In attesa di vincere la guerra per l’abrogazione della 194 niente più interventi a carico del SSN. Chi abortisce paga, e si salvano delle vite.
di Pietro Licciardi
Tre anni fa il laico e darwinista Piero Angela, ha scritto un libro: Perché dobbiamo fare più figli, col quale in sostanza smentiva tutto quanto fino ad allora detto sui supposti pericoli della “bomba” demografica e della sovrappopolazione mondiale; ma, come era prevedibile, è passato sotto silenzio.
Poi è arrivata la crisi economica mondiale e qualche economista, ma sottovoce e senza urtare la suscettibilità delle potenti lobby malthusiane, ha cominciato a ventilare l’ipotesi che potremmo non riprenderci tanto presto dall’attuale tracollo globale poiché sempre meno giovani entreranno nel ciclo produttivo e dei consumi; mentre il numero crescente degli anziani, bisognosi di cure mediche e di assistenza, farà sicuramente aumentare la spesa pubblica.
Insomma, il calo demografico generalizzato non porta più benessere e non salva i paesi sottosviluppati dalla fame, come peraltro continuano a dire i “guru” ambientalisti, ma al contrario sono proprio i paesi che hanno avuto un boom delle nascite nei decenni precedenti a registrare oggi la maggiore crescita economica, come Cina e India; mentre la vecchia e stanca Europa sta già confrontandosi con i guai procurati da un debito pubblico sempre più fuori controllo dove, almeno per quanto riguarda l’Italia, le voci che “pesano” maggiormente sono proprio quelle della spesa sanitaria e della previdenza.
Nel 1970, il deficit pubblico nel nostro paese era al 5,5 per cento del prodotto interno lordo; nel 1980 si è arrivati all’11 per cento; nel 1985 addirittura al 17,7 per cento, con l’astronomico debito di oltre 121.000 miliardi. Da allora, il trend è proseguito fino ad arrivare all’attuale 103,7 per cento, a “rischio bancarotta” come ci informano in questi giorni televisioni e giornali.
Uno dei pochi che lo sta dicendo chiaro e tondo ogni volta che gli si presenta l’occasione è Ettore Gotti Tedeschi, attuale presidente dello Ior Vaticano. Secondo questo economista se la popolazione non aumenta per un lungo periodo si modifica la struttura sociale: cresce il numero degli anziani che escono dal ciclo della produzione e diminuiscono i giovani, ovvero coloro che producono ricchezza con il lavoro e i consumi, che a loro volta generano nuove imprese o garantiscono la sopravvivenza di quelle esistenti.
Il ribaltamento del rapporto tra giovani e anziani sta mettendo in crisi l’attuale sistema statalista di welfare rendendolo non più sostenibile, al punto che Gotti Tedeschi giunge ad affermare: “Più anziani, più spesa pubblica e quindi più tasse”. Infatti, a suo dire, in Italia, il peso delle imposte sul Pil in trentacinque anni sarebbe più che raddoppiato
I demografi ci stanno avvertendo: ormai l’Europa, e in particolare l’Italia, rischiano di non avere più un futuro avendo decisamente imboccato la via del suicidio etnico e culturale. Negli ultimi 25 anni infatti nella Ue il tasso di fertilità è calato di circa tre volte, passando da 2,7 a 1,2 figli per donna. E’ invece aumentata l’età della prima gravidanza (30-35 anni) e quella delle mamme che accedono alla fecondazione assistita (38 anni). In continua crescita il numero delle mamme over40: nel 2008 i bambini nati dalle ultraquarantenni erano il 6% contro il 2% del 1995. In Gran Bretagna è raddoppiato negli ultimi 10 anni e triplicato nell’ultimo ventennio.
Il guaio è che questa drammatica mancanza di figli è frutto di una cultura che dal dopoguerra a oggi ha fatto ampiamente breccia tra i ceti popolari, soprattutto grazie al potere di persuasione e condizionamento della Tv, che ha riversato in tutte le case una cultura antinatalista. Cultura che ha avuto anche un notevole supporto tecnico-scientifico con la massiccia diffusione di strumenti anticoncezionali sempre più sofisticati e infallibili.
