La Nuova Bussola quotidiana 1 Maggio 2018
Il ministro degli esteri turco, Mevlut Çavuşoğlu invita l’Europa a criminalizzare le critiche all’islam, che deve essere presentata solo come religione di pace. Si tratta di una palese distorsione della storia passata e presente. Ma è anche un campanello d’allarme.
di Lorenzo Formicola
All’inizo del mese di aprile, in occasione di un evento per la presentazione del Rapporto europeo sull’islamofobia del 2017 – pubblicato dalla ‘Fondazione per la ricerca Politica, Economica e Sociale’ – il ministro degli esteri turco, Mevlut Çavuşoğlu, ha invitato l’Unione europea, e i suoi leader, a prendere posizione una volta per tutte contro l’islamofobia per criminalizzarla anche attraverso disegni di legge.
“Non esiste un’ideologia o una terminologia chiamata ‘islamismo’, c’è un solo ‘islam’ e significa ‘pace’ “, ha dichiarato il ministro di Erdogan con fare da maestrina. E aggiungendo: “i politici populisti [d’Europa] sono sempre più impegnati nella retorica estremista, anti-immigrati, xenofoba e islamofobica per ottenere qualche voto in più”.
Sorvolando sulle considerazioni in salsa demagogica, il ministro pare aver dimenticato il vero significato della parola ‘islam’, sottomissione. Quella, per intenderci, cui auspica esortando tutti i politici a riconoscere l’islamofobia come “un crimine di odio e una forma di razzismo” nelle loro costituzioni. Çavuşoğlu, usando l’Olocausto come analogia, ha continuato: “Non c’è bisogno di rivivere Auschwitz o aspettare che i musulmani siano bruciati in camere a gas come gli ebrei”. Un azzardo forse di cattivo gusto, ma certamente non nuovo. Si tratta, piuttosto, di una grossolana distorsione della storia passata e contemporanea, modellata sull’idea che la religione islamica sia superiore alle altre religioni e che vada tutelata con leggi ad hoc.
Una grossolana distorsione, comunque, anche della storia recente. E’ l’islam, infatti, la religione che perseguita i non-musulmani, meglio noti come gli infedeli. Sono gli imam che hanno messo radici in Europa e, godendo delle libertà garantite dalle democrazie occidentali, predicano l’odio per il cristianesimo, i crociati, e una jihad sempre più violenta. E’ l’islam che a casa nostra recluta cambattenti e mette in piedi tribunali della sharia in quartieri che hanno le dimensioni di uno Stato all’interno dello Stato.
C’è la firma dell’islam sotto le recenti, e sempre più frequenti, persecuzioni violente degli ebrei in giro per le capitali d’Europa. L’omicidio antisemita di Mireille Knoll e quello di Sarah Halimi – l’anziana donna ebrea, medico in pensione – torturata e poi defenestrata, mentre ancora era in vita, al grido di “Allahu Akbar”, sono solo due dei più celebri episodi accaduti nella multiculturale Francia. Senza dimenticare, poi, la persecuzione dei cattolici in giro per il mondo.
Ma Çavuşoğlu, nel suo discorso contro l’islamofobia, non ha inteso fare menzione delle atrocità commesse dagli islamisti in Europa. Al contrario, proponendo di bloccare ogni critica dell’islam sulla base del fatto che essa sia per definizione “estremista, anti-immigrante, xenofoba e islamofobica”, il ministro turco sta annunciando che sarebbe cosa buona e giusta vietare la libertà di parola per proteggere una religione che è un progetto politico.
E detto da un Paese, la Turchia, che nega ogni libertà ai dissidenti del governo e ai non-musulmani, è la quintessenza dell’ipocrisia. Oltre che della perversione ideologica. Specie se una dichiarazione del genere arriva alla vigilia dei centotré anni da uno dei più grandi massacri etnici della storia: si calcola che l’Impero ottomano – i turchi – soppresse un milione e mezzo di armeni e ne deportò un numero anche superiore. Un genocidio oscurato a lungo e sul quale ancora oggi piovono mezze verità.
Ma la storia delle persecuzioni turche non si riduce a quel genocidio. All’inizio del 1923 i turchi organizzarono un altro tipo di persecuzione: le imprese straniere e le banche erano tenute ad assumere solo cittadini musulmani turchi e a licenziare chi non era musulmano. Greci, ebrei ed armeni furono licenziati in massa senza essere pagati. Il 24 gennaio 1924, “essere turchi” divenne il requisito fondamentale per lavorare come farmacisti in base a una nuova legge riguardante questa categoria professionale.
Nel 1941, 12.000 non musulmani, tra cui uomini ebrei di età compresa tra i 27 e i 40 anni, furono inviati come soldati nei campi di lavoro forzato, senz’acqua, tra zanzare, fango e umidità. Soldati, conosciuti anche come “le 20 classi” e scherniti come “soldati infedeli”. E tra essi vennero reclutati non vedenti e disabili.
L’11 novembre 1942, il governo guidato dall’allora premier Sukru Saracoglu, introdusse una tassa sulla ricchezza, con l’obiettivo di risolvere i problemi economici che erano emersi durante la Seconda guerra mondiale. L’87 per cento dei contribuenti non era però musulmano. Il vero motivo che ispirò questa legge fu piuttosto eliminare i non musulmani dall’economia, come scrisse anche Basak Ince.
Oggi la popolazione turca è di circa 80 milioni e solo lo 0,2% è cristiano. Frutto di un’epurazione che continua senza remore né timori. Per esempio sono rimasti solo circa 20.000 assiri nel paese. E stanno ancora lottando per aprire una scuola elementare a Istanbul. Nel frattempo, sia il governo che alcuni abitanti del Kurdish musulmano nel sud-est della Turchia continuano a sequestrare le loro terre e proprietà illegalmente. Il governo turco, ancora, non riconosce la comunità protestante come “entità legale”.
Quindi, secondo un rapporto sulle violazioni dei diritti umani del 2017 da parte dell’Associazione turca di chiese protestanti, i protestanti sono ancora privi del diritto di stabilire e mantenere luoghi di culto liberamente. Il governo turco non riconosce neanche lo yazidismo come una religione. Una persecuzione che li ha spinti a fuggire in Europa, e che vede oggi la maggior parte degli ex villaggi yazidi in Turchia completamente islamizzati. Sono rimasti circa 350 yazidi in tutta la Turchia.
E meglio non continuare la lunga lista di religioni da condannare all’oblio aprendo il capitolo dei ‘cattolici in Turchia’. L’ultimo censimento risale al 2013 e conta i cattolici come lo 0,07% della popolazione. La verità, infatti, è che i cattolici, i cristiani più in generale, o comunque tutti i non musulmani, è meglio che non mettano piede in Turchia. E intanto Çavuşoğlu chiede all’Europa di essere meno ‘islamofobica’. Paradossi del nostro tempo.