di Pigi Colognesi
Milano. Dice un antico canto popolare russo: “Animati da una meravigliosa speranza, beviamo dai calici ricolmi. Il primo brindisi è al nostro popolo”. Ma sembra ci sia ben poco da brindare. Il popolo russo sta scomparendo.
Una folta corrente di studiosi sostiene che la tendenza demografica russa non sia molto differente da quella che si riscontra in altri paesi “occidentali”; la Russia postsovietica si starebbe semplicemente allineando alle nazioni “moderne” e ciò rappresenterebbe, in definitiva, un segnale positivo.
Segnale da opporre a tutti i nostalgici del passato sovietico; come a dire: vedete che finalmente la Russia è entrata nel novero degli Stati più avanzati? Questa lettura, però, non giustifica i ripetuti allarmi lanciati da politici, studiosi, uomini di cultura(ma, si risponde, questi allarmi sarebbero strumentali proprio al ripristino della antica“potenza” russa, che – come tutte le potenze– ha nella numerosità dei figli della patria un punto di forza). Ma non giustifica neppure i meno manovrabili dati numerici.
Essi parlano di crollo delle nascite (ormai ampiamente inferiori agli aborti), di diminuzione dell’attesa di vita (per questo parametro– soprattutto per quanto riguarda i maschi – la Russia è stata superata perfino dal Bangladesh), di aumento esponenziale dei suicidi (52 mila nel solo 2004; si consideri che in tutti i 25 paesi della comunità europea sono stati, nello stesso anno, 58 mila) e dei bambini orfani (sono stati, nel 2003, più numerosi – 700 mila – di quanti fossero alla fine della Seconda guerra mondiale, che pure aveva decimato la popolazione maschile), di interi villaggi e ampi territori rimasti deserti. I numeri parlano, insomma, di una situazione nient’affatto “normale”. Sembra più saggio chiedersene le cause. E individuare le speculari ipotesi di soluzione.
I più pensano a interventi di carattere socio-sanitario, soprattutto a incentivi alle famiglie e a una migliore assistenza medica. Pur non negandone la necessità e l’urgenza, il demografo Anatolij Vinevskij ne mette in radicale discussione l’efficacia: “Le nostre donne non partoriscono non perché non possono, ma perché non vogliono”. E perché non vogliono?
Se gli uomini vivono solo 58 anni
Altri appuntano tutta l’attenzione sul problema dell’alcolismo. Effettivamente da sempre la Russia si trova a lottare contro questa endemica piaga, che molti analisti indicano come la causa prima dello sfascio demografico. Lo conferma il dato impressionante sulla discrepanza tra l’età media delle donne (72 anni) e quella degli uomini, i più afflitti dall’alcolismo (58,6 anni); in nessun altro paese al mondo (salvo – guarda caso – alcune repubbliche ex sovietiche) si registra una tale disparità.
L’abuso di alcol è causa diretta non solo di morte precoce, ma anche di altri fenomeni (incidenti, instabilità familiare, malattie) che hanno un’incidenza indiretta sulla bilancia demografica. Molti, dunque, invocano campagne di sensibilizzazione o leggi più severe e punitive. Ma anche in questo caso viene da chiedersi: perché i russi bevono così tanto e sempre di più?
Un parziale riequilibrio del declino demografico viene sperato, da ultimo, dai movimenti migratori. Ma gli svantaggi sembrano, a questo livello, maggiori dei benefici. Esauritasi l’ondata dei rientri seguiti al crollo dell’Urss, i flussi migratori potrebbero riguardare (per essere significativi a livello di grandi numeri) solo etnie che nulla hanno a che fare con il “popolo russo”: cinesi in estremo oriente, arabi-turchi-persiani e affini in Caucaso e Asia centrale. Contro una simile prospettiva di “invasione” si ergono decisamente tutti i nazionalisti russi. Quindi il problema resta.
Se n’è occupata spesso anche la Chiesa ortodossa. L’ultima volta con un preoccupato intervento del patriarca Aleksij a una riunione del clero di Mosca del 17 dicembre2004. L’alto prelato ha parlato di “infermità spirituale della nazione”. La formulazione sembra generica eppure vi si può rinvenire uno spunto per capire la “specificità russa” della crisi demografica e, quindi, le possibili soluzioni.
Parlare di “infermità spirituale della nazione” (superando, tra l’altro, la retorica della “gloriosa Santa Madre Russia”, cui spesso le gerarchie ortodosse indulgono) significa infatti porre la questione delle cause della crisi demografica al suo livello esatto: la crisi di identità di un popolo.
Una crisi determinata dall’accoglimento scriteriato dei costumi “occidentali” che però si è assommato a settant’anni di devastazione dell’umano prodotta dal regime sovietico. Eccola la specificità: la crisi della famiglia, l’abnorme crescita degli aborti, l’esorbitante numero dei suicidi, il dilagare dell’alcolismo non sono gli stessi che si potrebbero trovare in Svezia(per fare un esempio di paese colpito gravemente dalla distruzione dei “valori tradizionali”).
Sono quegli stessi, attecchiti però su un terreno già devastato da decenni di comunismo realizzato. Decenni durante i quali la famiglia è stata poco più che una struttura organizzativa funzionale agli scopi statali e la generazione una delle possibili funzioni di servizio del partito; decenni durante i quali i rapporti umani sono stati destituiti di ogni connotazione di fiducia e il valore dell’individuo è stato messo radicalmente in discussione. Insomma, la Russia paga oggi la sua modernizzazione selvaggia, ma in tasca non aveva già più niente. E il baratro appare ancora più spaventoso e vicino.
Per questo la Chiesa parla di problema“educativo”. Negli anni Sessanta e Settanta il fenomeno del dissenso ha mostrato che le energie per opporsi alla violenza del regime e far rinascere una coscienza civile popolare potevano essere trovate. Fu una stagione straordinaria e feconda, ma riguardò solo una piccola minoranza.
Ben più radicale è il problema ora, di fronte al nuovo incombente disastro. Saprà il popolo russo“animato da una meravigliosa speranza” tornare a brindare a se stesso?