Piero Morandini
(Dip. di biologia, Università di Milano)
Solo qualche percento della popolazione nei Paesi sviluppati è direttamente coinvolto nella produzione agricola, per questo è facile che sorgano miti su come e dove venga prodotto il cibo. Intendiamo affrontare tre esempi di questi miti con particolare riferimento al ruolo delle biotecnologie agrarie moderne, usate per produrre le piante transgeniche. Seppur impresa difficile — Einstein ci ricorda che «è più facile rompere un atomo che un pregiudizio» — riteniamo importante sfatare i miti per educare ad un esercizio ampio della ragione e dello spirito critico.
E facile sentir ripetere affermazioni del tipo che c’è abbastanza cibo per tutti (es. [1-2]), implicando così che il problema si risolverebbe con la redistribuzione del cibo o del potere d’acquisto. La conclusione, pur di un’apparente owietà, soffre di un distacco dalla realtà.
Tale frase è infatti perfettamente equivalente all’affermazione che c’è abbastanza denaro per tutti e che occorre “solo” prenderlo dai ricchi e ridistribuirlo ai poveri. Non sfuggirà ai più che la probabilità che ciò si verifichi spontaneamente sia nulla, mentre preferiamo non prendere in considerazione forme coercitive per realizzare quanto suggerito.
Se la redistribuzione del cibo si verificherà altrettanto facilmente quanto quella dei soldi, è chiaro che occorre aumentare la produzione il più possibile vicino ai posti e alle persone dove c’è carenza. E utile qui ricordare due fatti: circa il 50% della popolazione mondiale vive per e del coltivare la terra. Una persona su due, cioè, fa il contadino e vive di questa attività direttamente, perché consuma il cibo che coltiva, o indirettamente, perché rivende il frutto del raccolto.
Questa metà della popolazione è in gran parte anche povera. Per loro una bassa resa (produttività), intesa come quantità di prodotti agricoli ottenuti per unità di superficie, ad es. ton/ettaro, equivale a dire tanto lavoro e poco prodotto. Se è quindi importante aumentare la produzione, è auspicabile che questa avvenga per un aumento delle rese. L’alternativa è aumentare la superficie coltivata, ma questo è sconsigliabile per diversi motivi, non ultimo perché aumenta anche la fatica, ma anche perché spesso la terra a disposizione non esiste o perché è terra vergine e ricca di biodiversità.
Aumentare la produzione porta spesso a una diminuzione dei prezzi del cibo, facilitando così l’accesso al cibo anche ai poveri che non coltivano la terra. Le biotecnologie agrarie insieme al miglioramento genetico tradizionale possono venire incontro a questa esigenza in vari modi: riducendo le perdite dovute ad erbacce, parassiti (soprattutto insetti) e malattie, aumentando la produttività potenziale della pianta stessa, e semplificando le pratiche colturali ed i loro costi.
Molti altri fattori possono ovviamente contribuire (ad es. meccanizzazione, fertilizzanti, irrigazione) ma tutti questi soffrono di costi elevati e di minor sostenibilità rispetto ad approcci genetici dove è il vegetale piuttosto che l’ambiente ad essere cambiato. Basti un solo esempio, anche se di una coltura non alimentare, per la sua chiarezza. Altri esempi sono possibili [3].
L’esempio è l’adozione del cotone Bt in India. Tale tipo di cotone esprime una proteina (prodotta normalmente da un ceppo del batterio Badllus thuringensis e per questo detta proteina Bt) che è tossica per le larve di alcuni insetti erbivori che danneggiano il cotone. L’adozione del cotone Bt è iniziata nel 2002 e nel 2009 supera l’85%.
In concomitanza con l’adozione si è verificato un raddoppio nella produzione assolutamente inspiegabile dal modesto aumento della superficie coltivata. Ad aumentare è stata cioè la resa e l’unica spiegazione è l’efficacia della protezione della coltura da parte della proteina Bt. In concomitanza c’è stata una riduzione nel consumo di pesticidi, già osservata nelle prove sperimentali e confermata dai dati del mercato degli stessi: solo per il controllo del verme della bolla del cotone si è passati da 147 M $ nel 1998 a 65 M $ nel 2006 [4]. Il risultato è stato la trasformazione dell’India da paese importatore di cotone in paese esportatore ed un aumento di reddito per circa 6 milioni di agricoltori.
CONTAMINAZIONE IRREVERSIBILE
Molti siti web e documenti paventano una contaminazione irreversibile delle coltivazioni convenzionali (e biologiche) da parte delle piante transgeniche. In pratica non sarebbe possibile la coesistenza tra le diverse forme di agricoltura e le varietà locali sarebbero destinate ad essere spazzate via da quelle transgeniche imposte dalle multinazionali (ad es., si veda [5]).
