«I moderati nel mondo islamico sono la maggioranza. Ma questa non è una religione di pace»
.Professor Lewis, il premier turco Erdogan ha detto al nostro giornale che il terrorismo islamico è un ossimoro, che l’Islam è una religione di pace. Lei cosa ne pensa?
«Posso capire la rabbia dei buoni musulmani nel vedere questi atti di terrorismo etichettati come terrorismo islamico. Ma la loro protesta dovrebbe essere indirizzata a chi fa le notizie, non a chi le scrive . Chiariamo cosa significa “islamico”. Noi facciamo distinzione tra cristianesimo e cristianità: l’uno è una religione, l’altra la civiltà che la include. A nessuno verrebbe in mente di dire che Hitler e i nazisti sono un prodotto del cristianesimo. Islam invece è un’unica parola che non distingue tra religione e civiltà, e ciò causa oggi molti equivoci e risentimenti. Ma dire che è una religione di pace non mi pare corretto. Ai musulmani non è comandato di porgere l’altra guancia, né di amare i loro nemici e vicini, come nella tradizione giudaico-cristiana».
Di quali strumenti dispone l’Islam moderato per isolare l’Islam del terrore?
«Difficile dirlo. I moderati sono certamente la grande maggioranza. Ma gli estremisti hanno molte frecce al loro arco. Il wahabismo come versione fanatica e intollerante dell’Islam è nato nel 18° secolo in un angolo dell’Arabia Saudita come rimedio alla crescente influenza straniera sul mondo musulmano. E non è casuale che il conflitto che agita Bosnia e Kosovo, Cecenia, Kashmir e Timor riguardi Paesi intorno alle frontiere dell’Islam che si sentono attaccati dagli infedeli. All’interno di questi mondi ci sono due linee di pensiero: siamo rimasti indietro perché non siamo stati al passo con la modernità; l’altra è dire, come i wahabiti: siamo rimasti indietro perché abbiamo tradito la nostra religione e dobbiamo tornare al “vero” Islam. Tra le molte varianti di questa interpretazione ci sono la dottrina di Khomeini e quella delle organizzazioni terroristiche. L’Islam stesso è combattuto».
Come si può uscire dal vicolo cieco della violenza come risposta alla frustrazione?
«I moderati hanno due strade: l’istruzione e la propaganda. La prima è una strada molto ardua, perché l’istruzione è caduta in gran parte nelle mani degli estremisti, che hanno enormi quantità di denaro grazie al petrolio, e finanziano scuole e università ricchissime in Occidente, in cui la versione dell’Islam insegnata è la più fanatica. I dodici turchi arrestati come membri di Al Qaeda erano tutti nati ed educati in Germania, dove lo Stato non controlla l’educazione religiosa che è affidata alle comunità. La separazione tra Stato e Chiesa che vige in Occidente va a vantaggio degli estremisti, perché dà loro il controllo dell’istruzione religiosa. E qui non c’è niente che si possa fare: la soluzione deve venire dai musulmani stessi, che devono proporre modelli di istruzione diversi, anche se è molto difficile».
Ha parlato anche di propaganda
«Intendo dire fare campagna per la libertà. Qui negli Stati Uniti, per esempio, abbiamo più di un milione di iraniani, molti dei quali dotati di ottimo livello di istruzione e posizione sociale, che fanno un lavoro di opposizione intelligente e organizzata attraverso televisione, radio e Internet. L’ho chiamata propaganda ma si tratta di un’altra forma di insegnamento: mostrare i vantaggi della libertà. E qui l’elemento cruciale è la questione delle donne. Quando Ataturk divenne presidente della Turchia nel 1923, disse: “Il nostro compito più urgente è metterci al passo con il mondo moderno. E non ci riusciremo se modernizzeremo soltanto metà della popolazione”. Sono convinto che la questione delle donne sia in assoluto il fattore più importante nella crescita della disparità tra il mondo cristiano e quello musulmano negli ultimi due secoli».
