Testo della trasmissione “Temi di Dottrina sociale dalla Chiesa”
andata in onda su Radio Mater l’8 maggio 2021
di Giuseppe Brienza
«Mantenere vive le realtà democratiche è una sfida di questo momento storico»
(Papa Francesco,
Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la S.Sede, 8 febbraio 2021)
Introduzione
Ad oltre un anno dallo scoppio della “pandemia” sono disponibili ormai numerosi dati per iniziare a riflettere sul modo in cui sono state fronteggiate le crisi sanitaria, sociale, economica e politica nelle principali nazioni del mondo. In questo studio focalizzeremo l’attenzione sull’aspetto politico-istituzionale, quello più delicato ai fini del ripristino o mantenimento (a seconda dei casi) dello Stato di diritto nei Paesi nei quali era vigente, o in corso di costruzione, prima della crisi da COvid-19.
Il 2020 è stato l’anno del nuovo coronavirus, un evento catastrofico che ha sconvolto la vita di miliardi di persone, suscitando in molti un traumatico senso di incertezza e di vulnerabilità, in parte causato dal modo in cui è stato affrontato da parte degli Stati che, per vari motivi (più o meno giustificabili o discutibili) hanno disposto misure restrittive della libertà personale e in alcuni casi della partecipazione democratica, paragonabili a quelle imposte nei periodi di guerra.
Il modello democratico è stato messo a dura prova sia sul piano nazionale, a causa della crescita di movimenti populisti o nazionalisti, sia a livello geopolitico, a seguito delle minacce e dei tentativi neo-colonizzatori operati dai regimi totalitari come la Cina. In effetti molti osservatori stanno responsabilmente pensando che il problema più grave da affrontare nel periodo “post-pandemia”sia il ridimensionamento del peso geopolitico acquisito e dell’aggressività economica e militare cinese.
1.Crisi della politica
Secondo Caroline Klaff, coordinatrice del programma Foreign Policy presso la Brookings Institution di Washington D.C., il Covid-19 ha sottoposto le democrazie occidentali ad un particolare test,«amplificando le fratture sociali esistenti e contemporaneamente mettendo in dubbio la globalizzazione, il processo decisionale democratico, l’affidabilità della scienza e dell’informazione, e fondamentalmente la capacità del modello democratico di far fronte a eventi devastanti come una pandemia globale» (1). Il risultato? Quello evidenziato da Papa Francesco nell’ultimo discorso rivolto ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ovvero «una crisi ben più profonda, che in qualche modo sta alla radice delle altre, la cui drammaticità è stata posta in luce proprio dalla pandemia. È la crisi della politica, che da tempo sta investendo molte società e i cui laceranti effetti sono emersi durante la pandemia» (2).
In un recente studio (paper) del sopra centro di ricerca statunitense specializzato in scienze sociali, economia e politica internazionale The Brookings Institution, due analiste (Célia Belin e Giovanna De Maio) hanno sintetizzatole seguenti sfide che i governi democratici stanno affrontando/dovranno affrontare dopo la crisi coronavirus:
1) proteggere la sicurezza e l’integrità delle elezioni, poiché molti governi nazionali e regionali hanno in un primo momento modificato, posticipato, o cancellato elezioni nell’interesse della sicurezza pubblica ma, in seguito (e fino ad ora, come ad es. nel caso dell’Italia), sono stati restii a ripristinarle (3);
2) individuare il giusto ruolo per gli esperti nelle decisioni politiche, al fine di scongiurare la preponderante invadenza del ruolo tecno-burocratico (4);
3) affrontare una probabile ripresa di populismo e nazionalismo che, dopo l’apice della crisi Covid-19, hanno intensificato i loro messaggi anti-establishmente contro l’immigrazione e le organizzazioni internazionali, intercettando l’insofferenza verso le multinazionali del web che si sono arricchite con le chiusure e la protesta contro le crescenti disuguaglianze sociali, fondate anche sulla carenza di solidarietà e sul fallimento delle principali organizzazioni internazionali (v. Ue/Oms) (5).
