La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio.(Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 36)
Il biologo omosessuale americano Simon LeVay, fondatore dell’Institute of Gay and Lesbian Education, ha elaborato una teoria secondo la quale il comportamento omosessuale non sarebbe un comportamento disordinato, frutto di abitudini disordinate apprese, subite o liberamente scelte, ma una condizione biologica innata e precisamente il risultato di una “programmazione” cerebrale.
L’ipotesi di Simon LeVay è che il terzo nucleo interstiziale dell’ipotalamo anteriore – INAH3 – sarebbe più voluminoso nei maschi mentre nelle donne e negli omosessuali esso sarebbe più piccolo e tale nucleo potrebbe essere determinante nella genesi del comportamento sessuale (1).
William Byne, psichiatra al New York State Psychiatric Institute e ricercatore all’Albert Einstein College of Medicine della Yeshiva University di New York, presso la quale studia la struttura cerebrale dell’uomo e degli altri primati e il modo in cui i fattori biologici e sociali interagiscono nell’influenzare il comportamento, evidenzia innanzi tutto il fatto che il lavoro di Simon LeVay non è stato riprodotto sperimentalmente: studi di neuroanatomia umana come questo sono corredati da una scarsissima documentazione metodologica, che non consente la riproduzione. Infatti, procedimenti analoghi a quelli utilizzati da Simon LeVay per identificare i nuclei avevano precedentemente depistato i ricercatori (2).
William Byne sottolinea che delle molte presunte differenze sessuali nel cervello umano riferite negli ultimi cento anni, solo una è risultata sistematicamente riscontrabile: la dimensione del cervello e delle sue strutture varia con la taglia corporea (3).
Inoltre l’ipotesi di Simon LeVay sui meccanismi biologici proposti per spiegare il comportamento omosessuale nel maschio, non è in grado di spiegare il comportamento sessuale delle lesbiche né, tantomeno, quello degli adulti bisessuali e certo non può essere generalizzata ed estesa per dare giustificazione del comportamento nelle varie forme di deviazione e di perversione sessuale (4).
Tale ipotesi non può spiegare un altro fatto alla luce del quale la sua logica deterministica risulta infondata: se la persona omosessuale vuole sottoporsi a opportune terapie psicologiche, essa può giungere a guarigione completa.
Secondo l’esperienza clinica dello psichiatra olandese Gerard J. M. van den Aardweg, uno dei massimi studiosi dell’omosessualità, la guarigione è totale in una percentuale del 30% e negli altri casi, dov’è maggiore un’assuefazione ai contatti omosessuali di tipo nevrotico-ossessivo, è possibile attenuare e controllare gli impulsi emotivi.
Lo studioso olandese ha pure notato che i pazienti omosessuali che vivono la loro fede religiosa in modo positivo hanno maggiori possibilità di un cambiamento radicale perché la pratica dei sacramenti – in particolare della confessione -, la speranza, l’umiltà, l’amore del prossimo hanno un effetto antinevrotico (5).
L’ipotalamo fa parte del cosiddetto sistema limbico: esso è uno degli elementi centrali del sistema e intorno a esso vi sono altre strutture sotto corticali come l’area preottica, l’epitalamo, l’ippocampo, l’amigdala e così via. Tutto intorno a queste formazioni sotto corticali si trova la corteccia limbica, che comincia, sulla faccia ventrale dei lobi frontali, con l’area orbitofrontale e termina, verso la superficie ventro-mediale del lobo temporale, con il giro ippocampale, l’area piriforme e l’uncus: tutto questo complesso di strutture costituisce il sistema limbico (6).
John C. Eccles, premio Nobel per la neuro-biologia, spiega che il sistema limbico è deputato soprattutto all’attività di fissare i ricordi con le relative esperienze emozionali (7).
I sistemi prefrontale e limbico sono in uno stato di relazione reciproca e in grado di stabilire fra loro un’interazione a circuito continuo. Per mezzo della corteccia cerebrale prefrontale il soggetto può esercitare un’azione di controllo sulle emozioni generate dal sistema limbico (8).
Questo spiega come un riflesso condizionato possa essere inibito e annullato da un condizionamento contrario mediante un “lavoro psichico” che porta alla costituzione di diversi engrammi mnemonici determinati da un nuovo apprendimento e destinati a evocare un nuovo senso di gratificazione e di castigo (9).
