di Lucia Braghini
Agenda di genere è ormai un’espressione ricorrente, ma quando Dale O’Leary la utilizzò nel 1997 come titolo per il suo illuminante volume The gender agenda-redifining equality (pubblicato in italiano da Rubettino con il titolo Maschi o femmine, la guerra del genere) pochi comprendevano cosa stava accadendo. La scrittrice statunitense è in Italia per il convegno Dalla differenza alla in-differenza sessuale. Gli equivoci del gender, che si terrà a Brescia il 13 aprile. Dale O’Leary è da anni impegnata nella ricerca e nello studio approfondito dei movimenti abortisti, femministi e gender.
Tutto è iniziato negli anni ‘80. All’epoca affiancavo i movimenti pro-life, cercando di studiare gli ambienti abortisti e giungendo alla conclusione che chi promuove l’aborto non è dalla parte delle donne. Nel 1994 ho partecipato alla Conferenza del Cairo con una decisione quasi improvvisa, dopo che Giovanni Paolo II aveva allertato il mondo pro-life e pro famiglia rispetto alla posta in gioco: la spinta per il riconoscimento dell’aborto come diritto umano. In fretta e furia, con mezzi di fortuna, singoli individui riuscirono a essere presenti: i gruppi pro-life non avevano la forza di inviare loro rappresentanti, mentre le organizzazioni abortiste erano massicciamente rappresentate nelle delegazioni. Fu un lavoro impegnativo e portato avanti tra tante difficoltà, ma si ottenne un importante risultato.
Quale?
Bloccare alcuni documenti che avrebbero avuto effetto devastante. Ma si era solo agli inizi: mentre ancora era in corso la Conferenza del Cairo si cominciò parlare dell’appuntamento seguente: la Conferenza di Pechino sulle donne. Mi dissi: “Questo è il tuo terreno. Devi esserci” (Dale O’Leary è laureata in storia e ha una conoscenza molto approfondita del pensiero femminista, ndr).
Il vero luogo dell’elaborazione dei documenti che vengono poi votati nella Conferenza è il ComPrep. Ma solo quindici giorni prima dell’incontro preparatorio furono resi disponibili ai delegati i testi della Piattaforma d’Azione, che stravolgevano totalmente le bozze precedenti. In quelle settanta pagine il termine genere aveva una presenza dominante, ricorreva in ogni pagina, anzi, in ogni paragrafo. Pochi in verità erano consapevoli di quanto stava accadendo.
Cosa intende dire?
I partecipanti alla Conferenza del Cairo si occupavano della tematica dell’aborto, ma erano impreparati a cogliere le implicazioni dei testi che venivano presentati al PrepCom. Erano convinti che genere significasse semplicemente “maschio o femmina”. Si trattava invece della negazione di ogni differenza tra gli uomini e le donne. Il lavoro di promozione di questa prospettiva è poi proseguito a grandi passi, confermando la mia percezione iniziale dei pericoli insiti in quei testi.
Nel 1995 ho avuto la possibilità di presentare al cardinal Ratzinger alcuni miei lavori sul tema, in particolare uno studio intitolato “Gender: The Deconstruction of Woman” (Il genere: la decostruzione della donna). Per questo mi hanno fatto molto piacere le parole di Benedetto XVI, molto critiche nei confronti di tali teorie, nel Discorso alla Curia Romana del 21 Dicembre 2012.
Quali sono le forze principali impegnate nella promozione dell’agenda di genere?
Gli attori principali sono tre: gli ambienti femministi radicali di ispirazione marxista, che utilizzano le conferenze ONU per far progredire i loro programmi, poi le organizzazioni abortiste, prima fra tutte International Planned Parenthood, e, infine, i gruppi che spingono per il controllo demografico, impegnati nella diffusione di aborto e contraccezione.
Cosa spinge i promotori di questa ideologia?