4) Rispondere alla disinformazione interna ed esterna, una volta assodato che la circolazione incontrollata di una quantità eccessiva e/o distorta di informazioni sul coronavirus e sulla crisi hanno contribuito a quell’infodemia che ha terrorizzato le persone, alimentato teorie del complotto e diffuso notizie false e disinformazione utilizzata dalle varie centrali dell’intelligence – sia nazionale sia straniera, sia economica sia politica -, per generare comportamenti asserviti e sfiducia nelle proprie o altrui istituzioni democratiche.
5) Difendere il sistema di governo democratico in quanto, come già accennato e costituirà oggetto di analisi del presente lavoro, il virus «è stato il pretesto per estendere il potere dell’esecutivo e istituire misure di sorveglianza senza garanzie attendibili» (6).
In sostanza, per garantirsi un futuro i popoli delle democrazie di antica costituzione e quelle costituende prima della crisi “pandemiche” dovranno apportare accorgimenti ai rispettivi ordinamenti politico-costituzionali al fine di proteggere le loro libertà e il ruolo delle istituzioni anche nelle situazioni di crisi.
Allo stesso tempo, sarà necessario promuovere la conoscenza del funzionamento e la consapevolezza delle libertà democratiche, con le responsabilità che ne derivano, anche in termini di “auto-difesa” dei diritti fondamentali di cittadini, imprese e famiglie, il che non è accaduto con molta efficacia nel biennio 2020-21 anche perché molti cittadini si sono (o sono stati) lasciati immobilizzare dalla paura infodemica instillata, oltre che dalle polizie, fra l’altro dai continui bollettini “di guerra” che ricordano molto quelli del romanzo di George Orwell (1903-1950) 1984 (1949).
Per la prima volta nella storia contemporanea, infatti, in molti Paesi di antica tradizione democratica, le forze politiche e sociali hanno manifestato una difficoltà, se non addirittura una incapacità, di difendere le libertà politiche e ricercare soluzioni ai problemi che hanno afflitto i rispettivi popoli. Per questo ha giustamente affermato Papa Francesco che «mantenere vive le realtà democratiche» costituisce la principale «sfida di questo momento storico, che interessa da vicino tutti gli Stati: siano essi piccoli o grandi, economicamente avanzati o in via di sviluppo» (7).
2. Le “democrazie interrotte”: il Myanmar
Tra i Paesi nei quali determinate consorterie politico-militari-finanziarie, probabilmente con la regia o l’appoggio esterni, hanno approfittato della “crisi pandemica” per imporre la dittatura, c’è il Myanmar (ex Birmania). A seguito dell’arresto, da parte della giunta militare golpista del generale Hlaing, del presidente regolarmente eletto Aung San Suu Kyi (1° febbraio 2021), ammontano ormai a quasi 700 (al momento in cui scriviamo) i giovani uccisi sulle strade «da una dittatura militare che va contro la storia» (8).
Creando non pochi dissapori con la Cina, che è l’alleato più vicino della giunta militare golpista, il Santo Padre ha voluto esprimere in modo particolare il suo affetto e vicinanza al popolo del Myanmar, il cui «cammino verso la democrazia intrapreso negli ultimi anni è stato bruscamente interrotto dal colpo di stato. Esso ha portato all’incarcerazione di diversi leader politici, che auspico siano prontamente liberati, quale segno di incoraggiamento a un dialogo sincero per il bene del Paese» (9).
3. Terrorismo e “islamo-marxismo” Oltre al “terrorismo di Stato” additato nel caso del Myanmar (naturalmente Papa Francesco non si è espresso minimamente in tali termini), il Santo Padre ha riferito la minaccia, potenziale o già in atto, contro la democrazia e la libertà dei popoli, al fondamentalismo religioso.
Nel più volte citato discorso al corpo diplomatico, il Pontefice ha concentrato l’attenzione su quello «che colpisce soprattutto nell’Africa sub-sahariana», vale a dire il terrorismo islamista esploso dapprima con l’affiliazione del Gruppo Salafita per la Preghiera e il Combattimento (GSPC) con al Qaeda nel 2006-2007 (10) e, in seguito, con l’alleanza fra Boko Harame l’IS-Stato Islamico nel 2015 (11)
Questa “sinergia del terrore” jihadista, in Stati come il Sudan, il Ciad, il Niger, il Burkina Faso, il Mali (12) e la Mauritania, miete continue vittime tra la popolazione civile, e non sempre come vorrebbero certi opinionisti occidentali (anche cristiani) ha cause di carattere economico-sociale. Semmai concause, perché la ragione di fondo di questa violenza cieca terroristica è religiosa o, meglio, afferma Papa Francesco, pseudo-religiosa, perché «motivata da ideologiche distorsioni della religione» (13).
