Tradizione Famiglia e Proprietà n.65 giugno 2015
È risaputo che il tasso di suicidi e di malattie mentali fra gli omosessuali è molto più elevato che tra gli eterosessuali. Ciò è dovuto alla pressione sociale “omofobica”, oppure allo stesso stile di vita omosessuale?
In un recente convegno, Massimo Gandolfini, noto neuroscienziato e primario di neurochirurgia alla fondazione Poliambulanza di Brescia, ha criticato chi attribuisce all’omofobia l’alto tasso di suicidi e di disturbi mentali delle persone omosessuali, mostrando invece che essi permangono anche nelle società cosiddette “gay-friendly”. Immediata la reazione delle lobby LGBT. Su “L’Espresso”, per esempio, il giornalista e militante omosessualista Simone Alliva ha subito accusato Gandolfìni di voler imporre “cure e correzioni”.
Come al solito, le lobby LGBT si stanno mettendo contro la scienza. Infatti, l’alto tasso di suicidi e di disturbi psico-fisici tra persone omosessuali è purtroppo un dato di fatto, confermato da numerosi studi scientifici. Prendiamo, per esempio, l’ampio studio condotto nel 2008 da un team di psicologi e psichiatri britannici, basato su più di 13mila casi: «A systematic review of mental disorder, suicide, and deliberate self harm in lesbian, gay and bisexual people». Ecco alcune delle conclusioni:
“Le persone LGB hanno un rischio sostanzialmente maggiore di soffrire disordini mentali, ideazione suicida, abuso di sostanze e autolesionismo rispetto alla popolazione eterosessuale. (…) Le persone lesbiche, gay e bisessuali (LGB) spesso sviluppano un senso di colpa sulla propria sessualità. A ciò si aggiungono i rischi del loro particolare stile di vita, come l’abuso di alcool e di sostanze, il rischio di contrarre malattie infettive e tendenze suicide. Abbiamo anche riscontrato un alto indice di autolesionismo e di auto-avvelenamento. L’autolesionismo nella comunità LGB è una delle principali cause di ammissione ai Pronto Soccorso negli ospedali della Gran Bretagna ” (1).
Non diverse sono le conclusioni di uno studio pubblicato nel 2011 negli Stati Uniti, e basato su numerose ricerche internazionali: “Gli studi negli Stati Uniti e all’estero forniscono forte evidenza dell’elevato indice di tentativi di suicidio fra le persone LGBT. (…) Dall’inizio degli anni Novanta, tutte le ricerche condotte fra i giovani americani, che comprendono anche l’identificazione dell’orientamento sessuale, hanno riscontrato negli omosessuali indici di tentativi di suicidi sette volte più elevato rispetto ai giovani che si dichiarano eterosessuali” (2).
Basato sui dati del sistema di sanità pubblica e privata della Città di New York, uno studio ufficiale pervenne a simili conclusioni: “Alcuni gruppi della Città sono a rischio notevolmente più elevato di suicidio e di autolesionismo, specialmente le lesbiche, gay e bisessuali. Questi gruppi riportano anche un indice notevolmente superiore di problemi mentali, fisici e sociali ” (3).
Le lobby LGBT non contestano questi dati (come potrebbero?), ma attribuiscono l’alto tasso di suicidi e di autolesionismo all’omofobia, cioè alla pressione sociale e psicologica. Questo è unilaterale e fuorviante.
Secondo il dott. Gandolfìni, perfino nei Paesi più dichiaratamente tolleranti non si assiste ad alcuna diminuzione o sparizione degli alti tassi di disturbi nella comunità omosessuale. I problemi sono dovuti a cause endogene, cioè legate in qualche modo alla tendenza omosessuale stessa o allo stile di vita omosessuale. Perfino molti omosessuali riconoscono che il problema sia dovuto, in realtà, al loro stile di vita, come ha ben spiegato, ad esempio, Simon Fanshawe, importante scrittore omosessuale e intellettuale inglese.
Da parte sua, Luis Pabon, ex militante omosessualista, ha fatto discutere annunciando: «Non voglio più essere omosessuale. Sono approdato nella comunità omosessuale alla ricerca di amore, intimità e fratellanza. Ciò che ho trovato è sospetto, infedeltà, solitudine e mancanza di unione. In questa comunità, c ‘è talmente tanto disgusto di se stessi che si incontrano continuamente uomini a pezzi, autodistruttivi, che sanno solo ferire, che sono crudeli e vendicativi gli uni contro gli altri»; si sperimenta «una immoralità diabolica che ti porta alla distruzione quotidiana. Non ne vale la pena, non più. Ho scelto di dissociarmi da uno stile di vita al di fuori della morale e della bontà. Vivere la vita omosessuale è come infatuarsi di un cattivo ragazzo, di cui all’inizio desiderate spasmodicamente l’attenzione e l’amore, ma che alla fine vi fa ribrezzo. Io non ci sto più».
