Il prof. Luigi Ferrari insegna Psicologia economica del lavoro e Psicologia delle condotte finanziarie presso l’Università Milano-Bicocca. Nel 2010 ha pubblicato le 964 pagine dell’Ascesa dell’individualismo economico; quest’anno, con Salvatore Randisi, ha firmato Psicologia fiscale (Raffaello Cortina Editore, Milano pp 264, 22 euro). Gli abbiamo chiesto di illustrarci la materia oggetto del nuovo libro, che sta interessando non solo gli addetti ai lavori.
Luigi Ferrari
Indubbiamente quando ci occupiamo delle nostre finanze, del nostro reddito e anche delle nostre imposte, facciamo uno sforzo particolare di precisione e, in un certo senso, di freddezza, che in altri momenti ci permettiamo di ignorare. Siamo preoccupati di evitare sia i passi falsi sia di procurarci, con scelte avventate, ingenti danni economico-patrimoniali.
Schiere di specialisti (consulenti, promotori finanziari, commercialisti ecc.) sono lì per garantirci non solo la competenza tecnica, ma anche la fredda razionalità nelle scelte, che, a volte, sembra, se non mancarci, almeno non essere sufficiente in rapporto alle conseguenze dei nostri errori.
Tuttavia, anche i professionisti delle scelte economiche non sono immuni da irrazionalità. Anche loro sono soggetti a paure, euforia o panico vero e proprio, oltre che a errori di valutazione non dettati dalla scarsa preparazione tecnica, ma dall’ansia, dallo stress ecc.
Del resto, anche i professionisti con più esperienza si giocano nei loro consigli parti rilevanti della loro autostima e della stima professionale della clientela attuale e potenziale; anzi, si potrebbe dire, che, proprio coloro che hanno avuto più successo, abbiano maggiormente da perdere dagli sbagli. Ne consegue che la loro maggiore esperienza sia contrastata dagli effetti dell’emotività forse più che nei colleghi meno navigati. Di tutto questo e di tanto altro – ormai da tempo -si occupa la psicologia economica, per esempio nelle sue specializzazioni come la finanza comportamentale.
Il contribuente elettore
Ma anche in campo fiscale da molto tempo ci si è resi conto che il contribuente non è un decisore perfettamente razionale. Certo le decisioni fiscali sono di natura del tutto particolare e sicuramente molto diverse da quelle finanziarie, di consumo, di risparmio ecc.
La fondamentale scelta del contribuente è — come tutti possono comprendere – se essere corretto o meno; ma ci sono anche altre scelte collegate alla materia fiscale di grande importanza, che non vengono immediatamente alla mente e che possono essere soggette a fluenzamenti psicologici.
Il contribuente è anche qi sempre un elettore che deve scegliere il gruppo dirigente e quindi di in ultima istanza anche i decisori fiscali, cioè coloro che fanno le leggi di prelievo e spesa pubblica e le fanno rispettare, stretto rapporto tra percezione della politica fiscale e scelte elettorali ha sempre molto interessato gli studiosi di economia e politica.
Si può dire che, prima ancora che nascesse la psicologia come la scienza che tutti conosciamo, già i grandi pensatori e passato si sono accorti, non so della necessità di ideare politiche fiscali e di spesa pubblica corrette ed efficaci, ma anche di saperle presentare correttamente, non solo ai cittadini per evitarne proteste (e le rivolte), ma eventualmente anche al proprio elettorato per ottenere la sua fiducia e, col consenso, la rielezione.
Ma facciamo un bel passo indietro. Già nel ‘700 il padre dell’economia politica moderna, Adan Smith, dedicava non poche pagine della sua opera fondamentale La ricchezza delle nazioni a chiarire come i cittadini siano soggetti ; erronee opinioni su come vengano raccolte le imposte e come siano spese le somme accantonate dall’erario.
Altri economisti – prima della psicologia moderna – furono fini psicologi; almeno in quanto seppero distinguere bene le misure fiscali vere e proprie dal loro modo di essere percepite dai cittadini. Ben presto gli economisti e i tecnici fiscali compresero bene come alcune imposte attirassero meno, o molto meno, di altre l’attenzione dei contribuenti.
Queste valutazioni valgono tuttora: è noto a tutti, per fare solo un esempio, che nel prezzo del carburante che troviamo nella nostra stazione di servizio ci sia una parte rilevante di imposte, ma a quanto ammonta il sovrappiù rispetto al prezzo industriale, cioè privo di imposte? Molti lettori (io direi quasi tutti) non sono in grado di dare una risposta.
Al contempo, però, gli stessi lettori magari ricordano benissimo l’ammontare del bonifico bancario che hanno dovuto effettuare all’erario in occasione dell’ultima scadenza dell’Irpef. Ciò significa che il tipo di tributo, nonché la sua forma di pagamento, generano diversi livelli di consapevolezza del carico fiscale, cioè dell’ammontare delle imposte da pagare.