Pertanto, un’ulteriore obiezione all’ipotesi di Simon LeVay è che le esperienze emozionali, fissate nel sistema limbico e nell’ipotalamo in particolare, possono essere sostituite da nuove esperienze emozionali perché si tratta di una sorta di “banca dati”, che è soggetta al controllo e alla programmazione del pensiero cosciente.
Inoltre non bisogna dimenticare che la medicina psicosomatica ha dimostrato che l’influsso della psiche sul soma è tale da trasformare le alterazioni psichiche in alterazioni somatiche, prima funzionali e successivamente organiche, anche in senso morfologico.
Alcuni degli esempi più clamorosi dell’influenza che possono esercitare i fattori psichici sull’organismo sono costituiti, oltre che dai lavori del fisiologo russo Ivan Petrovic Pavlov sui riflessi condizionati, dai fenomeni isterici, dall’anestesia mediante ipnosi, dai metodi di rilassamento psico-fisico mediante la concentrazione psichica e la suggestione, dai lavori di Walter Bradford Cannon sulla funzione delle emozioni nei confronti delle attività endocrino-metaboliche: mentre nell’Ottocento si vedeva soltanto l’aspetto organicistico, oggi si tende a studiare l’intera personalità nella quale corpo e spirito formano un’unità inscindibile.
Il comportamento umano nasce dal rapporto e dall’interazione fra conoscenza e volontà, apprendimento e interpretazione degli avvenimenti, processi somatici ed eventi ambientali (10).
Marcello Perrotta, dell’Istituto di Sessuologia di Firenze, ricorda che la stessa neuro-biologia considera fondata l’ipotesi secondo cui il comportamento e l’ambiente possono plasmare e modificare le strutture cerebrali, amplificando o riducendo alcune differenze anatomiche. Pertanto, nell’omosessuale, il diminuito volume di un piccolo nucleo ipotalamico potrebbe essere non la causa del comportamento omosessuale, ma la conseguenza del comportamento omosessuale (11).
William Byne cita il lavoro di Manfred Gahr, che lavora presso il Max-Planck-Institute, in Germania, il quale ha utilizzato una colorazione dei nuclei simile a quella impiegata da Simon LeVay. Manfred Gahr ha potuto osservare variazioni stagionali nella dimensione del nucleo coinvolto nel canto dei canarini. Tuttavia metodi di colorazione più specifici hanno rilevato che le dimensioni, in realtà, non variavano e allora ha ipotizzato che il metodo di colorazione meno specifico potesse essere stato influenzato da variazioni ormonali stagionali che alterano le proprietà delle cellule del nucleo (12).
William Byne, inoltre, fa notare che il lavoro di Simon LeVay è inattendibile perché tutti i cervelli di maschi omosessuali provengono da pazienti colpiti da AIDS e, all’epoca del decesso, tutti i soggetti presentavano bassi livelli di testosterone in conseguenza della malattia stessa (13). Una ricerca di Deborah Commins e Pauline Yahr, dell’Università della California a Irvine, sostiene quest’ultima ipotesi. Le due ricercatrici hanno trovato nei gerbilli della Mongolia – roditori poco più grossi dei topi – che la dimensione di una struttura cerebrale simile, paragonabile al cosiddetto nucleo sessuale dell’area preottica, varia con la quantità di testosterone presente nel circolo sanguigno (14).
Roger A. Gorski e Gary W. Arendash, dell’University of South Florida, hanno trovato che, distruggendo il nucleo cosiddetto sessuale dell’area preottica, in entrambi i lati del cervello di un ratto di sesso maschile, non se ne pregiudica il comportamento sessuale.
L’elemento somatico fondamentale che determina la differenziazione delle gonadi in senso maschile o femminile è il sesso cromosomico: si tratta dell’elemento strutturale che consente l’attribuzione dell’identità sessuale somatica.
Nel processo dello sviluppo e della differenziazione sessuale, le malattie che portano a un insufficiente o eccessivo tasso ormonale di androgeni provocano anomalie nello sviluppo degli organi genitali esterni, che possono avere aspetto femminile negli uomini o aspetto maschile nelle donne. Le persone affette da tali malattie hanno spesso bisogno di un doveroso intervento di chirurgia plastica per la ricostruzione di organi genitali di aspetto normale.
