Lo sterminio del popolo armeno tra il 1915 e il ’17 nella testimonianza di un missionario domenicano
di Marco Roncalli
Ago 07
Lo sterminio del popolo armeno tra il 1915 e il ’17 nella testimonianza di un missionario domenicano
di Marco Roncalli
Ago 07
di Jacques Rhetore
I convogli dei deportati attraversarono il vilayet di Diyartxzkir passando, quasi tutti, per la città di Mardin da dove sono stati osservati da vicino. È di questi convogli che vorrei adesso trattare. Mi dispiace di non poter dare, sul loro numero e sul numero dei deportati in genere, altro che cifre vaghe, quelle che circolavano pubblicamente.
Ago 07
Un milione e mezzo di armeni massacrati nel 1915-16
di Piero Mainardi
“Chi parla ancora oggi del massacro degli armeni?” vaticinava Hitler nel 1939. La stessa domanda riformulata oggi (pur con altre intenzioni) non troverebbe una risposta diversa, cioè: ben pochi. E sarebbero ancora meno se la casa editrice Guerrini e Associati non proseguisse in quest’opera di preservazione della memoria rispetto a un evento che ha rappresentato il primo genocidio del XX secolo (oltre ad una parallela opera di riscoperta della storia della presenza armena in Europa) che il popolo armeno ha dovuto partire nel 1915-16 nel quale si calcola siano morti circa tre quarti della popolazione armena in territorio ottomano, ossia circa un milione e mezzo di persone. Nonostante ciò la Turchia continua a negare il carattere di genocidio a questi massacri.
Ago 03
Un lager vale l’altro
L’unicità dello sterminio degli ebrei non esclude il confronto. Con che cosa? Con l’eliminazione, nella Russia di Stalin, di 20 milioni di nemici di classe. Una tesi provocatoria? O il riesame spregiudicato di un dilemma politico e morale?
di Ernesto Galli della Loggia
Ago 03
Hitler e Stalin erano amici per la pelle. Degli altri. Costa-Gravas se lo scorda e firma l’ennesima bugia su Pio XII. Il vero manifesto Toscani, 1a puntata.
di Marco Respinti
Ago 02
di Thomas F. Madden
(Traduzione italiana a cura di Roberto Rifilato)
Con la possibile eccezione di Umberto Eco, gli studiosi medievali non sono soliti sollecitare l’attenzione dei media. Noi tendiamo ad una relativa quiete (se si eccettua il baccanale annuale del Congresso internazionale di studi medievali di Kalamazoo), leggendo cronache ammuffite e scrivendo studi meticolosi che ben pochi leggeranno. Si immagini, quindi, la mia sorpresa quando, nei giorni successivi all’11 settembre, il Medio Evo balzò improvvisamente alla ribalta.
Ago 02
1. Usi contemporanei del termine Crociata
Affrontare con serietà scientifica il tema della Crociata, uno dei tanti episodi di cui apparentemente tutto è noto, è reso difficile prima di tutto dall’utilizzo che di questo termine ha fatto e continua a fare la cultura contemporanea. Un utilizzo carico di enfasi contrapposte, che come giustamente nota Franco Cardini (1), consente immediatamente di comprenderne l’impostazione filosofico-politica di fondo.
Ago 02
di Francesco Pappalardo
Le opinioni diffuse ancora oggi dai mezzi di comunicazione, da molti libri di testo e da alcuni studiosi a proposito delle crociate contribuiscono a darne un’immagine distorta e riduttiva. Questo atteggiamento generalizzato finisce per essere causa ed effetto del significato negativo assunto, nel linguaggio corrente, dal termine “crociata”, utilizzato spesso per indicare polemicamente ogni tentativo violento di sbarrare la strada al “progresso”, non senza conseguenze anche su larga parte del mondo cattolico, che subisce il ricatto, concettuale e semantico, del “Non vorrai fare una crociata?”.
Ago 02
di Franco Cardini
Le crociate non sono mai state “guerre di religione”, non hanno mai mirato alla conversione forzata o alla soppressione degli infedeli. Eccessi e violenze compiuti nel corso delle spedizioni – che ci sono stati e non vanno dimenticati – debbono tuttavia esser valutati nel quadro della normale ancorché dolorosa fenomenologia degli eventi militari e sempre tenendo presente che alcuna ragione teologica li ha giustificati.
Ago 02
La distruzione dell’Islam? Un’invenzione occidentale che provoca sensi di colpa
di Vittorio Messori
Da sempre, si chiamava “piazza delle Crociate”. Da poco più di un anno è “piazza Paolo VI”. Al cambio di nome dello slargo milanese, accanto alla insigne basilica di San Simpliciano, non è estraneo il fatto che su di esso si apra l’ingresso della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Dicono ci siano state pressioni clericali perché si cambiasse quell’indirizzo.