4. “Sdemocratizzazione” e crisi dell’istruzione nell’era Covid-19 Una delle conseguenze e, allo stesso tempo, del futuro consolidamento del processo di “sdemocratizzazione” di molte società nell’era Covid è la crisi o, nei Paesi poveri, il definitivo tracollo, dell’istruzione popolare. Secondo l’Unicef, ad esempio, nell’ultimo anno almeno 114 milioni di bambini in America Latina e nei Caraibi non hanno ricevuto un’istruzione in presenza, a causa della totale o parziale chiusura delle scuole. «È la peggiore crisi dell’istruzione che l’America Latina e i Caraibi abbiano mai affrontato nella storia moderna», hanno affermato gli osservatori di questa agenzia internazionale.
Nonostante gli sforzi dei governi e delle autorità scolastiche per assicurare l’istruzione a distanza attraverso piattaforme virtuali, via radio o tv, «l’interruzione scolastica ha avuto impatti catastrofici su apprendimento, protezione,salute, salute mentale e prospettive socioeconomiche future dei bambini. Il rischio di abbandono scolastico è alto, soprattutto per quanto riguarda i più vulnerabili. Si stima che oltre 3 milioni di bambini rischiano di non far più ritorno in classe» (14).
Questa massa di giovani, in un contesto economico globale ancora più aggravato dalla “pandemia” da Covid-19, diventa facile preda non solo delle organizzazioni criminali ma anche di quelle militari o paramilitari. Da quest’ultimo punto di vista, sebbene non esistano statistiche ufficiali, si stima che in tutto il mondo ci siano circa 250 mila minori impiegati in operazioni di guerra, sfruttati come soldati e costretti a commettere crimini indicibili.
Alcuni sono piccolissimi, al di sotto dei 6-7 anni,«obbligati ad imbracciare armi, usare coltelli e machete, storditi con alcol e qat – la droga che annienta fame e paura (15)- [e] sono almeno 18 i Paesi nei quali, dal 2016 ad oggi, è stato documentato l’impiego di minori in conflitti armati: Afghanistan, Camerun, Colombia, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo,India, Iraq, Mali, Myanmar, Nigeria, Libia, Filippine, Pakistan, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Siria e Yemen» (16).
Malgrado gli sforzi per contrastare questo fenomeno, il numero di casi registrati è costantemente aumentato dal 2012 al 2020. Alcuni “bambini-soldato” sono spinti dalla povertà e dal bisogno di sopravvivenza. Strappati dalle loro famiglie e comunità, prelevati nei villaggi, per strada e allontanati dalla scuola, anche dopo aver deposto le armi sono in molti casi attanagliati da incubi, attacchi di panico e insonnia. Difficilmente potranno quindi costituire le “nuove leve” su cui puntare per lo sviluppo economico e sociale dei Paesi, spesso poveri o poverissimi, di appartenenza.
5. La crisi sociale e politica nei Paesi occidentali
Come ha rilevato un esperto di questioni internazionali come padre Bernardo Cervellera, la crisi della politica democratica occidentale si è palesata, «mai come quest’anno» horribilis 2020. «Si vorrebbe avere una qualche speranza che sconfigga la pandemia– aggiunge il missionario del Pontificio Istituto per le Missioni Estere (PIME) e direttore dell’agenzia AsiaNews –, che vinca la crisi economica e sociale che si sta alzando sempre di più, che riporti al dialogo e alla comprensione una società sfilacciata all’estremo dove ormai sembra che l’unico criterio sia il salvare sé stesso a spese di chiunque altro. E invece c’è un’impotenza diffusa, che annaspa su espedienti di breve durata, senza alcuna certezza» (17).