William Byne parla delle ricerche effettuate sull’orientamento sessuale di questi individui: tali ricerche confermano la validità del modello dell’apprendimento sociale. Il comportamento sessuale di questi soggetti malformati dipende dal sesso verso il quale vengono orientati dai loro genitori, soprattutto se tale orientamento è stato fatto in modo non equivoco prima dell’età dei tre anni (15).
Ruth H. Bleier, neurobiologa e studiosa della condizione femminile, ha trovato che il comportamento sessuale delle donne con organi genitali mascolinizzati non dipende dall’esposizione agli androgeni ma dall’apprendimento sulla propria identità e dalla interpretazione che esse danno della propria malformazione (16).
Ma, contro l’ipotesi dell’omosessualità vista come condizione biologica, è determinante un recente studio effettuato da J. Michael Bailey, della North-Western University, e di Richard C. Pillard, della Boston University. Gli scienziati hanno effettuato una ricerca sul comportamento sessuale dei gemelli omozigoti – che hanno tutti i geni uguali e la stessa struttura biologica -, per di più allevati nella stessa famiglia, nello stesso ambiente sociale e a stretto contatto l’uno con l’altro.
La ricerca ha dimostrato che, se uno dei gemelli ha scelto un comportamento omosessuale, in circa la metà dei casi l’altro gemello ha scelto un comportamento sessuale normale: il 48% dei gemelli omozigoti, allevati insieme, mostra orientamenti sessuali opposti quando uno dei gemelli ha scelto un comportamento di tipo omosessuale. Tutto questo dimostra in modo inequivocabile l’importanza del libero arbitrio e delle abitudini nella genesi del comportamento sessuale (17).
Interpretazioni non deterministe
Gerard J. M. van den Aardweg sottolinea che negli ultimi decenni si sono viste confermate soprattutto le idee di Alfred Adler (1917), il primo a mettere in relazione l’omosessualità con un complesso di inferiorità nei confronti del proprio sesso. Le ricerche empiriche di I. Bieber e T. B. Bieber e di altri (1962) hanno messo in evidenza il fatto che un soggetto, per identificarsi positivamente con il suo ruolo sessuale, deve avere stima per il genitore del suo stesso sesso e deve sentirsi da lui amato e stimato. Tali ricerche hanno, inoltre, messo in evidenza che l’adulto omosessuale è uno che non ha vissuto i suoi anni di gioventù ben inserito nella vita di gruppo dei giovani dello stesso sesso.
Tali esperienze giovanili portano il soggetto a drammatizzare la propria situazione, a desiderare l’affetto di quelle persone dello stesso sesso rispetto alle quali si è costruito un complesso di inferiorità riguardante la propria sessualità e la propria identità e dalle quali non si sente accettato, o dalla cui compagnia si sente escluso. La tendenza omosessuale nasce spesso da un bisogno “erotizzato” di attenzione: lo psichiatra olandese J. L. Arndt dice che dentro l’omosessuale vive un povero bambino che si strugge per desideri inappagati.
Gerard J. M. van den Aardweg spiega che i complessi omosessuali possono essere curati, ma soprattutto che possono e devono essere prevenuti durante l’infanzia con una giusta educazione. Egli dice che un’educazione dei giovani mirante ad annullare le specificità maschili e femminili – tipica dei socialismi e del femminismo rivoluzionario – e la mancanza a casa dei ruoli materni e paterni può avere effetti disastrosi sulla psiche infantile, provocando l’insorgenza dei complessi nevrotici omosessuali (18).
Insegna Papa Giovanni Paolo II: “Ricordatevi che la nostra fede, come dice San Paolo, non si fonda sulla “sapienza degli uomini” né si confonde con la “sapienza di questo mondo” (1 Cor. 2, 5-6). Per questo, nessuna ideologia potrà offrire un postulato che sia premessa alla quale subordinare la dottrina di fede. Al contrario, è la fede che giudica, con la “sapienza di Dio” (1 Cor. 2, 7), le conclusioni valide delle scienze umane, che, se autentiche, non potranno mai essere in contraddizione con la Verità della fede” (19).
