Consideriamolo per quello che è e chiediamoci se la 194 è applicata nello spirito e nella lettera
Francesco Agnoli
Oggi, ad esempio, nessuno più argomenterebbe a favore dell’aborto con lo spauracchio della sovrappopolazione, utilizzato all’epoca da Loris Fortuna, promotore della legge, e da Aurelio Peccei, fondatore dell’influentissimo“Club di Roma”. Il primo, infatti, affermava: “7 miliardi gli individui che nel 2000 popoleranno la terra… ipotizzabile, come evento futuro, ma non incerto, la catastrofe”. Il secondo, dal canto suo, scriveva: “Cos’è l’Homo Sapiens? Il capolavoro della natura o un refuso sfuggito al controllo della selezione immediata?
Salvo gli insetti, sono rare le specie che si moltiplicano in modo così selvaggio e cieco; una proliferazione che non si può definire che cancerosa” (“Cento pagine per l’avvenire”, Mondadori). Argomentazioni come queste, in un paese che vive il dramma umano ed economico della denatalità, non sono più credibili.
Il panorama è mutato anche dal punto di vista scientifico: è un po’ arduo, oggi, definire il feto come “grumo di sangue”, “brufolo”, “parassita a bordo”, o con espressioni analoghe.
E neppure è più lecito rimanere sul piano astrattamente filosofico, come voleva in quegli anni l’Unità: “Il problema dell’aborto dovrebbe essere discusso in ambito squisitamente etico-morale e non attraverso considerazioni di natura biologica” (25/2/’77).
Tecniche moderne, come la nuova ecografia tridimensionale, permettono infatti di osservare“espressioni e comportamenti”, “sorrisi e sbadigli” di un feto di tre mesi(Corriere della Sera, 29/6/2005).
E’ dunque evidente che l’aborto è l’eliminazione di una vita umana già perfettamente formata: senza giri di parole, un omicidio, come ammetteva Natalia Ginzburg. Questo per dare alle cose il loro nome: anche chi è favorevole alla legalizzazione dell’aborto deve partire da qui per valutare attentamente e scrupolosamente quali siano le condizioni in cui permetterlo.
Leggere con attenzione i dati
Dobbiamo allora, anzitutto, chiederci: funziona bene una legge che da circa dieci anni vede il numero degli aborti sempre costante, senza sostanziali diminuzioni? Non credo, se consideriamo che in realtà il tasso annuale di aborti non cresce non per merito della legge, ma per altri motivi: è diminuita la fertilità generale; sono diminuite le coppie in età fertile; è aumentato enormemente il numero degli aborti farmacologici; cresce di continuo, secondo stime attendibili, il numero di bambini abbandonati per strada o nei cassonetti dopo il parto; aumentano i bambini salvati dall’aborto dai Centri di aiuto alla Vita (circa 9.000 all’anno), spesso ignorati o addirittura ostacolati per motivi ideologici; permangono gli abortifici clandestini, non adeguatamente perseguiti dalla 194; aumenta, infine, il numero di aborti in rapporto ai bambini nati vivi.
Che fare, allora? E’ evidente che bisogna, almeno, applicare la legge con più serietà, ad esempio laddove afferma, all’articolo 1, che occorre “evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”. Sappiamo invece che questo non sempre succede: “Trentamila donne all’anno che riabortiscono. Due, tre, fino a sei volte… nel 2002 gli aborti ripetuti sono stati il 24,2 per cento del totale… Il 17 per cento circa delle donne sono alla seconda esperienza, il 4,7 alla terza, l’1,5 alla quarta, lo 0,8 alla quinta o più” (Corriere della Sera, 11/8/2004). Come evitare il più possibile questi drammi spaventosi, come pure la tendenza sempre più diffusa ad eliminare i figli con qualche difetto, magari solo un labbro leporino o le dita dei piedi attaccate?
Senza dubbio con una battaglia culturale.
Riportando cioè l’attenzione sul soggetto- figlio, combattendo i folli sogni dell’eugenetica, come pure il concetto di figlio come prodotto, che può essere eliminato, o assemblato, a seconda del capriccio. E poi, certamente, applicando ogni forma di sostegno alla maternità, a partire da una riforma di quegli stessi consultori contemplati nella194: aprendoli anche ai gruppi di volontariato disposti a farsi carico di un aiuto concreto, e al personale obiettore, che costituisce la maggioranza in Italia, affinché la donna non trovi più sul suo cammino, come succede spesso, solo pasdaran dell’Ivg come diritto, o annoiati compilatori di certificati.