Papa Francesco “profeta” di Roma

papa_udienzaIl Corriere del Sud n. 4, anno XXIV –

20 maggio 2016

Bergoglio e il perdono per «gli scandali che ci sono stati recentemente sia a Roma che in Vaticano»

di Giuseppe Brienza

«Prima di iniziare la catechesi, in nome della Chiesa voglio chiedervi perdono per gli scandali che ci sono stati recentemente sia a Roma che in Vaticano. Vi chiedo perdono».

Questa è la frase di Papa Francesco che ha destato non poco clamore, pronunciata durante l’udienza generale del 14 ottobre 2015. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, in un successivo briefing, ha spiegato che le parole del Pontefice riguardavano «uomini di Chiesa» e la «vita cittadina». «Il Papa – ha aggiunto il gesuita – ha ascoltato la lettura della Bibbia che parlava degli scandali. Se usa un’espressione di carattere generale non è compito mio farla diventare più ristretta o larga di quel che ha voluto dire, non ho quindi precisazioni da dare».

«Il Papa – ha concluso Lombardi – si rende conto che ci sono persone semplici, tanti che vengono alle udienze, turbate o addolorate per notizie che si leggono, e quindi per quanto c’è la responsabilità della Chiesa, di uomini di Chiesa, chiede perdono che ci sia non solo la positività e l’educazione ma esempi negativi o cose che turbano». Tra questi «esempi negativi» hanno destato particolare rigetto negli ultimi mesi il caso del teologo Krzysztof Charamsa, officiale dell’ex Sant’Uffizio che ha dichiarato di essere omosessuale e di avere un “compagno” (poi mostrato nel corso di una conferenza stampa) e la vicenda in cui è rimasto coinvolto don Gino Flaim, un sacerdote della diocesi di Trento che, intervistato da una televisione, è sembrato con alcune sue dichiarazioni giustificare la pedofilia.

In effetti la catechesi del Papa in cui ha chiesto perdono era proprio dedicata ai bambini. Partita dalla frase di Gesù «È inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo», ha visto Bergoglio che, visibilmente commosso, ha aggiunto: «La parola di Gesù è forte. Guai al mondo per gli scandali!». È stato a questo punto che il Papa ha inserito la sua richiesta di perdono a nome della Chiesa per gli «scandali» di «questi ultimi tempi» a Roma e in Vaticano. Qualcuno gli ha contestato di non esser stato esplicito. In realtà, Bergoglio avrà pure parlato poco in proposito degli scandali nella Chiesa ma, almeno nei due casi sopra citati, i fatti non sono certo mancati. Spieghiamo perché.

Per quanto riguarda Krzysztof Olaf Charamsa, 43 anni, «sacerdote lontano dallo standard bergogliano, più avvezzo a frequentare aule universitarie e biblioteche che non parrocchie e fedeli» (Giovanni Bucchi, Chi è Charamsa, il teologo gay del Vaticano. Idee, tesi e curiosità, in Formiche.net, 3 ottobre 2015), il Papa gli ha revocato in quattro e quattr’otto tutti gli incarichi fino allora ricoperti, tanto alla Congregazione per la Dottrina della Fede quanto nelle Università pontificie con le quali collaborava.

Nel secondo caso, che ha visto protagonista don Gino Flaim, 75 anni, collaboratore pastorale della parrocchia di San Giuseppe e San Pio X di Trento, neanche due ore dopo l’“intervista maledetta”, andata in onda a su La7 durante la trasmissione “L’aria che tira”, la diocesi di Trento, dalla quale dipende il sacerdote, ha pubblicato un duro comunicato stampa nel quale «si dissocia pienamente dalle dichiarazioni rilasciate da un anziano prete diocesano».

Nell’intervista aveva detto: «La pedofilia posso capirla, l’omosessualità non lo so». Parole incredibili che hanno lasciato interdetti tutti gli ospiti dello studio dell’emittente privata. «Io sono stato tanto a scuola – ha continuato imperterrito don Flaim – e conosco i bambini. Purtroppo ci sono bimbi che cercano affetto perché non lo hanno in casa e quindi alcuni preti possono anche cedere». Chissà cosa ne hanno pensato i genitori dei bambini rimasti vittime dei pederasti.

Il sacerdote, aggiunge la Nota della Curia trentina, «ha espresso argomentazioni che non rappresentano in alcun modo la posizione dell’Arcidiocesi di Trento e il sentire dell’intera comunità ecclesiale». Per questo l’arcivescovo Luigi Bressan ne ha disposto immediatamente la revoca dall’incarico di collaboratore pastorale e ne ha bloccato la «facoltà di predicazione». È stato in persona Vescovo di Trento a comunicarglielo durante un lungo colloquio nel quale gli ha anche intimato di evitare ogni contatto con i giornalisti (proibita pure la posta elettronica) e di silenziare qualsiasi tipo di intervento su Facebook ed ogni altro social network. Si tratta di un provvedimento molto pesante che, almeno per quanto riguarda il Trentino, «è senza precedenti» (Andrea Selva, Il vescovo ordina: via dalla canonica, in Trentino-Corriere delle Alpi, 8 ottobre 2015)

Per molto tempo dopo il “fattaccio” don Flaim è rimasto chiuso nella sua abitazione al primo piano della canonica di San Giuseppe, l’ultima delle tante parrocchie in cui è stato nelle valli del Trentino, in quasi totale isolamento con tapparelle abbassate e tende tirate. L’ha pagata cara ma, intervistato dopo la bufera mediatica, si è in parte “redento” dichiarandosi «pienamente d’accordo con quanto ha detto Papa Francesco, sulla sua condanna verso certi atti. Lo sa che in una parrocchia avevamo problemi a organizzare il campeggio perché c’era un educatore che voleva solo stare vicino ai bambini? Ma io non l’ho accettato» (cit. Andrea Selva, Don Gino Flaim: “Mi cacciano? Andrò a dire messa al bar”, in La Repubblica, 7 ottobre 2015).