Ancora sull’lrpef
Se il lettore non è del tutto convinto, parliamo ancora della stessa Irpef, cioè dell’imposta sul reddito. Chi è lavoratore dipendente sa bene che la sua imposta sul reddito è in una parte consistente pagata alla fonte. Che cosa significa? Vuoi dire che è lo stesso datore di lavoro che riscuote l’imposta e poi ne trasferisce l’ammontare al fisco.
Il meccanismo di riscossione fa sì che la retribuzione netta pagata al dipendente sia già tassata: il dipendente spesso non deve più nulla al fisco perché ha già pagato, almeno per la parte di reddito del suo lavoro alle dipendenze. Il dipendente (o il pensionato) ha già pagato, ma «non se ne accorge», perché la cifra lorda -cioè prima del prelievo del datore di lavoro -, che poi è la sua retribuzione vera, non l’ha mai incassata effettivamente.
Certo, qualcuno potrebbe obiettare, nella busta paga il compenso lordo e il prelievo sono sempre specificati con precisione (per obbligo di legge e contrattuale). È vero! Ma è… come se non lo fossero! Pochissimi contribuenti tassati alla fonte si interessano della loro retribuzione lorda.
Di più, quando anche «perdono tempo» (in verità, non è mai tempo perso) a considerare questo aspetto, l’effetto psicologico è molto più «freddo» di quello del contribuente autonomo che non ha trattenute alla fonte (o le ha, ma a un’aliquota ridotta) e, proprio per questo, a fine anno fiscale, paga l’Irpef, cioè l’imposta dovuta (o gran parte di essa) prelevando la somma dalle sue disponibilità in banca.
Il problema non è soltanto la maggiore o minore percezione che si stia pagando un tributo, ma anche la tolleranza, o la sopportabilità, del tributo stesso, correttamente percepito. Si può anzi dire che nella storia dei sistemi fiscali il prevalente problema psicologico, ma anche politico e sociale, sia stata la sopportabilità, più che la conoscenza tecnica, delle imposte.
Da sempre, si può dire, il decisore fiscale, cioè il governante che ha il potere di stabilire quante e quali imposte imporre, scruta le reazioni dei contribuenti per intuire la migliore tecnica fiscale. Quella cioè che, a parità di somme riscosse, renda minima la protesta. La questione non è mai stata secondaria.
Il lettore deve considerare come – in età moderna – le principali rivoluzioni e rivolte sociali abbiano avuto la protesta fiscale come componente, se non principale, almeno basilare. Conseguenze: si è sviluppato un sapere, che potremmo definire «storico», nel senso che si è accumulato nel tempo, tutto teso a rendere massimo il prelievo con il minimo rischio di proteste.
Ne è anche risultato che, come accennato in precedenza, i più importanti economisti del passato hanno sviluppato una serie di indicazioni ai governanti per raggiungere questo risultato, inoltre, si è sviluppato un sapere che potremmo, invece, definire «pratico» delle stesse classi dirigenti che, avendo come principale obiettivo la propria sopravvivenza politica, hanno riflettuto a lungo e analizzato l’esperienza degli avvenimenti precedenti per orientarsi nelle decisioni.
Attualità di Puviani
Tra gli economisti del passato che hanno studiato a lungo e approfonditamente il tema, ricordiamo un italiano: Amilcare Puviani, un professore di economia dell’Università di Perugia che nel 1903 ha scritto un libro importantissimo per la psicologia fiscale, dal significativo titolo di Teoria dell’illusione finanziaria. È questo un vero e proprio trattato centrato sul dato di fatto che, come abbiamo detto, la materia fiscale è profondamente psicologica proprio in quanto, secondo il Puviani, fonte di illusioni, cioè di «inganni» che il contribuente elettore subisce per la stessa natura della materia fiscale. Lo studioso sostiene che per la complessità e l’ignoranza dei meccanismi fiscali, ogni imposta possa essere occultata e, allo stesso modo, ogni spesa pubblica possa essere presentata ai cittadini in modo distorto.
Il lettore non deve pensare che le conclusioni di Amilcare Puviani riguardino soltanto un lontano passato. Molti meccanismi che lo studioso ha presentato nel suo fondamentale volume rimangono validi ancor oggi. Proprio recentemente, io e il mio collaboratore, Salvatore Randisi, abbiamo provato sperimentalmente alcune delle leggi fondamentali sulla psicologia della fiscalità presentate nella Teoria dell ‘illusione finanziaria.
Abbiamo così avuto modo di verificare che, esattamente come indicava il Puviani più di un secolo fa, ancora oggi i contribuenti (per gli esperimenti abbiamo scelto un gruppo di clienti di commercialisti del Nord Italia) sono soggetti a percezioni distorte e, soprattutto, tollerano gli stessi tributi in modo differente a seconda del mondo di pagamento.
Anzitutto, abbiamo verificato che sistematicamente la tassazione indiretta è più sopportabile di quella diretta. Ma questo è un risultato acquisito da tempo e più volte verificato negli esperimenti più recenti di psicologia fiscale.