La tradizione della Chiesa insegna che la pratica omosessuale – opere, omissioni e volontaria condiscendenza a pensieri omosessuali – rientra nel vizio della lussuria. La lussuria consiste nell’uso disordinato dell’appetito sessuale e da essa nascono molti altri mali perché la ragione e la volontà ne vengono turbate in modo gravissimo: sono conseguenza della lussuria l’accecamento della mente, l’incostanza, l’egoistico amore di sé, l’incapacità di controllare le proprie passioni (20).
Il vizio
Il vizio è l’abitudine ad agire in modo moralmente disordinato: tale abitudine è la conseguenza di una prolungata ripetizione di atti disordinati; tali atti possono essere sia il risultato del libero arbitrio e di scelte personali, sia il frutto di “situazioni di disordine” familiare e sociale che la persona apprende o subisce senza sua colpa, situazioni di disordine che nascono dall’accumulazione e dalla concentrazione di molti peccati personali (21).
In campo psicologico molti considerano l’omosessualità come un disordine soltanto quando non è voluta dalla persona, cioè quando è ego-dystonic. Padre Bartholomew Kiely S.J., docente alla Pontificia Università Gregoriana, sottolinea che non si tratta di una posizione veramente scientifica, ma di una posizione relativista nel campo della psicologia secondo la quale “[…] la gratificazione dei bisogni più sentiti della persona è di importanza centrale per la sua realizzazione come persona; non esiste criterio oggettivo per discriminare tra bisogni moralmente accettabili e bisogni non accettabili, ma tutto dipende dalle preferenze soggettive della singola persona” (22).
Per tale approccio relativista ogni considerazione sull’omosessualità deve essere non di tipo oggettivo ma di tipo soggettivo. Se il soggetto si sente gratificato dagli atti omosessuali esso è da considerarsi normale: è come dire che, se il tossico-dipendente o l’alcolizzato si sentono gratificati dalla droga o dall’alcol essi sono da considerarsi normali e vanno incoraggiati a proseguire per la loro strada.
Già il marxista Herbert Marcuse rilevava che lo schiavo, nella misura in cui è stato condizionato a essere tale, desidera rimanere nella sua condizione, ma si tratta di un’alienazione e deve essere aiutato per poter ricuperare la libertà. L’alcolista, il tossicodipendente, il pedofilo, lo zoofilo, lo stupratore, il guardone, il masochista, il sadico e così via sono soggettivamente gratificati dalle loro azioni disordinate, ma si tratta oggettivamente di situazioni di deviazione e di alienazione.
Scrive padre Bartholomew Kiely S.J.: “[…] gli atti omosessuali appaiono come manifestazioni di una strategia con cui la persona omosessuale cerca di difendersi [strategia difensiva disordinata, sbagliata e nevrotica] contro problemi sottostanti, più o meno inconsci, che non è riuscita a risolvere. Nell’atto omosessuale, una persona cerca di usare un’altra persona come parte del suo sistema difensivo” (23).
Lo studioso gesuita cita E. Moberley, che, trattando dell’omosessualità in generale, afferma: “[…] l’omosessuale, sia maschio, sia femmina, ha patito di qualche mancanza nella relazione con il genitore dello stesso sesso; […] esiste una tendenza corrispondente a rimediare questa mancanza, per mezzo di relazioni con persone dello stesso sesso, cioè relazioni omosessuali” (24).
“In parole povere, quindi, si può dire che l’incontro omosessuale […] sembra essere un incontro tra due persone, ciascuna delle quali si sente incompleta (come maschio o come femmina). Ciascuna persona sta usando l’altra per completare se stessa” (25).
E ancora: “Gli atti omosessuali, come altre manovre difensive, possono portare un sollievo temporaneo alla persona; però, a lungo andare, non risolvono i suoi problemi più profondi, incluse le sue aspirazioni di trascendenza […]. Gli atti omosessuali possono rappresentare una ricerca di qualche bene parziale; ma non corrispondono al bene integrale della persona” (26).
La dottrina della Chiesa cattolica sull’omosessualità
Il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, approvato dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II il 1° ottobre 1986, opera una distinzione fra tendenza omosessuale e atti omosessuali. La tendenza o inclinazione omosessuale, finché non si manifesta in atti, non è in sé peccato anche se rimane un’inclinazione verso un comportamento intrinsecamente disordinato (27).