È per questo che è corretto affermare che un contagio tanto grave quanto quello della “pandemia” sta minacciando i cittadini europei. Le democrazie del Vecchio continente, infatti, non hanno saputo trovare un vaccino contro l’annichilimento tecnologico e contro il soft power cinese, assistendo anzi passivamente al tentativo del primo e del secondo di sfruttare l’emergenza sanitaria per conquistare il controllo del pensiero dei popoli, quote di mercato e influenzare così lo Stato di diritto europeo-occidentale.
Eppure,durante l’emergenza “pandemica” ai popoli ed ai politici e governanti responsabili si sono offerti modelli alternativi a quello cinese del lockdown. Il pensiero corre in primo luogo alla Corea del Sud, Repubblica democratica presidenziale che ha saputo fin dall’inizio dell’emergenza adottare un sistema di regole e procedure allineato agli strumenti offerti dall’innovazione tecnologica non utilizzati però per annichilire, bensì per preservare le libertà fondamentali assieme alla salute.
Tali regole e procedure, basate sui Big Data (sistemi di controllo basati sull’intelligenza artificiale) e su accurati metodi di rilevazione del virus, hanno consentito a questo Paese di contenere gli effetti dell’emergenza sanitaria, senza conculcare i diritti politici e le libertà fondamentali dei cittadini. Stiamo parlando di una nazione che, avendo quasi la stessa popolazione dell’Italia (52,9 milioni di abitanti), ha fatto registrare complessivamente un tasso di mortalità molto basso, pari a circa lo 0,69%, senza limitare la libertà di movimento del suo popolo.
Oramai oggi in questo Paese non si rilevano più che poche centinaia di contagi al giorno e la mortalità è quasi azzerata (la crisi “pandemica” ha determinato decessi in numero non superiore alle 1.800 unità, a fronte degli oltre 123mila “morti da e con Covid” registrati ad oggi in Italia). In Corea del Sud non c’è stato mai un vero e proprio lockdown e, nella capitale Seul, città di circa 10 milioni di abitanti, la metropolitana ha sempre continuato a funzionare.
I sudcoreani sono stati sottoposti in massa a test e sono stati tracciati ma, grazie alle tecnologie sopra citate, non hanno subito “pene aggiuntive” per contenere il virus. Con i metodi tecnologici adottati, a differenza della Cina, che ha isolato e sottoposto ai domiciliari una provincia di oltre 11 milioni di persone come Wuhan, il popolo della Corea del sud non ha subito intimidazioni, abusi sulla libertà né processi di “sdemocratizzazione” quali abbiamo assistito (e stiamo assistendo) in America latina, Europa, in Asia e altrove.
E ricordiamo che in Sud Corea la sanità, a differenza che in Cina dove con la centralizzazione comunista tutto è centralizzato e statalizzato, la sanità è principalmente gestita dai privati. Naturalmente tutte le spese di ospedalizzazione, cura e sepoltura dei pazienti Covid, in questo Paese sono state coperte dallo Stato in virtù del principio dell’eccezione e dell’emergenza nazionale.
La modalità di affrontare il virus e le sue variegate conseguenze da parte della Corea del sud ci dovrebbe interessare a mio avviso anche dal punto di vista religioso e “pastorale”. Secondo alcuni dati recentemente diffusi dalla Conferenza episcopale sudcoreana, infatti, i cattolici che rappresentano l’11,2% della popolazione complessiva (5,9 milioni di persone), hanno partecipato in presenza alla Messa domenicale e festiva nel 2020 in una percentuale davvero minimale, attestata allo 0,15%.
In ciò, anche i cittadini cattolici hanno dimostrato l’estrema cautela raccomandata (ma non imposta) dalle autorità per far fronte ai pericoli della “pandemia”. I Vescovi del Paese asiatico, però, a differenza di altri, non hanno preso sottogamba la circostanza per cui, anche nel 2021, ovvero ad emergenza sanitaria ormai superata, la partecipazione dei fedeli in presenza alle celebrazioni è rimasta molto bassa. In pratica i cattolici sudcoreani si sono “abituati” alle messe online o televisive…
Invece che soprassedere e “attendere gli eventi”, i presuli hanno già da tempo intrapreso varie iniziative per «apertamente scoraggiare o interrompere la trasmissione delle messe online, auspicando e invitando i fedeli a tornare fisicamente nelle chiese» (18). Non è arrivato il momento di ripristinare il precetto domenicale e adottare simili attività anche in Italia?