Dal “cappuccio” di lattice, un po’ rozzo e soggetto a rotture, si è passati alla pillola, una sorta di castrazione chimica assai gettonata nonostante il “trascurabile” inconveniente di un consistente rischio tumori alla cervice uterina e al seno, come confermato da recenti studi. Ma la ricerca in questo campo prosegue senza sosta e la cosiddetta pillola del giorno dopo è già in vendita in farmacia, mentre sta per arrivare anche in Italia la “pillola dei cinque giorni dopo”. A quel punto sarà pronta la “soluzione finale”: eliminazione certa di ogni possibile gravidanza con un aborto domestico.
Comunque una pietra miliare in questa vera e propria guerra alla procreazione è stata la legalizzazione dell’aborto. Se prima qualche esserino umano riusciva a vedere la luce dopo aver superato il terreno minato della contraccezione, con l’”interruzione volontaria della gravidanza” non più. Dal 1978 a oggi, come ci ricorda l’Annuario statistico del Ministero della salute, solo in Italia sono stati cinque milioni i bambini uccisi, oltre centomila all’anno nell’ultimo decennio.
All’epoca del referendum che liberalizzò questa barbara forma di omicidio nel nostro Paese si disse che l’aborto “legale”avrebbe sconfitto la piaga di quello “clandestino”. In realtà quello che fino ad allora era stato un esecrando ma tutto sommato ancora circoscritto delitto, diventò nel volgere di qualche anno un fenomeno di massa.
Oltretutto con l’effetto di generalizzare quella clandestinità che si diceva di voler estirpare, dal momento che l’attuale legge 194 dà la possibilità a ciascuna donna di uccidere il proprio bambino all’insaputa del proprio partner, marito, fidanzato o convivente, e se minorenne, ottenuta l’autorizzazione del giudice tutelare, all’insaputa degli stessi genitori.
Per abortire ormai è sufficiente recarsi in una qualsiasi Asl con regolare certificato, sottoporsi ad un breve intervento, dopo il quale si può tornare a casa, magari in giornata.
Ovviamente tutto deve essere a spese della collettività, perché ormai l’omicidio è stato elevato al rango di “diritto”. Così chi va a farsi curare una qualsiasi malattia il più delle volte deve svenarsi di ticket sanitari, mentre l’aborto, che è la soppressione di una vita umana oltretutto compiuta in seguito ad una scelta assolutamente privata e individuale della donna, è gratuito.
Arriverà sicuramente il momento in cui l’aborto tornerà ad essere quello che realmente è: un reato contro la persona umana. Forse dovremmo aspettare l’islamizzazione delle nostre società, quando gli ulema manderanno a morte chiunque oserà sottrarre un figlio ad Allah e un muslim alla umma. Nel frattempo ben vengano tutte le iniziative che cercheranno di abrogare o almeno contenere una legislazione che in Europa ha un precedente nella Germania nazista e nell’Unione sovietica di Stalin.
Qualche dubbio sulla riuscita di tali benemeriti intenti è comunque lecito, poiché ormai sono relativamente pochi gli elettori che ancora sono certi dell’identità umana di quello che viene eufemisticamente chiamato “embrione”. Cosa sia veramente quel “grumo di cellule”, come ancora è chiamata quel minuscolo essere vivente fin dal momento del concepimento, lo sanno invece molto bene i ginecologi, gli anestesisti e il personale medico in generale; tanto che nella laicissima Gran Bretagna oltre il 60% dei ginecologi obietta all’aborto. Ma purtroppo non sono la maggioranza dell’elettorato.
