Il Popolo settimanale della Diocesi di Tortona del 09 febbraio 2007
Infelice caduta di stile nella critica di Pippo Baudo contro il Papa
don Maurizio Ceriani
Quindi per Baudo, onnipresente figura della televisione italiana da decenni e ora pure maestro di Vescovi e Papa, una fetta di responsabilità sarebbe anche della Chiesa. Non ci stiamo proprio! Che il dovere della Chiesa sia di “essere vicina ai problemi sociali” è vero, anche se questo non può costituire né il primo, né il principale tratto della sua missione, che giova ricordare resta trascendente, in ordine alla salvezza eterna dell’uomo.
Che la Chiesa sia accanto ai problemi sociali – e non da oggi – è comunque un dato di fatto, proprio a partire dalla tormentata terra siciliana, anche se magari Pippo Baudo non se n’è accorto.
Il problema è come la Chiesa deve “essere vicina ai problemi sociali”. Non certo secondo la passione, il sentimento, l’istinto, la moda del momento, ripetendo vuote e stereotipe parole di condanna, che sono come la rugiada della calda estate catanese, come vorrebbe Baudo e tutta quella cultura di cui egli è interprete significativo. La Chiesa sta accanto ai problemi sociali dell’uomo con la sua dottrina e con la proposta di verità, quali il valore della vita, che purtroppo suonano scomode a molti orecchi della intellighenzia nostrana, e che sono quotidianamente avversati proprio da quella cultura televisiva di cui Baudo è indiscusso protagonista e per molti versi responsabile. Ci dica Pippo Baudo che cosa ha fatto o pensa di fare, oltre che prendersela con la processione di Sant’Agata, per affrontare quello che lui chiama “problema culturale e di classe dirigente”.
Il suo pulpito domenicale (per quanti anni ha occupato il pomeriggio della domenica con la storica trasmissione “Domenica in”!) è certamente più ampio di quello del Vescovo della città etnea e forse gareggia, in termini di ascolti, con quello dell’Angelus papale. Certamente il problema è culturale.
Innanzitutto manca in Italia una cultura della legalità, manca il coraggio di apostrofare col termine che meritano coloro che partono di casa col passamontagna, con le spranghe, coi fumogeni, con le bombe carta, con le molotov, col coltello in tasca. Manca il coraggio di dire che nulla può mai giustificare tutto questo: né una partita di calcio, né una manifestazione di protesta, né un comizio politico, né un raduno giovanile.
Manca il coraggio di dire che c’è differenza tra un giovane poliziotto e un giovane carabiniere, che per dovere e per difesa dei cittadini sta, sia pur armato, allo stadio o per strada o in piazza, e un giovane suo coetaneo che sta nello stesso posto mascherato con una spranga in mano: il primo è un tutore dell’ordine, il secondo un provocatore… per usare il termine più soft possibile. Eppure troppe volte la televisione ha fatto di questi “provocatori” degli eroi, dei miti, dei modelli, gettati in faccia al grande pubblico senza i necessari distinguo e le necessarie riflessioni; nemmeno sono mancate le volte in cui le forze di polizia sono state condannate gratuitamente al linciaggio mediatico.
Quanti, ultras, hooligans, black bloc, disobbedienti, manifestanti violenti, hanno avuto libero accesso agli schermi televisivi per fare i loro pubblici proclami. Abbiamo assistito addirittura a gente mascherata che ha parlato ai telegiornali; abbiamo assistito al lancio televisivo di personaggi che sono diventati uomini politici di spicco, capi-popolo di proteste magari legittime nei contenuti, ma inaccettabili nei metodi violenti.
Non è un mistero che l’immaturità di adolescenti e giovani – e purtroppo anche di adulti – fatichi non poco a districarsi in mezzo a tali messaggi e che sia attratta dall’emulazione dell’esempio negativo. Non è un mistero che la via della virtù sia sempre più ardua di quella del vizio. Non è un mistero che la televisione eserciti su tutti noi un tremendo fascino, dal senso di autorità del piccolo schermo, con il dogmatico “l’ha detto anche la televisione”, fino al desiderio di andarci a finire, su quel piccolo schermo, a qualsiasi costo.
Questo è il potere della televisione oggi nel nostro paese e Pippo Baudo non cerchi di tirarsi fuori dalle sue responsabilità di uomo televisivo troppo facilmente, magari con l’invettiva contro la processione di Sant’Agata. Perché poi quella processione doveva essere sospesa? Il rito in onore della martire antica offende forse la memoria di Filippo Raciti, moderno “martire” della nostrana inciviltà? Che cosa c’è di più positivo del messaggio di una martire che oppone alla violenza la dolcezza, alla morte il sorriso, all’odio il perdono?
Quella processione andrebbe invece fatta in ogni città d’Italia! Chissà invece che cosa avrebbe fatto Pippo Baudo se qualcosa di simile fosse accaduto a Sanremo alla vigilia del festival? Lo avrebbe forse sospeso? Penso proprio di no… ma si sa: ci sono Santi e santi, abbasso Sant’Agata evviva Sanremo!