6. Affrontare la sfida democratica anche nelle organizzazioni internazionali
Papa Francesco non sta delimitando la sua analisi sulla sfida democratica da affrontare solo a livello nazionale. Infatti, ha denunciato nel discorso al corpo diplomatico, «la crisi della politica e dei valori democratici si ripercuote anche a livello internazionale, con ricadute sull’intero sistema multilaterale e l’evidente conseguenza che Organizzazioni pensate per favorire la pace e lo sviluppo – sulla base del diritto e non della “legge del più forte” – vedono compromessa la loro efficacia» (19).
Come non pensare, dopo aver letto questa citazione, al 15 aprile 2020, giorno in cui l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha sospeso i finanziamenti all’Organizzazione mondiale della sanità? Gli errori dell’Oms, secondo il presidente repubblicano,sarebbero «costati così tante vite» che un’agenzia delle Nazioni Unite non può non risponderne. Trump ha ordinato la sospensione dei finanziamenti statunitensi all’organizzazione di Ginevra, non solo per la «cattiva gestione» dell’emergenza globale ma, accusa ancor più grave, per aver «insabbiato» la diffusione cinese del coronavirus.
Alla sospensione dei finanziamenti è seguita quindi la decisione del ritiro degli Stati Uniti dall’Oms, formalizzata il 7 luglio 2020 ma con operatività dal 6 luglio del 2021. Come sappiamo, però, nel frattempo Trump non è più presidente e, fin dal 19 novembre 2020,il neo-eletto Joe Biden, in un video-messaggio, ha dichiarato che, «Dal primo giorno, noi rientreremo nell’Oms e negli Accordi per il Clima di Parigi». Mentre il secondo annuncio ha avuto luogo non si può dire lo stesso, ad oggi, per il primo. Nel marzo del 2021, in particolare, il nuovo segretario di Stato statunitense Antony Blinken, ha attaccato l’Oms dubitando fortemente dell’indipendenza dei tecnici dell’organizzazione internazionale inviati a Wuhan per scoprire la verità sull’origine del Covid-19.
Nonostante per molti mesi gli europeisti abbiano celebrato la ritrovata intesa con gli Stati Uniti, il principale collaboratore di Biden ha reiterato le medesime accuse all’organizzazione di Ginevra rivolte l’anno scorso dall’allora segretario di Stato Usa, il trumpiano Mike Pompeo, di “coprire” i cinesi nella loro responsabilità nella diffusione del virus. Non sarebbe il caso, quindi, che anche la diplomazia della Santa Sede facesse tesoro delle parole sopra riferite del Papa e dei recenti eventi, ad esempio, riguardanti l’Organizzazione mondiale della sanità?
Il Papa ha chiaramente rilevato la perdita da parte delle organizzazioni internazionali della loro vocazione solidaristica originaria. «La pandemia – ha detto non a caso rivolgendosi ad esponenti della diplomazia – è un’occasione da non sprecare per pensare e attuare riforme organiche, affinché le Organizzazioni internazionali ritrovino la loro vocazione essenziale a servire la famiglia umana per preservare la vita di ogni persona e la pace. Uno dei segni della crisi della politica è proprio la reticenza che spesso si verifica ad intraprendere percorsi di riforma. Non bisogna avere paura delle riforme, anche se richiedono sacrifici e non dirado un cambiamento di mentalità» (20)
7. L’altro caso di “democrazia interrotta”: Hong Kong
Dal 1997 Hong Kong è divenuta, come noto, un territorio “autonomo” del Sudest della Repubblica popolare cinese. Certamente quello in atto da circa un anno nell’ex colonia britannica è un movimento popolare che sta rivendicando democrazia e libertà, la prima non presente, la seconda sostanzialmente sì fino al 1997. Ma da quando è governata dal principio “un Paese due sistemi” ispirato da Deng Xiaoping, il movimento per la democrazia si è annodato a quanto accaduto in Cina nel giugno del 1989. In quel periodo, infatti, ad Hong Kong più un milione di persone scesero in piazza in solidarietà agli studenti di piazza Tienanmen (Pechino), la cui richiesta di libertà venne come ricordiamo soffocata con i carri armati e l’uccisione di centinaia di cittadini.