Per questo è forse il caso di pensare ad una sorta di Piano B, che eviti lo scontro ideologico tra “valori” – ormai non più universalmente condivisi – e possa comunque porre le basi per un recupero del concetto di “diritto della persona”. Non deve infatti sfuggire – neppure ai laici – la pericolosa china sulla quale ci siamo avviati, quando ai diritti per così dire tradizionali, ovvero quelli riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, si è voluto affiancare o finanche sostituire altri “diritti” non più universali ma soggettivi. “Diritti” che ormai tendono a coincidere con i desideri individuali.
Ecco così il “diritto” alla “famiglia” omosessuale, e se quello fra gay è amore a tutti gli effetti, tanto da divenire oggetto di “diritto” come non riconoscere pari “diritto” all’amore incestuoso o all’amore pedofilo? Infatti, in Olanda, nel maggio 2006 è nato il Nvd, il partito pedofilo dell’amore del prossimo, della libertà e della diversità. Ma non dimentichiamo il “diritto” a drogarsi, a suicidarsi – l’eutanasia – e via elencando….
Insomma, la demolizione di tradizionali concetti e istituti giuridici fondamenti della comunità civile attraverso il riconoscimento legislativo di ogni desiderio e pulsione individuale, rischia di favorire una corsa verso la dissoluzione della convivenza sociale.
Dunque, ecco in cosa potrebbe consistere questo Piano B. L’aborto è considerato un diritto individuale della donna? La donna deve avere il diritto di decidere in autonomia della sua vita, evitando i “traumi” psicologici e materiali di una gravidanza indesiderata? Di questo diritto deve disporre solo ed esclusivamente la donna, libera di abortire in completa autonomia senza “illecite” ingerenze di mariti, fidanzati, partner e finanche genitori? Bene.
Ma se l’aborto è un “diritto” individuale, da esercitarsi in piena autonomia, perché scaricarne i costi sulla collettività? Peraltro quando la collettività ne riporta un grave danno, in quanto viene privata di energie nuove, giovani; di persone che nascendo avrebbero dovuto concorrere al benessere comune con le proprie doti fisiche, intellettuali, morali e spirituali?
Ogni aborto costa circa 5mila euro e in Italia lo scorso anno sono state effettuate 115.372 “interruzioni volontarie della gravidanza”. Ovvero un aggravio per il già disastrato servizio sanitario nazionale di oltre 576 milioni di euro, più di mille miliardi delle vecchie lire. Una cifra che potrebbe benissimo essere risparmiata in un momento in cui si invocano tagli alla spesa pubblica e un riaggiustamento del welfare.
Ci facciano un pensierino i nostri politici, specialmente i cattolici “adulti”, per i quali la mediazione viene prima di tutto anche prima della salvaguardia della vita innocente. Non è questa una buona base per “mediare”? Se non è possibile, allo stato, vietare l’aborto in nome degli intoccabili “diritti soggettivi” della donna; quantomeno ciò non gravi più sulla spesa pubblica. Potrebbe essere anche questo un modo per abbattere così la percentuale degli omicidi legali senza, per il momento, modificare l’infame legge 194.
Ma in questo modo si ricacciano nella clandestinità le donne che non possono pagarsi l’intervento, si obietterà. Si potrebbe però polemicamente controbattere che ogni anno, come ci ricordano le pagine di cronaca nera dei quotidiani, parecchie donne muoiono perché volendosi sottoporre a interventi di chirurgia estetica e non potendo pagare un chirurgo decente si rivolgono a degli incompetenti o addirittura a persone che esercitano clandestinamente questo tipo di interventi.
Dobbiamo allora avviare una campagna di “sensibilizzazione” per far emergere la chirurgia estetica dalla clandestinità regalando a spese del Servizio sanitario nazionale a tutte le donne che lo desiderano un intervento gratuito al seno o ai glutei?
Del resto avere un aspetto conforme ai canoni di bellezza correnti non può forse essere considerato anch’esso un diritto? Soprattutto in considerazione degli svantaggi che l’esserne privi procura in termini di benessere psicofisico e di opportunità anche lavorative.
Ma se la chirurgia estetica non è contemplata dal prontuario medico nazionale, perché deve esserlo l’aborto?