Secondo Ettore Zini, che ora è un giornalista de “Il Trentino” e ha lavorato direttamente con don Flaim negli anni Ottanta quando il sacerdote mise in piedi un’emittente locale, «tra tutti i difetti di don Gino certo non c’è quello di insidiare i bambini, atteggiamento che gli è assolutamente estraneo. È stato tradito forse dalla voglia di mettersi in mostra e dall’orgoglio che gli ha impedito di fare marcia indietro» (Andrea Selva, Le reazioni nelle sue ex parrocchie: «Soffriamo con lui», in Trentino-Corriere delle Alpi, 9 ottobre 2015).

Per questo forse la condanna di Papa Francesco è stata solo generica e indiretta per quanto riguarda gli «uomini di Chiesa». Diverso il discorso per le parole del Pontefice rivolte a chiedere perdono per gli scandali nella «vita cittadina». Sei giorni prima dell’Udienza, infatti, l’8 ottobre 2015, l’allora sindaco di Roma Ignazio Marino (Pd) aveva annunciato le sue dimissioni, formalizzate il 12 ottobre successivo, a seguito della sua iscrizione nel registro degli indagati dalla Procura di Roma per irregolarità in alcuni pagamenti a suoi collaboratori effettuati da “Imagine”, una onlus da lui fondata nel 2005.

Prima, come noto, diversi esponenti della giunta di centro-sinistra erano stati indagati per lo scandalo “Mafia Capitale”. Il 29 ottobre 2015, incuranti delle parole di costernazione del Papa, un drappello di sostenitori di Marino organizzano un sit-in in Piazza del Campidoglio, non si sa quanto indotto o finanziato dall’ormai dimesso Sindaco, per chiedergli di ritirare le dimissioni. Marino, naturalmente, non se lo fa ripetere e, senza vergogna, ritorna sindaco seppur per brevissimo tempo perché, alla fine, viene costretto a ritirarsi da un voto plebiscitario del Consiglio comunale capitolino. Per questa pantomima Roma Capitale è costretta a indire elezioni anticipate per il 5 giugno 2016, ben due anni prima di quella che sarebbe stata la scadenza naturale del mandato dell’amministrazione. Da allora, 8 mesi di commissariamento da parte del commissario Francesco Paolo Tronca. Incuranti di tanto scandalo, i vertici del partito di Marino, il Pd, non trovano di meglio che presentare come possibili assessori del candidato Roberto Giachetti tre nomi che erano già presenti nelle fallimentari giunte di Ignazio Marino, fra i quali uno addirittura annunciato, se vincesse la sinistra, al ruolo di assessore al bilancio.

Forse per questo Papa Francesco, da quella memorabile Udienza generale del 14 ottobre del 2015, è tornato più volte a parlare di Roma e del suo destino, civile e religioso. Innanzitutto aprendo il 16 dicembre scorso la Porta Santa nella Cattedrale della Città Eterna, la Basilica di San Giovanni in Laterano. In tale occasione, infatti, Bergoglio ha fra l’altro pregato così: «Roma, ecco, è il segno visibile della comunione universale. Possa questa comunione ecclesiale diventare sempre più intensa, perché la Chiesa sia nel mondo il segno vivo dell’amore e della misericordia del Padre» (Papa Francesco, Segno del giubileo. Udienza generale, in L’Osservatore Romano, 17 dicembre 2015, p. 1).

 Fra gli ultimi interventi, invece, annunciando la convocazione a Roma della Conferenza Internazionale “Lo sviluppo sostenibile e le forme più vulnerabili di lavoro”, il Pontefice ha invocato «che l’evento possa sensibilizzare le autorità, le istituzioni politiche ed economiche e la società civile, affinché si promuova un modello di sviluppo che tenga conto della dignità umana» (Catechesi del Papa al Regina Coeli, in agenzia Zenit, 1° maggio 2016).

Può sembrare un paradosso ma, proprio quel mondo occidentale che ha rigettato le sue radici cristiane, in questo periodo di crisi politica ed economica, ha bisogno che la città culla della civiltà possa rinascere e fare da guida e da esempio per la ricostruzione di un nuovo modello di sviluppo umano e socialmente sostenibile. Quello che in Europa e negli Stati Uniti sta prestando il fianco al terrorismo ed è immerso nella cultura della morte e nell’inverno demografico, infatti, mostra sempre più il suo volto contraddittorio e fluttuante. Quanto potrà durare?

Anche per le sue parole e la sua premura per la sua diocesi e Città Eterna, Papa Francesco meriterebbe l’appellativo di “profeta” di Roma.