Nel 2003 un milione di persone si è opposta al primo tentativo comunista di imporre una legge sulla “sicurezza nazionale” e, definitivamente nel 2014 è nato il movimento degli ombrelli dei giovani studenti, naturalmente non ascoltati dal regime ma, dal novembre 2019, quando cioè le elezioni amministrative con la più alta percentuale di partecipazione mai registrata hanno visto i candidati democratici vincere tutti i seggi disponibili, apertamente perseguitati.
La crisi Covid, ad Hong Kong, ha reso possibile la decisione di Pechino di soffocare ogni minimo anelito di democrazia e libertà. Ma la “pandemia” ha reso possibile al regime cinese anche l’intensificazione della persecuzione dei musulmani uiguri, una minoranza cinese turcofona, ormai sistematicamente vittima della capillare repressione delle autorità comuniste, le quali starebbero perpetrando secondo alcuni un vero e proprio “genocidio demografico” nei loro confronti.
Conclusione Gli obiettivi delle repressioni statali e degli attacchi terroristici registrati negli ultimi anni, ha ricordato Papa Francesco, «sono spesso proprio i luoghi di culto, in cui sono raccolti fedeli in preghiera. A tale riguardo, vorrei sottolineare che la protezione dei luoghi di culto è una conseguenza diretta della difesa della libertà di pensiero, di coscienza e di religione ed è un dovere per le Autorità civili, indipendentemente dal colore politico e dall’appartenenza religiosa» (21).
Applicando questo importante principio ribadito dal Santo Padre all’attuale situazione politica italiana, ci chiediamo se nella doverosa difesa della libertà di pensiero, di coscienza e di religione non debba rientrare anche il rigetto del disegno di legge Zan contro la c.d. omotransfobia. Questo ddl, che deve il suo nome al deputato del Pd Alessandro Zan, già dirigente di una importante organizzazione omosessualista, prevede infatti aggravanti specifiche per i “crimini d’odio” e per le“discriminazioni contro omosessuali” ma, in realtà, interdice l’espressione di semplici opinioni o comportamenti conformi al diritto naturale o alla Bibbia in materia di sessualità o relazioni familiari.
Come affermato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI), tale disegno di legge, che è già stato approvato alla Camera dei deputati nel novembre 2020,qualora in vigore, comporterebbe nuove discriminazioni verso coloro che non si allineano al Pensiero Unico. In sostanza, con l’obiettivo di porre rimedio a delle ingiustizie, quali sono indubbiamente le discriminazioni violente e/o ingiuste contro le persone Lgbt, se ne innescherebbero di nuove e altrettanto odiose anche per soli presunti autori di “reati di opinione”. Una situazione peraltro paradossale se, nel nostro Paese, come noto non si esiste alcuna “emergenza omofobia” (22).
Solo per un esempio di effetti perversi e corto-circuiti di normative già in vigore in altre nazioni e simili in tutto e per tutto a quelle previste nel Ddl Zan, basterebbe citare la vicenda incredibile del cardinale Fernando Sebastián Aguilar (1929-2019) in Spagna. Il 6 febbraio 2014, infatti, l’allora arcivescovo emerito di Pamplona è stato iscritto nel registro degli indagati in virtù della legge sull’omofobia vigente nello Stato spagnolo, la cui pena prevede anche il carcere.
Il cardinale, che è stato amico personale di Papa Francesco che alla sua morte lo ha ricordato per «gli abbondanti frutti del suo servizio alla Chiesa in Spagna, tanto in seno alla Conferenza episcopale come nelle varie diocesi di Leon, Granada, Pamplona y Tudela, Malaga y Logrono, così come per il fecondo lavoro di docente e rettore presso la Pontificia università di Salamanca» (23), aveva dichiarato in un’intervista che «l’omosessualità è una forma sbagliata di esprimere la propria sessualità», poiché «il sesso ha una struttura data e un obbiettivo preciso: la procreazione».
Se Aguilar non ha varcato le carceri spagnole, con tutta probabilità è solo perché con la sua morte il processo penale si è estinto. Dovrà succedere anche altrove?