Un uomo può sentire in sé l’inclinazione alla disonestà e all’omicidio ma non per questo è costretto a rubare e a uccidere. La Chiesa insegna che la persona con tendenze omosessuali rimane sempre una persona e, pur essendo condizionata da un punto di vista emotivo, ha in sé quella libertà della volontà che, sostenuta e illuminata dalla grazia di Dio, gli consente di resistere alla tentazione del peccato e di essere padrona dei propri atti (28).
Molte deviazioni nascono dal conflitto fra il pensiero e la realtà; l’essere umano deve essere aiutato ad avere un giusto rapporto fra il pensiero e la realtà perché la liberazione da ogni disordine mentale ha luogo nella misura in cui il soggetto non si pone più in contrasto con l’ordine fondamentale delle cose, nella misura in cui giunge ad accettare il mondo reale e le sue leggi e diventa capace di soddisfare le proprie esigenze all’interno della medesima realtà.
La tendenza omosessuale è una tendenza ad agire in modo disordinato rispetto alle finalità del proprio corpo: si tratta di un disordine evidente fra il pensiero e la realtà e tradurre la tendenza omosessuale in atto omosessuale significa aggravare questa situazione di disordine.
La Chiesa insegna che l’atto omosessuale è un atto contro natura e pertanto immorale e ogni attività immorale “[…] impedisce la propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio. Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico” (29).
Felicità e piaceri
Che cos’è la felicità? Felice è il termine corradicale di fecondo: fecondo significa che produce frutti e poiché produce frutti è propizio, cioè procede favorevolmente raggiungendo il proprio fine.
La felicità non va confusa con il piacere momentaneo: il piacere, da solo, non soddisfa le esigenze più profonde della persona perché c’è in ogni uomo il bisogno d’integrare e coordinare le passioni con la volontà, la volontà con la ragione e la ragione con la verità. La felicità è un processo che porta all’unione dell’uomo con sé stesso e con l’ordine fondamentale della realtà e il vero piacere risulta come conseguenza della realizzazione di un tale significato.
Inoltre bisogna sottolineare che per l’uomo esistono due tipi di felicità: una felicità naturale, incipiente e imperfetta, e una sovrannaturale perfetta che consiste nel possesso di Dio: infatti nessun bene naturale contribuisce al pieno appagamento dei desideri dell’uomo. Per l’uomo occorre un bene infinito perché è il solo adeguato alla capacità infinita delle sue facoltà spirituali, l’intelletto e la volontà (30).
Il piacere è propriamente la quiete che si ha nel raggiungere e possedere l’obbiettivo del proprio desiderio. Quando l’obbiettivo del proprio desiderio è inadeguato – in quanto non naturale e non conforme alla giustizia – il possesso è imperfetto rispetto alle aspettative per colpa dell’inadeguatezza della cosa posseduta nei confronti delle esigenze più profonde della persona, il piacere momentaneo viene frustrato perché l’uomo si sente insoddisfatto e diviso, contemporaneamente schiavo del male fatto e deluso dal piacere ottenuto: il movimento del desiderio non cessa ma diventa ossessivo e non si ha il vero piacere che è la quiete di tutte le facoltà dell’uomo nel bene amato.
“Questa è la profonda natura del peccato: l’uomo si stacca dalla verità, mettendo la sua volontà al di sopra di essa. Volendo liberarsi di Dio ed essere lui stesso dio, egli si inganna e si distrugge. Egli si aliena da se stesso” (31). “Peccando, l’uomo intende liberarsi da Dio, ma in realtà si rende schiavo. […] Per questo il suo cuore è in balìa dell’inquietudine. “L’uomo peccatore, che rifiuta di aderire a Dio, è portato necessariamente ad attaccarsi in modo errato e distruttivo alla creatura. In questo suo volgersi alla creatura (conversio ad creaturam) egli concentra su questa il suo desiderio insoddisfatto di infinito. Senonché, i beni creati sono limitati, per cui il suo cuore trascorre dall’uno all’altro, sempre in cerca di un’impossibile pace” (32).
La ribellione contro Dio ha prodotto la ribellione delle potenze inferiori dell’anima, le passioni, contro le superiori, la ragione e la volontà, per cui l’uomo spesso non fa il bene che vuole ma il male che non vorrebbe.
