Il Borghese n. 3 marzo 2021 Pasolini contro il Potere
Le contraddizioni della sinistra
di Giuseppe Brienza
Il 5 marzo di un secolo fa nacque a Bologna Pier Paolo Pasolini (1922-1975). In questo periodo di “liquefazione” della sinistra ma anche di centenario del Partito comunista italiano, abbiamo pensato di chiedere allo storico Andrea Rossi (il suo ultimo libro è La fine di tutto 15 aprile-15 maggio 1945: una guida agli ultimi giorni dei collaborazionismi europei, D’Ettoris Editori, Crotone 2020) di presentarci alcuni aspetti del rapporto fra lo scrittore “cattolico e marxista” e il PCI.
D. In alcuni articoli che hai recentemente pubblicato hai scritto che Pier Paolo Pasolini fu comunista, ma di una “fede” tutt’altro che compatibile con quella ufficiale del PCI. Ci puoi spiegare in che senso?
R. Il comunismo di Pasolini era tutt’altro che compatibile con quello gerarchico e rigido dello stalinismo ufficiale; Togliatti finché fu in vita, ebbe disistima per Pasolini e per il suo lavoro, che non corrispondeva alle direttive ufficiali del PCI. Per lo scrittore fu una terribile sofferenza il non vedersi riconosciuto e stimato come avrebbe dovuto. Era insomma comunista “in ogni altro modo”, pur non mettendosi mai esplicitamente contro il partito di Via delle Botteghe Oscure.
D. Ad aumentare il suo isolamento all’interno del Partito comunista italiano, prima della sua posizione contro l’aborto, vi fu nel 1968 il duro commento di Pasolini sugli scontri avvenuti a Roma fra polizia e studenti universitari. Puoi sintetizzare la vicenda e commentarcela?
R. Pasolini intravide negli scontri di Valle Giulia uno scampolo di lotta di classe fra fazioni inverse: i giovani contestatari, rivoluzionari e comunisti erano la borghesia (la buona borghesia romana, l’unica che si poteva permettere, all’epoca, l’iscrizione all’università dei figli), e i proletari, gli umili e gli sfruttati erano i poliziotti, coetanei dei ventenni che occupavano le facoltà, ma provenienti da famiglie povere, spesso del Mezzogiorno, che avevano trovato come unica via del loro riscatto umano e sociale la carriera nelle forze dell’ordine. una contraddizione destinata a protrarsi per tutti gli anni Settanta.
D. Sempre sul Pasolini intellettuale contro-corrente, ti chiederei due parole sulla sua opera di regista cinematografico, in particolare del film-capolavoro il “Vangelo Secondo Matteo”…
R. Il cinema di Pasolini fu un complesso capitolo della vita dell’intellettuale. Il tratto umano di tutte le sue opere, che ebbero il loro apogeo nel “Vangelo secondo Matteo” (ma non vanno trascurati anche “Mamma Roma” o “Uccellacci e uccellini” è l’empatia per le classi più disagiate: i contadini del mezzogiorno, utilizzati come comparse nel “Vangelo”, i coatti delle periferie romane di “Mamma Roma”, tutti osservati con occhio di amorevole compassione, e assieme di comprensione. E’ anche assieme uno sguardo su un mondo destinato a scomparire, divorato dalla società dei consumi, quella che aveva “spento le lucciole” nelle notti di primavera, come ebbe a dire successivamente.