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Note
1) Caroline Klaff, La democrazia dopo la pandemia: cinque sfide per gli anni Venti, Affari internazionali, 25 settembre 2020.
2) Papa Francesco, Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Città del Vaticano, Aula della Benedizione, 8 febbraio 2021.
3) Per il futuro, quindi, affermano giustamente Célia Belin e Giovanna De Maio, «le democrazie dovranno investire di più in nuove e sicure modalità di voto per incoraggiare partecipazione politica e affluenza» (cit. in C. Klaff, La democrazia dopo la pandemia: cinque sfide per gli anni Venti, art. cit.).
4) «Per il futuro, le democrazie dovranno fare in modo di integrare i consigli degli esperti lasciando alla politica le responsabilità delle decisioni» (cit. in Ibidem).
5) «Senza un focus su questi temi e soprattutto senza un impegno più profondo verso la partecipazione dei cittadini e nella vita democratica queste istanze potrebbero riproporsi nel breve periodo con posizioni ancor più radicali» (cit. in Ibidem).
6) C. Klaff, La democrazia dopo la pandemia: cinque sfide per gli anni Venti, art. cit.7) Papa Francesco, Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, cit. Nella medesima circostanza il Santo Padre ha aggiunto: «Gli avvenimenti che, pur in modi e in contesti diversi, hanno caratterizzato l’ultimo anno da oriente a occidente anche in Paesi di lunga tradizione democratica, dicono quanto sia ineludibile questa sfida e come non ci si possa esimere dall’obbligo morale e sociale di affrontarla con atteggiamento positivo. Lo sviluppo di una coscienza democratica esige che si superino i personalismi e prevalga il rispetto dello stato di diritto. Il diritto è infatti il presupposto indispensabile per l’esercizio di ogni potere e deve essere garantito dagli organi preposti indipendentemente dagli interessi politici dominanti» (Ibidem).
8) Bernardo Cervellera, Il mondo cerca la speranza della resurrezione, AsiaNews, 6 aprile 2021.
) Papa Francesco, Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, cit.
10) «Nel settembre 2006 l’allora vice di Bin Laden e numero due di al-Qaeda, l’egiziano Ayman al-Zawahiri, dichiarava l’alleanza ufficiale tra il GSPC e al Qaeda e nel 2007 l’organizzazione cambiava ufficialmente nome in al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM)» [ISPI-Istituto per gli Studi Politica Internazionale (a cura di), Il nuovo Jihadismo in Nord Africa e nel Sahel, n. 75 – maggio 2013, p. 13].
11) Tale “alleanza” ha prodotto un effetto demoltiplicatore nel processo di costruzione di una “rete islamista” nell’intera area, «grazie ai collegamenti di AQIM con organizzazioni terroristiche emergenti come Boko Haram in Nigeria» [ISPI (a cura di), Il nuovo Jihadismo in Nord Africa e nel Sahel, cit., p. 10].
12) Cfr. ISPI (a cura di), Il nuovo Jihadismo in Nord Africa e nel Sahel, cit., cap. 3: I gruppi islamisti in Mali (pp. 20-24).
13) Papa Francesco, Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, cit.
14) Cit. in America Latina e Caraibi: crisi senza precedenti nell’istruzione, L’Osservatore Romano, 2 aprile 2021, p. II.
15) Si tratta di un alcaloide stimolante che provoca varie gravi forme di dipendenza.
16) Alicia Lopes Araújo, Bambini non soldati, L’Osservatore Romano, 2 aprile 2021, p. II.
17) B. Cervellera, Il mondo cerca la speranza della resurrezione, art. cit.
18) Cit. in In aumento i cattolici che seguono le messe online a causa della pandemia: la Chiesa prende atto ma prepara il ritorno in presenza, Agenzia Fides, 16 aprile 2021.
19) Papa Francesco, Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, cit.
20) Ibidem.
21) Ibidem.
22) Cfr. Comunicato della Presidenza della CEI, Omofobia, non serve una nuova legge, Roma 10 giugno 2020.
23) Cit. in Dolore del Papaper la mortedel cardinaleSebastián Aguilar, L’Osservatore Romano, 27 gennaio 2019, p. 9.