Il peccato originale ha portato in noi la divisione: ognuno può apprezzare in sé stesso l’esistenza di due tendenze. La tendenza a riconoscere e ad approvare la giustizia e la tendenza al piacere disordinato.
“La carne infatti ha voglie contrarie allo spirito; lo spirito, a sua volta, ha voglie contrarie alla carne. E queste cose si oppongono a vicenda, in modo che voi non fate ciò che vorreste” (33).
La tendenza al piacere può essere buona o cattiva: essa è cattiva se il piacere contrasta con la giustizia che la ragione ha riconosciuto. Esiste un’esperienza fondamentale che facciamo tutti: vediamo con certezza che dovremmo fare una certa cosa che riconosciamo essere buona e tralasciare un’altra che riconosciamo essere cattiva. Potremmo farlo con un po’ di fatica, però non lo facciamo perché non abbiamo voglia di superare la nostra repulsione di fronte a qualche cosa che, momentaneamente, non ci piace e implica uno sforzo.
Il filosofo cattolico Marcel De Corte scrive che “essere nella verità significa conformare la propria intelligenza a una realtà che l’intelligenza non ha né costruita, né sognata, e che a lei si impone. Fare il bene non vuol dire abbandonarsi agli istinti, agli impulsi affettivi e alla volontà propria, ma ordinare e subordinare le proprie attività alle leggi prescritte dalla natura e dalla Divinità che la intelligenza scopre nella sua instancabile ricerca della felicità” (34).
“[…] l’uomo sa, fin dalla nascita, di essere inserito in un universo fisico e metafisico che egli non ha fatto, in un ordine che non è alla sua mercé, in una gerarchia di esseri di cui non può alterare la distribuzione senza danneggiare se stesso. Qualunque cosa faccia, l’uomo riconosce di non poter divenire diverso da ciò che è per sua natura, per vocazione o per grazia: nessuno può evadere dall’essere proprio. Superarsi in qualche modo, aggiungere un cubito alla sua statura, volere essere di più esclude l’uomo dall’universo e dall’ordine. Il concetto cristiano del peccato, come violazione della legge imposta da Dio a ognuna delle sue creature, si incontra qui col concetto greco dell’hybris, della dismisura, secondo la quale ogni uomo che esorbita dai suoi limiti è immediatamente punito della propria temerarietà dalla frantumazione del suo medesimo essere incontinente” (35).
Quando criterio di giudizio della realtà diventa il desiderio al posto della ragione, quando la verità viene sostituita dall’immaginazione, sostituzione operata dalla volontà di potenza, l’intelligenza, “privata dell’oggetto suo proprio, […] mai saziata dal vacuo nutrimento che le viene offerto, ne reclama un altro e si sfinisce in questa immersione in un mondo immaginario come un naufrago torturato dalla sete nel mare “che sempre ricomincia”” (36).
“Il culto della novità, del cambiamento, del progresso, della rivoluzione che infuria da due secoli, non ha altra origine se non questo asservimento della nostra attività intellettuale operato dalla immaginazione e dalla volontà di potenza” (37).
L’uomo deve dominare la natura ma la natura si lascia dominare solo conoscendone le leggi e applicandole, pertanto il dominio dell’uomo sulla natura non è assoluto ma relativo, cioè non può andare oltre il limite costituito dalle finalità stesse dell’ordine naturale: tale limite è quello che distingue il Creatore dalla creatura.
“Il dominio accordato dal Creatore all’uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di “usare e abusare”, o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di “mangiare il frutto dell’albero” (cf Gen. 2, 16-17), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire” (38).
La cura pastorale delle persone omosessuali
La Chiesa insegna che, mentre gli omosessuali “[…] devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza” (39), l’omosessualità non può e non deve essere tutelata e promossa come un valore, non può e non deve essere equiparata al comportamento sessuale ordinato e naturale che porta alla costituzione di una famiglia e alla possibilità di adottare dei figli (40).
La Chiesa invita le persone omosessuali a compiere un cammino di liberazione: “La persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, non può essere definita in modo adeguato con un riduttivo riferimento solo al suo orientamento sessuale. Qualsiasi persona che vive sulla faccia della terra ha problemi e difficoltà personali, ma anche opportunità di crescita, risorse, talenti e doni propri” (41).
