di Massimo Introvigne
La guerra civile sudanese è cominciata nel 1955, un anno prima dell’indipendenza, e ha fatto un milione di morti fino alla tregua del 1972. È ricominciata nel 1983, e stavolta i morti sono difficili da contare: un milione e mezzo, forse due. Il Nord è quasi integralmente musulmano, il Sud in maggioranza legato alle religioni tradizionali africane e a un cristianesimo che sta diventando maggioritario, con una forte presenza cattolica.
Il Nord è di etnia araba, il Sud (come l’Ovest) diviso in una miriade di tribù africane che una certa mentalità araba ha sempre considerato portatrici di una cultura inferiore e territorio di caccia autorizzato per le incursioni dei mercanti di schiavi.
L’attuale regime di Khartoum è nato, nel 1989, come coalizione fra i nazionalisti arabi guidati dal generale Omar Hassan al-Bashir, tuttora presidente, e i fondamentalisti islamici di Hassan al-Turabi, uno dei leader del fondamentalismo mondiale.
Il tentativo di imporre la legge islamica, la sharia, anche nelle zone del Sud in prevalenza non musulmane ha continuato a motivare l’insurrezione di queste ultime. Nella guerra civile si sono moltiplicate le atrocità, ed è riemersa perfino l’antica piaga della schiavitù, inflitta a uomini e donne del Sud, in particolare cristiani. Il governo non è mai riuscito a venire a capo della ribellione, i cui capi a loro volta non sono dei santi da altare e hanno spesso usato la mano pesante.
Uno dei problemi di Khartoum è sempre stato il contrasto interno ai musulmani fra la componente arabo-nazionalista e quella fondamentalista. Dopo l’11 settembre il pragmatico presidente Bashir ha liquidato i fondamentalisti: al-Turabi è in carcere, e nel Sud non sarà più applicata la sharia.
Al-Turabi cerca ora dalla prigione di pescare nel torbido della rivolta che anima dal 2000 la seconda guerra civile sudanese. Si combatte nella regione occidentale del Darfur, che per i cattolici è la patria di santa Josefina Bakhita (1869-1947), una ex-schiava divenuta religiosa in Veneto e canonizzata nel 2000, ma dove i musulmani sono la maggioranza assoluta. Questa seconda guerra è tutta tra islamici, ed è etnica: gli africani (maggioritari) si rivoltano contro le angherie degli arabi, le cui milizie incoraggiate dal governo stanno facendo migliaia di morti e rischiano di trasformare il Darfur in un nuovo Rwanda.
È doveroso dare all’Italia i meriti conseguiti sul campo nel favorire al Sud una pace storica, sulla cui attuazione si dovrà ora vigilare. È anche importante che al generale al-Bashir non si rilascino cambiali in bianco: anche i massacri nel Darfur devono cessare. Ogni riconoscimento internazionale del regime di Khartoum va condizionato a veri progressi sul piano della libertà religiosa, dei diritti umani, di un cammino lento ma reale verso una qualche forma di democrazia.