Occorre prima di tutto notare che l’ibridazione tra specie sessualmente compatibili o la commistione tra le varietà di una stessa specie coltivata (ad es., mais) è un fenomeno biologico comune e conosciuto. Il mais e il teosinte sono cresciuti uno vicino all’altro per millenni e possono formare ibridi osservabili di tanto in tanto vicino ai campi. Eppure, il mais è ancora mais e il teosinte è ancora teosinte. Una cosa simile vale per le varietà tradizionali di mais: i contadini guatemaltechi, ad esempio, sanno benissimo come mantenere l’identità delle diverse varietà.
Le pannocchie cresciute al centro del campo vengono usate per propagare il seme, mentre quelle cresciute ai bordi, e frutto di impollinazione incrociata, immediatamente rilevabile per la presenza di chicchi di colore diverso, sono usate per il consumo. Sono centinaia di anni che le varietà coesistono fra di loro, e più recentemente anche con gli ibridi moderni (il fenomeno non è né peculiare per i transgenici, né aggravato da essi), pur contaminandosi vicendevolmente, ma senza per questo perdere la loro identità.
Bastano pochi accorgimenti per mantenere il livello di commistione entro limiti bassi e ragionevoli. La stessa cosa capita a livello industriale per colture come il mais waxy o la colza ad alto acido erucico (HEAR). Nel primo caso deve essere garantita una purezza elevata (96%), mentre nel secondo caso è importante che la colza usata per produrre olio commestibile non presenti commistioni superiori al 2%, a causa della tossicità dell’acido erucico. Questo significa che è possibile per entrambe le colture mantenere gli standard di purezza richiesti con appropriate pratiche agricole.
Se ammettiamo quindi che derrate tossiche per l’uomo possano contaminare la catena alimentare come nel caso della colza HEAR, a maggior ragione è sensato ammettere livelli più bassi di commistione con varietà altrettanto, o più, sane. Una seconda osservazione riguarda il mais Starlink. Questa era una varietà di mais Bt (transgenico) approvato per il consumo animale ma non per quello umano.
Quando tracce del suo DNA.furono ritrovate in prodotti destinati al consumo umano ne scaturì una causa multimiliardaria, seppur in assenza di un qualsiasi danno alla salute o all’ambiente. La varietà fu ritirata e la produzione americana è stata monitorata per la presenza di Starlink fin dal 2001. Dopo milioni di analisi, dal 2004 nessun campione è però risultato positivo [6], dimostrando così che è possibile ritirare un mais transgenico dal mercato e dai campi senza che ne rimangano tracce misurabili.
La cosa non stupisce perché le piante coltivate sono piante deboli che scompaiono velocemente dall’ambiente naturale se l’uomo non se ne prende costante cura. Questo è dovuto ad una serie di motivazioni, la più evidente delle quali è che il seme, una volta giunto a maturità, viene trattenuto nelle piante coltivate ma disperso velocemente nelle piante selvatiche.
Il carattere è ben fissato in tutti i cereali coltivati e per ottimi motivi: rende più facile la raccolta, anche se rende estremamente difficile la ripfoduzione. Simili argomentazioni possono essere fatte per caratteri come la dormienza del seme, il portamento della pianta, l’accumulo di tossine, l’accumulo di nutrienti, la capacità infestante e di rigenerazione, etc.
I caratteri buoni per l’uomo si rivelano delle tare notevoli per la sopravvivenza nell’ambiente naturale e il risultato netto è che le piante coltivate sono deboli e bisognose di cure (tra cui possiamo elencare l’irrigazione, l’aratura, la concimazione, la protezione dal freddo, dalle malattie, etc.). È quindi poco sensato preoccuparsi dell’eventualità che le piante coltivate (transgeniche o convenzionali) si propaghino da sole e conquistino gli ambiente naturali distruggendo la biodiversità. Una terza osservazione riguarda il numero di varietà transgeniche oggi in coltivazione.
Si fa un gran parlare della soia RR (soia tollerante all’erbicida glifosate) o del mais Bt, facendo intuire che vi siano solo una o al massimo alcune varietà disponibili per ciascuna di queste due colture. Questo però non corrisponde alla realtà quando viene sviluppata una nuova pianta (ad es., un mais Bt). Prima di tutto, vengono prodotti esemplari diversi che corrispondono ad eventi di inserzione indipendenti. Tali eventi sono esaminati in preliminari prove di laboratorio e di campo.
I migliori candidati sono poi caratterizzati più nel dettaglio per l’inserzione, la composizione, l’effetto sugli animali, la tossicità ed il rischio ambientale, etc. Il miglior evento viene infine portato sul mercato solo dopo che un complicato dossier è stato prodotto e sottoposto all’autorità competente per poter ottenere l’approvazione per il consumo o la coltivazione in un Paese. Il tutto dura diversi anni e costa fino a decine di milioni di dollari per singolo evento.