La Chiesa invita le persone omosessuali a compiere un cammino di liberazione: (41).
“Alcuni sostengono che la tendenza omosessuale, in certi casi, non è il risultato di una scelta deliberata e che la persona omosessuale non ha alternative, ma è costretta a comportarsi in modo omosessuale. Di conseguenza si afferma che essa agirebbe in questi casi senza colpa, non essendo veramente libera.
“A questo proposito è necessario rifarsi alla saggia tradizione morale della Chiesa, la quale mette in guardia dalle generalizzazioni nel giudizio dei casi singoli. Di fatto in un caso determinato possono essere esistite nel passato e possono tuttora sussistere circostanze tali da ridurre o addirittura da togliere la colpevolezza del singolo; altre circostanze al contrario possono accrescerla.
“Dev’essere comunque evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale dev’essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità.
“Come in ogni conversione dal male, grazie a questa libertà, lo sforzo umano, illuminato e sostenuto dalla grazia di Dio, potrà consentire ad esse di evitare l’attività omosessuale. “Che cosa deve fare dunque una persona omosessuale, che cerca di seguire il Signore?
Sostanzialmente, queste persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, unendo ogni sofferenza e difficoltà che possano sperimentare a motivo della loro condizione, al sacrificio della croce del Signore. Per il credente, la croce è un sacrificio fruttuoso, poiché da quella morte provengono la vita e la redenzione. Anche se ogni invito a portare la croce o a intendere in tal modo la sofferenza del cristiano sarà prevedibilmente deriso da qualcuno, si dovrebbe ricordare che questa è la via della salvezza per “tutti” coloro che sono seguaci di Cristo.
“In realtà questo non è altro che l’insegnamento rivolto dall’apostolo Paolo ai Galati, quando egli dice che lo Spirito produce nella vita del fedele: “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé”, e più oltre: “Non potete appartenere a Cristo senza crocifiggere la carne con le sue passioni e i suoi desideri” (Gal. 5, 22.24).
“Tuttavia facilmente questo invito viene male interpretato, se è considerato solo come un inutile sforzo di auto-rinnegamento.
“La croce è sì un rinnegamento di sé, ma nell’abbandono alla volontà di quel Dio che dalla morte trae fuori la vita e abilita coloro, che pongono in lui la loro fiducia, a praticare la virtù invece del vizio.
“Si celebra veramente il mistero pasquale solo se si lascia che esso permei il tessuto della vita quotidiana. Rifiutare il sacrificio della propria volontà nell’obbedienza alla volontà del Signore è di fatto porre ostacolo alla salvezza. Proprio come la croce è il centro della manifestazione dell’amore redentivo di Dio per noi in Gesù, così la conformità dell’autorinnegamento di uomini e donne omosessuali con il sacrificio del Signore costituirà per loro una fonte di autodonazione che li salverà da una forma di vita che minaccia continuamente di distruggerli.
“Le persone omosessuali sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità. Se si dedicano con assiduità a comprendere la natura della chiamata personale di Dio nei loro confronti, esse saranno in grado di celebrare più fedelmente il sacramento della penitenza, e di ricevere la grazia del Signore, in esso così generosamente offerta, per potersi convertire più pienamente alla sua sequela” (42)
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ribadisce che le persone omosessuali “attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana” (43).
Il cammino di liberazione dal vizio, che la Chiesa propone alle persone omosessuali, è un cammino che difende in modo realistico e autentico la loro libertà e dignità di persone e trova conferma in fenomeni sociali come la crescita del movimento internazionale “ex gay”, a cui aderiscono omosessuali ed ex omosessuali che non sono disposti a rassegnarsi alla loro tendenza disordinata. Si tratta di un autentico movimento di base che si è organizzato, negli Stati Uniti d’America, in enti come Exodus international e Courage: omosessuali ed ex omosessuali si aiutano per promuovere un miglioramento e un cambiamento di vita in modo da liberarsi dal vizio dell’omosessualità (44).
Note
(1) Cfr. Simon LeVay e Dean H. Hamer, Le componenti biologiche dell’omosessualità maschile, in Le Scienze. Edizione italiana di Scientific American, anno XXVII, vol. LIII, n. 311, luglio 1994, pp. 18-23; cfr. le informazioni sugli autori ibid., p. 4.