La Croce quotidiano 9 marzo 2015
di Francesco Agnoli
21 marzo, giornata mondiale sulla sindrome di down. Impossibile non ricordare il servo di Dio e padre della citogenetica Jérôme Lejeune. Questo gigante della medicina e della scienza, cui l’editore Cantagalli ha dedicato ben 4 libri (due biografie e due raccolte di suoi scritti), era un grande ammiratore di Pasteur, il massimo scienziato francese dell’Ottocento, padre della microbiologia, fervente cattolico in epoca di trionfo della filosofia materialista, scopritore, tra l’altro, del vaccino antirabbico che salvò la vita di tante persone. La medicina, affermava Lejeune, richiamandosi all’illustre collega, non può che fondarsi sulla cura, e rinnegare il principio per cui è bene “eliminare il paziente, per sradicare il male”.
Ventun anni dopo la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, scriveva nel suo Il messaggio della vita, “un filosofo fece una proposta di legge per chiedere che ‘fosse finalmente proibito di asfissiare o comunque far morire dissanguati i malati di rabbia’. Questa proposta di legge non fu nemmeno discussa. Fu rimandata allo studio di una commissione, poi tutto finì in un cassetto e non se ne parlò più. Dodici anni dopo nacque un bambino di nome Louis Pasteur. La sua vita fu proprio la dimostrazione che a liberare l’umanità dalla rabbia e dalla peste non furono quelli che asfissiavano i malati di rabbia tra due materassi, o che bruciavano gli appestati nelle loro case, bensì quelli che hanno combattuto la malattia e rispettato il paziente”.
La storia racconta che il primo bambino guarito dalla rabbia grazie a Pasteur, Joseph Meister, diventò custode dell’Istituto Pasteur di Parigi. “Quando i tedeschi nel corso della seconda guerra mondiale- rammenta un biografo del celebre scienziato- invasero Parigi e, entrati nell’Istituto, volevano profanare la tomba del maestro, Meister si oppose con tutte le sue forze. Poiché non riuscì nell’intento si chiuse in una stanza e pose fine alla propria vita”.
Forse Meister non sapeva quanto il suo amato Pasteur avesse lottato, anche nei suoi discorsi più filosofici e teologici, contro le concezioni materialiste e scientiste dell’uomo, che lo riducono a nulla, e privano quindi tutti, ma i malati in particolare, della loro dignità. Forse però sapeva che i nazisti profanatori avevano per primi imposto l’uccisione dei bambini malati, con l’aborto e l’eutanasia, proclamando la possibilità di sconfiggere i mali fisici dell’umanità eliminando i malati e non le malattie.
Molti anni dopo questi fatti, nel 1994, Lejeune, l’uomo che ha dedicato tutta la sua vita a cercare la causa della sindrome di Down, con successo, e la cura per essa, senza risultati, viene ricordato in un solenne funerale, durante il quale accade un fatto eclatante: un ragazzo down, Bruno, “con la sicurezza di un predicatore quaresimale, si impadronisce del microfono durante le esequie di Jerome Lejeune a Notre Dame di Parigi.
Senza timore, in una cattedrale affollata, improvvisa un panegirico che termina con queste parole: ‘Grazie, mio caro professor Lejeune di quello che hai fatto per mio padre e per mia madre. Grazie a te, sono fiero di me…’. Nessun altro oltre a Bruno avrebbe potuto dire parole simili. Più tardi veniamo a sapere che egli è il bambino il cui esame dei cromosomi, trentacinque anni prima, ha permesso a Lejeune di scoprire la trisomia 21” (Jean-Marie Le Méné, Il professor Lejeune, fondatore della genetica moderna, Cantagalli, Siena, 2008, p. 178).
Cosa ci dicono questi due episodi, e questi due grandi medici, Pasteur e Lejeune?Possono aiutarci a capire quanto si sia lontani, oggi, non solo dall’umanità, ma anche dalla grande scienza, quando i bambini nell’utero materno vengono sottoposti a mille esami invasivi, e talora pericolosi, per testarne la salute, e per decretarne, se malati, la morte. Oggi, nel 2015, vi sono medici che sanno curare, in utero, malattie gravissime, come la spina bifida, e altri, come i medici olandesi, che praticano, per la stessa malattia, l’eutanasia infantile. I primi sono spesso ostracizzati e senza fondi per proseguire le loro ricerche, i secondi sono indicati da un certo mondo benpensante come persone compassionevoli e all’avanguardia.
Chiediamoci dove stiano la vera civiltà e la vera scienza