Il consumo di condom cresce in maniera esponenziale, ma il “palloncino” è tutt’altro che sicuro
ll Piano presidenziale di emergenza per il soccorso Aids (Pepfar) di George W. Bush che prevede spese per 15 miliardi di dollari su 5 anni è stato criticato, fra le altre cose, perché riserverebbe circa 1 miliardo di dollari a programmi di “educazione all’astinenza”.
Soldi sottratti ai progetti che debitamente includono la diffusione dei profilattici, è stato detto. «I fautori del condom non sono mai soddisfatti: i finanziamenti pubblici ai loro programmi sono superiori a quelli destinati all’educazione all’astinenza in un rapporto di 12 a 1!», hanno replicato i dirigenti di Abstinence Clearinghouse, la Ong americana che promuove l’astinenza sessuale.
Effettivamente, il business del condom non ha conosciuto battute d’arresto nell’ultimo ventennio, sospinto dai diffusi timori di contagio per via sessuale di Aids e altre malattie e dalle politiche di sanità pubblica che ne hanno promosso la diffusione nei paesi industrializzati e in quelli poveri. Secondo alcune statistiche, nel 2002 il consumo mondiale aveva già toccato e superato i 10 miliardi di pezzi all’anno.
Nell’Africa sub-sahariana, grazie al cosiddetto marketing sociale, il consumo è passato da meno di un milione all’anno a 167 milioni fra il 1988 e il 1995. Il grande successo non è esente da critiche. Nel 2002 Consumers International, gruppo per la tutela dei consumatori, avvertiva che gli standard qualitativi prevalenti non garantivano alti livelli di sicurezza e che «un milione di persone al giorno saranno esposte a malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate se non saranno portati miglioramenti alla sicurezza dei condom». La discussione è ancora aperta.