La croce quotidiano 1 giugno 2016
Presentato al Senato il DDL Lo Giudice: punta a interdire le “terapie riparative” con cui molti hanno superato l’omosessualità.
di Giuseppe Brienza
Il 17 maggio, in occasione della “Giornata Internazionale contro l’Omofobia” (ricorrenza ufficiale istituita nel 2004 dalle istituzioni europee), Sergio Lo Giudice, senatore del Partito Democratico, ha presentato il disegno di legge n. 2402 recante “Norme di contrasto alle terapie di conversione dell’orientamento sessuale dei minori”. Ne ha già parlato Davide Vairani sul nostro giornale (cfr. Servono politici veramente cristiani, in “La Croce quotidiano”, 28 maggio 2016, p. 2), ma, data la gravità del provvedimento, vale la pena ritornarci sopra. Sul banco degli imputati, infatti, sono gettate le cosiddette “teorie riparative”, diffuse anche in Italia, in particolare quelle rivolte ai minori, previa richiesta naturalmente dei genitori.
Il provvedimento, sotto a Lo Giudice, è stato sottoscritto da 17 senatori, fra i quali non poteva mancare naturalmente Monica Cirinnà (gli altri sono Bocchino, Capacchione, Cardinali, Dalla Zuanna, De Petris, Gatti, Guerra, Idem, Lo Moro, Lumia, Mastrangeli, Orellana, Palermo, Pegorer, Ricchiuti e Spilabotte). Il senatore bolognese, primo firmatario di questa proposta liberticida, è noto soprattutto per una circostanza personale. Omosessuale dichiarato, “unitosi” con il suo compagno da lungo tempo, siccome nel nostro Paese l’utero in affitto non è (ancora) praticabile, è dovuto ricorrere alla suddetta pratica in California. Per questo nella premessa del “suo” disegno di legge non poteva mancare un vero e proprio excursus auto-celebrativo della propaganda omosessualista. In un paio di colonne sono snocciolate tutte le “conquiste” ottenute dal movimento LGBT verso l’obiettivo della «depatologizzazione dell’orientamento omosessuale» (in pratica la negazione della sua natura patologica). Si parte dal 1973, anno in cui l’associazione degli psichiatri statunitensi, l’American Psychiatric Association, decise discutibilmente di eliminare la diagnosi di omosessualità egosintonica dal “Manuale Diagnostico e Statistico delle Malattie Mentali” (DSM), senza presentare a fondamento di una tale rivoluzionaria decisione alcun particolare risultati scientifici. L’omosessualità, insomma, non era da considerarsi più una devianza da “riparare”, non sulla base di valutazioni di carattere oggettivo, bensì soggettivo e sociale, vale a dire la diversa sensibilità che, sul punto, era stata raggiunta nel singolare contesto socio-politico di quegli anni.
I firmatari del DDL Del Giudice rivoltano esattamente la “frittata”, scrivendo nella relazione introduttiva che “anti-scientifica” è semmai la pretesa di aiutare a scoprire la propria identità naturale. Si richiamano quindi alla politica promossa in materia dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, affermando come «La depatologizzazione dell’omosessualità è un percorso ormai compiuto dai professionisti della salute mentale di tutto il mondo, le associazioni professionali e scientifiche, italiane e straniere, hanno a più riprese dovuto chiarire l’antiscientificità e la pericolosità delle terapie di conversione».
Il disegno di legge, quindi, consta solo di tre articoli, il primo dei quali fornisce una definizione sommaria di “conversione dell’orientamento sessuale”, specificando che con tale dicitura si intende «ogni pratica finalizzata a modificare l’orientamento sessuale di un individuo, inclusi i tentativi di cambiare i comportamenti o le espressioni di genere ovvero di eliminare o ridurre l’attrazione emotiva, affettiva o sessuale verso individui dello stesso sesso, di sesso diverso o di entrambi i sessi».