La «saturazione dolorosa»
Una novità, invece, è rappresentata dalla verifica sperimentale di una delle tesi più importanti di Puviani: il principio della saturazione dolorosa. A dispetto del termine, che indubbiamente intimorisce, il concetto di saturazione dolorosa applicato alla fiscalità è piuttosto semplice. Puviani afferma che lo stesso tributo – il lettore presti molta attenzione a questo punto: si parla di tributi di ammontare identico – è maggiormente sopportato se viene imposto in occasioni di dolore e di pena del contribuente.
Un esempio molto semplice è rappresentato dall’imposta di successione. Dopo la scomparsa di una persona molto cara, il superstite è talmente sconvolto dalla perdita che la pena prodotta dal pagamento delle somme dovute per la successione ereditaria risulta quasi impercettibile. Si dice allora che il dolore maggiore (la perdita del congiunto) abbia saturato la capacità di soffrire del contribuente, che pagherà l’imposta quasi non accorgendosene sul piano affettivo ed emotivo.
Questo meccanismo psicologico vale anche in condizioni meno tragiche. Difatti, ben presto i decisori fiscali, nel loro sapere pratico, hanno imparato ad accoppiare a imposte maggiori piccole imposte secondarie, da pagare contestualmente. Si tratta, per esempio, delle addizionali (ne abbiamo anche noi diverse: si pensi alle addizionali locali dell’imposta principale sul reddito – Irpef).
Questi piccoli tributi se, a parità di esborso, fossero imposti isolatamente susciterebbero un effetto negativo molto maggiore. Diversamente, se «agganciate» a un’altra imposta maggiore, che procura una pena più grande, passano, si potrebbe dire, «inosservate» sul piano affettivo ed emotivo e, dunque, non producono, per sé stesse, grande opposizione e dissenso.
Abbiamo ottenuto conferme sperimentali anche di altre tesi di Puviani, come per esempio sulla maggiore sopportabilità dei tributi rateizzati ecc. Si è precedentemente accennato alla grande importanza attribuita dallo studioso alla consapevolezza fiscale. Anche la moderna psicologia fiscale ha sempre sottolineato il basso livello delle conoscenze sulla materia tributaria.
Interessanti studi condotti in Germania hanno dimostrato che anche i decisori fiscali, cioè coloro che fanno e approvano le leggi in materia di tassazione, hanno conoscenze molto modeste degli argomenti tributari. Le conoscenze sono poi spesso deformate dalla propria condizione di contribuente. La moderna psicologia fiscale ha da molto dimostrato come noi conosciamo, con un evidente distorsione, abbastanza bene i tributi che prevalentemente paghiamo e poco o pochissimo di quelli che non si applicano a noi.
Perché l’evasione i fiscale
La psicologia fiscale contemporanea, sviluppatasi soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, ha avuto come prevalente tema di studio l’evasione e l’elusione. La massa di studi su questo argomento è oggi davvero imponente. Non è possibile nello spazio di un articolo illustrare la complessità dei risultati raggiunti.
Può essere, però, utile al lettore, per un suo orientamento nella materia, sapere che gran parte di questi studi hanno avuto come obiettivo la dimostrazione che il contribuente evade le imposte per una serie molto ampia e articolata di motivi e non solo per limitare le sue perdite monetarie, o ottenere un guadagno netto.
In questo senso, la psicologia fiscale ha confutato la teoria del «contribuente razionale», cioè il concetto che si evade per un calcolo razionale del guadagno dall’evasione in rapporto alla possibilità di perdita in caso di controllo fiscale. Noi sappiamo oggi con certezza che la scelta di evadere molto spesso non è affatto razionale. In primo luogo, esistono nei contribuenti evidenti distorsioni circa la probabilità di controlli fiscali.
Queste distorsioni sono, a complicazione del tutto, a loro volta condizionate da aspetti di personalità, da atteggiamenti e da opinioni. Sappiamo, per esempio, che i contribuenti più «onesti», proprio per questa loro maggiore correttezza sono più propensi a sopravvalutare i rischi di verifica fiscale.
Ma questo non è tutto. Altre fondamentali variabili che intervengono nella decisione di evadere non riguardano affatto la materia economica. Sappiamo, infatti, che spesso l’evasione è più probabile nei contesti in cui la condanna morale di questa forma di illegalità è ridotta e poco diffusa.
Sappiamo anche che l’evasione deve essere posta in stretta relazione con la percezione di vessazione fiscale, che, come abbiamo visto precedentemente anche proposto di Puviani, è materia di grande riflessione psicologica. Da ciò conseguono precise indicazioni di tecnica tributaria.
Oggi tutte le più importanti amministrazioni delle finanze pubbliche del mondo sono molto più attente di prima a come vengono imposti i tributi e alla modalità dei controlli fiscali. Insomma, è come dire che non solo bisogna tassare (e spendere i fondi pubblici) con correttezza, ma questa correttezza deve anche essere supportata da procedure attente alla sensibilità e alla psicologia dei contribuenti-cittadini.