Il deserto del Sinai nuova base del traffico di esseri umani
di Giuseppe Cavallini
(comboniano, coordinatore di Fondazione Nigrizia)
Secondo una precisa denuncia dell’organizzazione internazionale Medici per i diritti umani e di un’approfondita inchiesta del gruppo italiano Everyone che segue da vicino l’intera vicenda, anche chi – pagando migliaia di dollari di riscatto ottenuti da parenti risiedenti in Europa – riesce a comprarsi la libertà rischia di morire per mano delle guardie di frontiera egiziane, che sparano a vista contro coloro che tentano di varcare il confine con la striscia di Gaza.
In base a testimonianze dirette, almeno 8 profughi sono stati finora uccisi nel corso della prigionia, gli ultimi dei quali sono ” diaconi protestanti eritrei, che non avevano la possibilità di pagare gli 8.000 dollari di riscatto. Si conoscono anche casi in cui in cambio della libertà alcuni prigionieri si sono sottoposti al prelievo di organi.
Il Papa si è unito di recente a molti organismi ecclesiali e civili che da mesi denunciano questa tragica vicenda. Questo ha contribuito finalmente a far muovere la comunità internazionale, incluso il Parlamento europeo che – il 16 dicembre – ha denunciato in modo deciso la gravita della situazione, invitando il governo de II Cairo ad adottare tutte le misure possibili per mettere fine alla tragedia e far liberare i prigionieri.
Il Sinai è divenuto di fatto una nuova base nel traffico di esseri umani. Infatti, oltre al campo di beduini nei pressi di Rafah, sul confine tra l’Egitto e la striscia di Gaza, dove sono rinchiusi i 250 profughi di cui si è a conoscenza, informazioni documentate parlano di altre centinaia di migranti prigionieri in altri campi di beduini. Si sa per certo che almeno 80 dei 250 profughi prigionieri a Rafah sono eritrei. Tutti gli ostaggi dei criminali del Sinai sono persone scampate da conflitti, fame e miseria nei rispettivi Paesi, tuttavia, i migranti eritrei sono divenuti l’icona di chi vive aggiungendo tragedia a tragedia.
Chi è riuscito a sfuggire dalle mani dei trafficanti racconta storie simili di soprusi e abusi d’ogni sorta, una volta caduti in mano ai loro aguzzini. Come migliaia di loro connazionali, una volta entrati clandestinamente in Sudan dopo centinaia di chilometri a piedi nel deserto, gli eritrei si affidano a imbroglioni che promettono di farli condurre in salvo in altri Paesi, ma vengono in realtà consegnati a trafficanti Rashaida senza scrupoli, che iniziano il processo di estorsione di soldi e di violenze.
Fuggiti dal “gulag” in cui il presidente Isaias Afewerki ha trasformato l’Eritrea, dove domina con mano ferrea, decine di migliaia di persone, si sono dispersi nei diversi Paesi arabi del Nord Africa, sperando invano di raggiungere l’Europa o almeno Israele e finendo, invece, col cadere in una trappola di repressione e violenza peggiore di quella da cui sono scampati.
Si stima che, tra il 2009 e il 2010, oltre 80.000 eritrei abbiano lasciato il Paese, facendo dell’Eritrea il primo fornitore mondiale di richiedenti asilo politico. Il Sudan ospita 66.000 rifugiati eritrei; la Libia oltre 6.000.
Secondo l’agenzia Onu per i rifugiati, l’arruolamento forzato nell’esercito per uomini e donne, la siccità e la recessione economica spingono ogni mese 1.800 eritrei a tentare la fuga. Ma si fugge anche dalla povertà più nera: la Banca mondiale stima che l’Eritrea sia il Paese più colpito dall’insicurezza aumentare in tutta l’Africa.
C’è da sperare che il processo di denuncia innescato a livello dell’intera comunità internazionale conduca l’Egitto a vincere la tentazione di speculare sulla tragedia di tanti innocenti e ad assumere le iniziative politiche e militari necessarie a porre fine una volta per tutte all’immorale traffico aggravatosi in quest’ultimo anno.