Mentre nel DDL Scalfarotto si predilige il “percorso di rieducazione” di tutti i contravventori dell’ideologia gay, nel disegno di legge Lo Giudice si preferisce il pugno di ferro, con norme che vorrebbero impedire alle figure preposte la libertà di esercitare la propria attività professionale, pena multe salatissime e il carcere, con la riedizione perfino della “gogna” nella norma che prescrive la pubblicazione della sentenza di condanna dei “praticanti” la teoria riparativa. L’art. 2, in questo senso, minaccia così ad una categoria molto larga di destinatari: «Chiunque, esercitando la pratica di psicologo, medico psichiatra, psicoterapeuta, terapeuta, consulente clinico, counsellor, consulente psicologico, assistente sociale, educatore o pedagogista faccia uso su soggetti minorenni di pratiche rivolte alla conversione dell’orientamento sessuale è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da 10.000 euro a 50.000 euro. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle attrezzature utilizzate».
Si chiude così idealmente il processo apertosi nel 1973, con il divieto di aiutare gli omosessuali che vogliano superare la condizione, ed il carcere per i professionisti ed operatori specializzati in questo senso. La campagna di promozione dell’omosessualità, già da quarant’anni, ha praticamente arrestato, se si fa eccezione di pochi centri, sistematicamente oggetto di campagna negative e provvedimenti giudiziari (vedasi il caso di Joseph Nicolosi), la ricerca scientifica in materia. In tal modo, si impedisce la libertà di tanti individui che vogliano essere aiutati a superare le cause del proprio malessere psicologico ed esistenziale, imponendogli di sentirsi e “fare” i “gay normali”. Neanche entrato in vigore la legge sulle unioni civili, questo nuovo ddl Lo Giudice intende probabilmente rilanciare e riaprire la strada al disegno di legge Scalfarotto sull’omofobia.
Sotto la presidenza del vice presidente Gasparri, così Lo Giudice ha annunciato il 17 maggio scorso il suo DDL “anti-terapie riparative” (naturalmente queste terapie non sono mai citate né nel discorso né nell’intero testo del disegno di legge), introducendosi con alcune discutibili citazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «In un momento in cui – denuncia senza apportare dati concreti il senatore Pd – […] i diritti delle persone omosessuali entrano finalmente a fare parte del corpo legislativo del Paese, entrano nel dibattito pubblico in primo piano, ecco che aumentano anche gli episodi e la recrudescenza omofobiche». Poi in realtà i dati li menziona, ma la fonte appare a chiunque piuttosto “sospetta”. Segue infatti Lo Giudice, citando un non ben precisato “report” di Arcigay «degli atti di omofobia accaduti negli ultimi dodici mesi, che ne elenca 104». Ma, precisa, «sono solo quelli emersi e visibili, solo quelli riportati dai quotidiani del nostro Paese» (Legislatura 17ª – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 627 del 17/05/2016 del Senato della Repubblica). Se il senatore ha altre informazioni, ci pare che una relazione introduttiva ad un disegno di legge sia il posto per documentarli. Anzi, visto che parliamo di numeri così bassi, varrebbe la pena di esaminarli uno ad uno, e magari si scoprirà che l’“omofobia”, in realtà, in una parte di essi non c’entra affatto. Anzi, forse, il problema potrebbe essere l’opposto, manifestando comunque un sentimento di pietà verso le vittime e di piena solidarietà nei confronti dei rispettivi familiari.
Lo Giudice poi accampa la richiesta «come Gruppo del Partito Democratico, in Commissione giustizia del Senato» (ricordiamoci di questo, cari elettori), della ripresa dell’iter della “legge contro l’omofobia” (il ddl Scalfarotto), «impropriamente arrestatosi» (sic). Al che, riporta il resoconto del Senato, seguono «Applausi dal Gruppo PD». Applausi ai quali non credo si associano la stragrande maggioranza degli Italiani. Ma intanto prosegue la “lunga marcia” della “famiglia” gay in questo nostro disgraziato Parlamento.