Matthew Todd, drammaturgo e redattore della rivista omosessuale inglese “Attitude”, ha definito “il problema dei problemi” il preoccupante aumento dei tassi di malattie mentali e problemi di dipendenza tra gli uomini omosessuali, spiegando: «C’è questo luogo comune che passiamo tanto tempo a fare festa, ma in realtà noi lo sappiamo bene e le ricerche ora lo dimostrano: c’è un inferno di omosessuali infelici, un alto numero di depressi, ansiosi e con istinti suicidi, che abusano di droghe e alcol e che soffrono di dipendenza sessuale, tassi molto più elevati di comportamenti auto-distruttivi. La vita omosessuale è incredibilmente sessualizzata. I ragazzi entrano in questo mondo dove c ‘è un sacco di alcol e un sacco di droga, non c ‘è nulla di sano, dolce o rilassato».
Come accennato sopra, numerosi studi sostengono questo.
Una ricerca su “Archives of General Psychiatry”, ad esempio, ha concluso: «Mentre vi è un crescente consenso sul fatto che i giovani omosessuali abbiano un aumentato rischio di comportamenti suicidi e problemi di salute mentale, i processi che portano a questa associazione rimangono poco chiari. Sebbene tali risultati siano talvolta interpretati come conseguenze di atteggiamenti omofobici e pregiudizi sociali, sono possibili anche spiegazioni alternative. Queste includono: (1) la possibilità di una casualità reversibile: i giovani inclini a disturbi psichiatrici sono più inclini a sperimentare attrazione omosessuale; (2) la possibilità che le scelte di vita fatte dai giovani omosessuali li mettano a maggior rischio di eventi avversi e aumentati rischi di problemi di salute mentale».
Altri studi hanno rilevato che la maggior parte dei tentativi di suicidio sono dovuti a problemi derivanti da una relazione omosessuale (rottura del rapporto, litigi), tanto che il “British Journal of Psychiatry” ha sostenuto: «Può essere che il pregiudizio della società contro gli omosessuali porti ad una maggiore angoscia. Tuttavia, la psicologia omosessuale può anche portare ad assumere stili di vita che rendono queste persone più vulnerabili al disturbo psicologico».
In un’indagine su “Archives of General Psychiatry”, condotta sui disturbi psicofisici di oltre 7mila cittadini olandesi, è stato riconosciuto un altissimo tasso di problematiche tra le persone omosessuali, nonostante l’Olanda sia in cima alle graduatorie per assenza di omofobia. La stessa ricerca, replicata qualche anno più tardi, evidenzia di nuovo come l’omosessualità sia significativamente correlata con il suicidio e con i disturbi mentali, riconoscendo ancora una volta che «persino in un paese con un clima relativamente tollerante nei confronti dell’omosessualità, gli uomini omosessuali sono esposti ad un rischio suicida molto più elevato rispetto agli uomini eterosessuali».
Una recente ricerca condotta in Danimarca, paese anch’esso massimamente tollerante verso l’omosessualità, ha rilevato che nel corso dei primi dodici anni di legalizzazione delle unioni omosessuali (1990-2001) per gli uomini omosessuali legalmente sposati, il tasso di suicidio è stato otto volte maggiore di quello degli uomini che hanno una unione eterosessuale, e il doppio rispetto a quello degli uomini single.
Nello stesso Paese, un’importante ricerca, condotta su 6,5 milioni di danesi tra il 1982 e il 2011, ha evidenziato come il suicidio tra uomini conviventi con un altro uomo sia quattro volte maggiore rispetto a quello degli uomini sposati con una donna. Lo stesso accade in altri “paradisi”, come Norvegia e Svezia.
Come è stato scritto in una ricerca pubblicata sul “Journal of Human Sexuality” nel 2010: «Le persone con attrazione per lo stesso sesso (SSA) hanno una varietà deplorevolmente elevata di problematiche di salute mentale, e ci sono prove che questo sia dovuto alla pressione sociale molto meno di quanto comunemente si supponga».
Bisognerebbe quindi includere nelle cause la possibilità di una causa endogena, come ha fatto il dott. Gandolfini. Potrebbe dipendere dallo stile vita omosessuale, oppure dall’inclinazione stessa. Ogni persona che assume un comportamento omosessuale, infatti, vive permanentemente un contrasto e una contraddizione tra il dato biologico e fisiologico del proprio corpo – le cui diverse parti sono permanentemente e oggettivamente predisposte a completarsi mediante l’incontro con il corpo di una persona dalla sessualità complementare ed opposta – e il dato psicologico. Il conflitto interno tra corpo e psicologia non è senza esiti, e questo disordine potrebbe purtroppo trasformarsi in un disagio, provocando disturbi e altre conseguenze.
(Basato su un articolo pubblicato sul sito dell’Unione Cristiani Cattolici Razionali – UCCR, 25 aprile 2015. Con autorizzazione.)
Note
1) Michael King et al., A systematic review of mental disorder, suicide, and deliberate self harm in lesbian, gay and bisexual people, in “Bio Medical Center, Psychiatry”, 18 agosto 2008.
2) Ann P. Haas et al., Suicide and Suicide Risk in Lesbian, Gay, Bisexual, and Transgender Populations: Review and Recommendations, in “Journal of Homosexuality”, gennaio 2011.
3) New York City Department of Health and Mental Hygiene, Suicide and Self-inflicted Injuries in New York City, in “NYC Vital Signs”, febbraio 2012, volume 11, No. 1.