Un elenco degli eventi approvati è disponibile pubblicamente [7]. Una volta ottenuta l’approvazione, diventa però possibile incrociare l’evento con altre varietà, così da trasferire il carattere di interesse a varietà adatte alle condizioni locali senza dover passare attraverso le forche caudine di una nuova trasformazione con relativa approvazione e relativi costi. In questo modo si spiegano le centinaia o le migliaia di varietà transgeniche oggi in coltivazione in tutto il mondo. La verità è quindi che, anche nella poco tollerante Europa, esistono oltre 100 varietà di mais Bt oggi in coltivazione [8].
Per la soia, si stima che il numero di varietà in coltivazione sia intorno a 1000 negli USA e oltre 400 in Argentina. In India al momento attuale esistono almeno 600 varietà di cotone Bt [9] sviluppate principalmente dal settore privato ma anche da quello pubblico. Questo significa che la transgenesi non rappresenta un pericolo per la biodiversità (o almeno è un pericolo equivalente a quello posto delle varietà convenzionali) e neanche per la diversità agraria, perché varietà convenzionali e transgeniche non sono mutuamente esclusive, ma perfettamente compatibili e molto probabilmente sinergiche: tramite transgenesi si possono salvare varietà la cui coltivazione è stata abbandonata (ad esempio, per la loro sensibilità alle malattie).
I TRANSGENICI SONO INUTILI PER I PAESI IN VIA DI SVILUPPO (PVS)
Sono disponibili da anni o in fase di caratterizzazione numerosi transgeni pensati per i PVS. Emblematico è il caso del cotone con ridotto contenuto di tossine (specificamente del terpenoide gossipolo) solo nel seme, che renderebbe commestibile il seme permettendo così di soddisfare il fabbisogno proteico di mezzo miliardo di persone all’anno.
Esisteva già un mutante convenzionale con questo carattere (assenza di gossipolo), ma la mutazione aboliva la sintesi e l’accumulo della tossina in tutta la pianta, rendendola di fatto tanto preda dei parassiti da diventare incoltivabile. La transgenesi è stata quindi capace di ottenere un carattere che sarebbe stato impossibile o altamente improbabile ottenere con tecniche convenzionali (ad es., mutagenesi indotta), analogamente al goldenrice (p. 51) o alla papaya (p. 52).
II cotone transgenico «commestibile» è stato pubblicato nel 2006, ma la stringente e costosa normativa ne impedisce la distribuzione perché l’università che l’ha sviluppata non ha le risorse economiche necessarie per richiedere l’approvazione.
SFATIAMO I MITI
II numero dei miti in circolazione, anche sui libri di testo, risulta purtroppo così elevato e in costante crescita e la loro moltiplicazione tramite “copia e incolla” così facile, che il tentativo di sfatarli richiederebbe il lavoro di molte persone. Per motivi di spazio ci siamo limitati all’esame solo di alcuni. I miti sulle biotecnologie moderne in agricoltura rappresentano un duplice grande ostacolo al loro utilizzo a beneficio di paesi sviluppati e non.
Primo, perché i miti influenzano l’accettabilità da parte dell’opinione pubblica; questa a sua volta influenza la politica che raramente rischia un’assunzione di responsabilità contraria ad un’apparente volontà popolare. Le decisioni in Europa poi si ripercuotono nei PVS perché l’Europa è vista come un esempio, nel bene e nel male.
Secondo, perché i miti rendono invisa questa tecnologia alle giovani generazioni allontanandole dal perseguire gli studi superiori in questo settore: i corsi di laurea in biotecnologie vegetali in Italia soffrono da diversi anni di un numero ridotto di studenti. Non solo l’Italia diventerà succube dell’innovazione altrui, come già accade in diversi altri campi, ma mancando di menti e forze giovani che si dedichino a questa tecnologia, non potrà neanche contribuire per realizzare i benefici, ampiamente a portata di mano, per nutrire gli abitanti del pianeta e nutrirli meglio. Una corretta educazione può iniziare a fare la differenza.
Sitografia
[1] www.fondazionedirittigenetici. org/liberi/cartellastampa1 Osett/OGM % 20e % 20luoghi % 20comuni. doc.
[2] www. worldsocialism. org/articles/how_we_could_feed.php
[3] Ad es: http://www.isaaa.org/resources/publications/briefs/41/executivesummary/default.asp sezione: “Economie impaci”.
[5] http://ilsole24h.blogspot.com/2010/02/carta-di-montebelluna.html.
[6] www.namamillers.org/PR_StarLink_04_28_08.hml.
[7] www.cera-gmc.org/?action=gm_crop_database.
[8] ec.europa.eu/food/plant/propagation/catalogues/agri2010/86.html
Catalogo delle varietà di mais ammesse per la coltivazione in Europa. Molte delle varietà Bt sono facilmente riconoscibili dal suffisso BT o YG.
[9] Rapporto “Bt cotton in India” www.apcoab.org/documents/bt_cotton2.pdf.