennaio 2002, in AAS 94 (2002) 334.