Marco Invernizzi
Care amiche, cari amici
La fase finale delle leggi su omofobia e matrimonio gay è cominciata. La prima verrà discussa e probabilmente approvata in Parlamento in questo mese, la seconda dopo l’approvazione della prima, quando sarà più difficile criticare l’omosessualismo perché potrebbe comportare la prigione o almeno un’ammenda pecuniaria.
Un giovane francese starà in galera 4 mesi per aver manifestato con la maglietta della Manif, l’associazione di associazioni nata nella lotta contro la legalizzazione del matrimonio gay in Francia.
Negli ultimi mesi, le vicende internazionali hanno conosciuto una grande accelerazione sul tema omofobia e matrimonio gay, con l’approvazione della legge che autorizza il matrimonio gay (adozione compresa) in Francia, l’avvio dell’iter legislativo in Gran Bretagna e la decisione della Corte suprema statunitense di permettere i matrimoni omosessuali in tutti gli Stati del Paese americano.
In Italia non siamo immuni da questa deriva, anzi. Se la presenza della Santa Sede costituisce in un certo senso un freno e comporta moderazione da parte delle forze laiciste, è altrettanto vero quanto scrivevano i radicali prima dell’introduzione della legge divorzista (1970) e cioè che bisognava ripetere quanto avvenuto nel 1870, a Porta Pia, quando i “soldati italiani” entrarono con la forza delle armi appunto da Porta Pia per strappare al Papa manu militari la capitale della cristianità.
Oggi come allora, l’Italia rappresenta il cuore dello scontro fra due civiltà, due opposte visioni del mondo, e questo la fa essere ancora più importante. Stupisce il silenzio rassegnato con cui viene accolto il processo che sta introducendo anche in Italia il matrimonio gay e il rischio
che, con le la legge sull’omofobia, non si possa più criticare l’omosessualismo.
Stupisce, nel mondo politico, l’atteggiamento del Pdl, che sembra caduto in mano alla sua componente più laicista, quella che presenta con Galan, Bondi e altri suoi rappresentanti una legge favorevole al riconoscimento delle unioni civili, che sono l’anticamera e non l’alternativa
al matrimonio gay
Stupisce, in questo partito che ha sempre difeso la centralità della famiglia, il silenzio quando tolsero le deleghe sulle pari opportunità al sottosegretario Michaela Biancofiore per normali dichiarazioni che non piacquero al movimento gay, stupiscono i ministri cattolici che stanno al governo che non hanno neppure protestato per la presenza al gay pride di Palermo di un ministro e della terza carica dello Stato, stupisce l’inerzia con cui in Parlamento si è votata all’unanimità la Convenzione di Istambul, che introduce l’ideologia del gender nel lessico parlamentare, e stupisce ancora di più il silenzio sul fatto che con l’introduzione dell’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, è stata avviata la costituzione di una sorta di “polizia religiosa” che, come in Arabia Saudita, controllerà le credenze e le esternazioni dei cittadini anche sul tema sessuale, pronta a colpire chi afferma, come si trova nella Bibbia e nel Catechismo della Chiesa Cattolica, che Dio ha creato l’uomo “maschio e femmina” affinché unendosi trovino la gioia della comunione e moltiplichino gli abitanti della terra.
Stupisce anche quanto avviene nel mondo cattolico. Certo, ci sono grandi e ancor più meritorie eccezioni, come il card. Caffarra, che in polemica col sindaco della sua Bologna ribadisce il senso comune contro l’ideologia glbt, l’arcivescovo di Ferrara mons. Negri e quello di Trieste mons. Crepaldi, e molti altri. Tuttavia, non era un secolo fa, e neppure sessant’anni, quando oltre un milione di persone scesero a Roma per fermare i Dico, cioè le unioni civili di oggi. Questo avveniva solo 6 anni fa, nel 2007.
Oggi non c’è più quel clima. Perché? Perché molti movimenti cattolici, e intellettuali e preti, sono favorevoli alle unioni civili al fine di “svuotare”, come dicono loro stessi, le rivendicazioni
omosessualiste? Come non accorgersi che si tratta del piano inclinato, della tattica del “cedere per non perdere” che conduce comunque e inevitabilmente alla sconfitta?
Si perderebbe lo stesso, certo. I numeri del Parlamento non sono quelli della precedente legislatura, che fermò più volte la legge sull’omofobia e rese impossibile la legalizzazione del matrimonio gay. Ma si perderebbe salvando i princìpi e senza generare confusione fra i cattolici.
Oggi non c’è bisogno di alcuna legge per riconoscere forme di convivenza, perché i diritti dei singoli, gay o no, sono comunque garantiti. E se non lo fossero, potrebbero venire garantiti come diritti individuali. Tutti hanno capito che quella in corso da decenni ormai è una battaglia per il riconoscimento del matrimonio gay, o meglio per ferire la famiglia sostenendo che il matrimonio fra un uomo e una donna non è l’unica forma di famiglia, ma una fra altre.
Quando questa idea sarà penetrata nel senso comune degli abitanti di una nazione, quest’ultima avrà iniziato a cambiare il suo dna, la sua identità più profonda.
Che fare allora? Rassegnarsi voltando la testa dall’altra parte? Aspettare indicazioni dall’alto che, questa volta, non sembra arriveranno mai?
C’è un dato di fondo da cui partire. Siamo una minoranza, come cattolici ma anche probabilmente come sostenitori dell’esistenza di un senso comune per cui gli uomini sono maschi e le donne femmine, cioè diversi e complementari e questo per la gloria di Dio, la gioia (e le pene post peccatum) di entrambi e la continuazione della specie. E una minoranza deve agire come tale, senza ingaggiare battaglie campali che può solo perdere, ma cercando di crescere mostrando le contraddizioni e l’arroganza dell’avversario.
Non possiamo impedire oggi la legalizzazione di omofobia e matrimonio gay. Ma possiamo denunciare pubblicamente che cosa ciò comporterà e così preparare la rinascita di domani. Possiamo fare tutto ma non stare zitti.
Dalla Francia è venuto un esempio. Partita dal basso, dalle ore di adorazione organizzate da poche persone, dalle prime piccole manifestazioni che sono diventate un milione di persone, la Manif è pervenuta oggi a organizzare i Veilleurs Debout (i Vigilanti in piedi) che dal mese di giugno protestano contro l’arresto di un giovane della Manif sostando uno accanto all’altro advanti ai Palazzi del Potere.
La legge Taubira che legalizzava il matrimonio gay è passata comunque, ma oggi molti in Europa guardano alla Francia con speranza, perché lì è successo qualcosa. Speriamo che i francesi non si guardino addosso m mettino lo sguardo anche oltre le Alpi.
Che fare allora? Pregare e organizzarsi. Mettere insieme i diversi pezzi del mondo cattolico italiano, coinvolgere le associazioni laiche, cominciare da piccoli gesti prima durante e dopo l’iter delle leggi, senza creare aspettative irrealistiche, ma ricordandoci che il dono non è la vittoria ma la grazia di poter combattere per il Signore. E il tempo è breve …