Due cose principalmente. La prima è la filosofia marxista alla base del loro pensiero: il perseguimento dell’uguaglianza di genere come forma della lotta di classe. In secondo luogo le loro esperienze personali. Se si scava nella vita di molte delle figure di spicco, si trovano uomini e donne dall’esistenza molto tribolata. Basta pensare a Betty Friedan, Gloria Steinem o a un’autrice fondamentale della storia del femminismo, Judith Butler, la cui esistenza è stata segnata dalla pazzia. Si tratta di persone che, sulla base e di loro esperienze traumatiche hanno elaborato teorie per razionalizzare il loro dolore. Ma per amore di verità non possiamo accettare che un’esperienza traumatica sia considerata la realtà.
Quali sono gli obiettivi?
L’obiettivo, dal punto di vista filosofico, è la rivoluzione sessuale come lotta di classe. Vi è poi il tentativo, spesso riuscito, di occupare posizioni di potere. In questo senso l’amministrazione di Barack Obama annovera molti rappresentanti appartenenti a questo ambiente culturale. Uno degli obiettivi principali è riscrivere le leggi sui diritti umani utilizzando un linguaggio che le renda funzionali alla promozione dell’agenda di genere, i cui punti principali sono: la separazione del genere come ruolo socialmente costruito dal sesso biologico; l’ampliamento dei diritti umani per includere i diritti sessuali e riproduttivi; l’eliminazione del disturbo dell’identità di genere dall’elenco dei disturbi psicologici; includere nelle leggi antidiscriminazione la tutela dell’orientamento sessuale e dell’identità e manifestazione di genere; favorire il ricorso alla chirurgia di “cambiamento di sesso”.
Qual è il percorso che ha portato dal femminismo radicale alla cultura transgender?
C’è stata una progressiva trasformazione: gli ambienti del femminismo radicale di ispirazione marxista hanno visto nel tempo crescere l’influenza delle femministe radicali marxiste lesbiche. Il passo successivo è stato il fare propria la rivendicazione dei diritti transgender. Si è così passati dalla battaglia per l’uguaglianza di genere a quella per il riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi, alla ridefinizione del matrimonio in vista della equiparazione delle unioni omosessuali e della possibilità di adozione per le coppie dello stesso sesso. Questo percorso è chiaramente delineato negli scritti degli attivisti, ma anche i Principi di Yogyacarta sono un buon indicatore di quanto sta accadendo (si tratta della riscrittura, fatta in ambito Onu, dei diritti umani in chiave omosessualista, ndr).
Nell’ambito dell’applicazione delle leggi internazionali sui diritti umani in relazione all’orientamento sessuale si chiede ai governi di impedire trattamenti medici o psicologici che considerino, implicitamente o esplicitamente, l’orientamento sessuale o l’identità di genere (cioè la interiore e soggettiva percezione del proprio genere, indipendentemente dal sesso assegnato alla nascita) una condizione medica da curare. Si chiede inoltre di garantire che la libertà di pensiero o di espressione non violino i diritti e le libertà delle persone con identità di genere o orientamento sessuale diversi.
In definitiva i Principi di Yogyacarta sostengono le rivendicazioni transgender, per esempio quella al matrimonio e alla modifica dei documenti personali per adattarli alla nuova identità di genere, e questo indipendentemente dal ricordo o meno a un intervento chirurgico. E’ accaduto di recente un fatto emblematico: un uomo, avendo scelto di identificarsi come donna, pur non essendosi sottoposto a chirurgia, ha preteso di utilizzare gli spogliatoi femminili in una palestra, lasciando così esterrefatte le ragazzine che se lo sono trovate davanti, alle quali, in ossequio alla scelta di genere dell’uomo, è stato peraltro dato il rimando che il loro sconcerto era fuori luogo.
Qual è la nuova frontiera?
Il genderQueer, ovvero la rivendicazione della libertà di non identificarsi con alcun genere o con più generi contemporaneamente o successivamente.