Cosa dovrebbe fare l’Occidente per cercare di entrare almeno in contatto con l’Islam?
«Il mondo islamico è in fermento, una cinquantina di Stati stanno attraversando un periodo molto difficile. La soluzione ai loro problemi può venire solo dall’interno. Ma noi possiamo fare due cose: dovremmo evitare di creare intralci e dovremmo rimuovere gli ostacoli esistenti. Il resto possono farlo soltanto loro. Personalmente non ho alcuna fiducia nella cosiddetta politica della “stabilità” perseguita da molti governi europei e americani, che mira ad assicurarsi l’amicizia dei tiranni di questi Paesi».
Tuttavia non crede nemmeno che la democrazia sia esportabile ovunque…
«La gente pensa che la democrazia sia uno stato naturale, e qualunque deviazione dalla democrazia come noi la pratichiamo sia un crimine da punire o una malattia da curare. Sciocchezze. La stessa democrazia occidentale ha una storia molto breve. E’ un cammino difficile e lastricato di ostacoli. Come ho detto, al massimo possiamo cercare di rimuoverli».
In che modo?
«Per prima cosa astenendoci dall’incoraggiare e armare regimi tirannici, come abbiamo fatto a lungo con Saddam Hussein e altri. E in secondo luogo dando a questi Paesi tempo e opportunità per far crescere le proprie istituzioni dall’interno. Guardi la Turchia: la sua storia dimostra due cose. Che in un Paese con tradizioni antiche di comando e obbedienza è molto difficile creare una democrazia. Ma anche che è possibile. La gente guarda all’Iraq e generalizzando dice: “Con gente così non c’è nulla da fare”. Ma sbaglia di grosso. Saddam Hussein e il Baath sono due fenomeni d’importazione europea e possiamo persino datarne la nascita».
Sarebbe a dire?
«1940: la Francia si arrende e un governo collaborazionista s’installa a Vichy. Siria e Libano, sotto mandato francese, si schierano con Vichy e dunque con l’Asse, diventando una delle maggiori basi per l’attività e la propaganda tedesche nel mondo arabo. Poi la Siria viene strappata dalla Francia libera. Il partito Baath nacque allora, sul modello dei partiti nazisti e fascisti. Poi, quando l’Asse fu sconfitta e gli Alleati si ritirarono, i sovietici rimpiazzarono i nazisti come patroni della causa antioccidentale in Medio Oriente. Fu allora che il Baath riapparve, adattando il modello nazista a quello sovietico: le strutture di base erano le stesse, e il messaggio variava di poco. Il Baath non ha né radici né tradizioni in tutto il Medio Oriente. E’ la sola cosa importata dall’Europa che abbia davvero funzionato».
Dopo l’11 settembre lei si schierò in favore della linea dura. Col senno di poi, come giudica le varie fasi della guerra all’Iraq, da parte degli Usa e dell’Europa?
«La politica americana ha due obiettivi: combattere il terrorismo e portare la libertà. E’ importante capire che sono connessi: uno senza l’altro non funziona. In altre parole, rifiuto l’idea che ciò che dobbiamo fare è stringere patti convenienti con governi di tipo fascista».
La sua risposta però è incompleta…
«Non desidero aggiungere altro».
Formalmente tutti i Paesi islamici sono contrari alla jihad. Ma non nota una certa confusione a livello popolare?
«E’ arduo dire come la pensino popoli soggetti a regimi autocratici che non permettono libertà di espressione. Gli unici indizi che abbiamo ci vengono dalle barzellette. Lo dico seriamente. Le barzellette sono l’unica forma di commento autentico e incensurato. In una storiella iraniana che ho sentito di recente due uomini discutono la spaventosa situazione del loro Paese. Questo è orribile, questo è atroce, quello è anche peggio, e così via. Alla fine uno dice: “C’è solo una cosa che può salvare l’Iran. Un Osama Bin Laden”. L’altro lo guarda inorridito: “Ma che sei, pazzo?”. “Al contrario”, risponde il primo. “Così gli americani verrebbero a salvarci”».