di Vittorio Messori
La vastità e la precisione della informazione di Sergio Romano, sui temi più vari, sono spesso ammirevoli, in ogni caso sempre meritevoli di lettura attenta. Tuttavia, come è logico, può capitare una svista, soprattutto nel campo intricato della storia ecclesiastica, dove inciampano anche studiosi cattolici.
Così, nella risposta a un lettore sul Corriere del 2 giugno, Romano scrive che il celibato per i sacerdoti cattolici sarebbe “diventato obbligatorio, quanto meno in teoria, col Concilio del 1139“. In realtà, in quell’anno si tenne il secondo Concilio Lateranense, il quale stabilì che eventuali matrimoni contratti da sacerdoti o anche da laici consacrati con voto di castità, non erano solamente illeciti ma anche invalidi.
Commenta il cardinal Alfons Stickler, storico di straordinaria erudizione, per una vita intera Bibliotecario e Archivista di Santa Romana Chiesa e autore di un’opera considerata definitiva: “Questa disposizione conciliare ha creato un convincimento ancor oggi diffuso: e, cioè, che il celibato ecclesiastico sarebbe stato introdotto soltanto allora. In realtà si è reso invalido ciò che da sempre era illecito. Dunque, questa sanzione è piuttosto una ennesima conferma di un obbligo esistente ab immemorabili“.
Stickler, defunto da pochi anni, inizia le sole settanta, ma fittissime, pagine del suo libro, (Il celibato ecclesiastico. Storia e fondamenti, Libreria Editrice Vaticana) precisando: “Siamo abituati a parlare di celibato, cioè di rinuncia al matrimonio da parte dei candidati al sacerdozio. In realtà, bisognerebbe usare il termine più ampio di continenza“. La continenza, cioè, da osservare non solo rinunciando al matrimonio, ma anche non usando di esso se già sposati. In effetti, nella Chiesa antica, la maggioranza del clero era composta di uomini maturi -i viri probati– che, col consenso della moglie, accedevano agli Ordini Sacri lasciando la famiglia, alle cui necessità materiali provvedeva la comunità dei credenti.
Ebbene, capita spesso di leggere, anche in autori seri, che l’obbligo di questo abbandono della consorte, con l’impegno conseguente della continenza perfetta, sarebbe stato deciso solo verso il 300 al Concilio, o meglio sinodo, di Elvira, in Spagna.
Altri, come Romano (lo abbiamo visto) datano quell’obbligo addirittura al 1139.
Ebbene, nel canone 33 degli atti di Elvira si legge: “I Padri sinodali sono d’accordo sul divieto completo, per tutti i chierici impegnati nel servizio dell’altare, di astenersi dalle loro mogli e non generare figli. Chi ha fatto questo deve essere escluso dallo stato clericale“. Commenta Stickler: “Non si tratta, come si vede, di una disposizione nuova. E’, invece, la reazione contro l’inosservanza di un obbligo tradizionale ben noto e al quale si unisce ora anche la sanzione“.
Che ad Elvira si sia ribadita soltanto l’ininterrotta Tradizione e non imposta una novità di straordinario peso, lo dimostrano anche gli Atti di altre moltissime assemblee di vescovi. A esempio, il Concilio di Cartagine (anno 390), dove all’unanimità si ribadì l’obbligo del celibato o della continenza “per custodire“ è scritto “ciò che hanno insegnato gli Apostoli e che tutto il passato ha sempre conservato“.
Alle decisioni conciliari è possibile aggiungere la testimonianza dei maggiori Padri della Chiesa, da Ambrogio a Girolamo, da Agostino a Gregorio Magno: tutti ribadiscono che la castità per i sacerdoti risale ai tempi apostolici, dunque agli inizi stessi del cristianesimo.
Ma, per passare ora alle Chiese orientali, soprattutto greco-slave, citiamo ancora il cardinal Stickler: “Di fronte a un atteggiamento ritenuto più liberale da parte di queste comunità, si è mosso il rimprovero alla Chiesa cattolica di essere divenuta troppo severa nella sua disciplina celibataria“.
In effetti, tra gli ortodossi solo i vescovi debbono preservare la verginità se, come avviene assai spesso, vengono dai monasteri o debbono vivere la continenza assoluta se erano già sposati.I preti “semplici“, i pope parrocchiali, possono usare del matrimonio, purché sia il primo e l’unico e sia stato contratto prima dell’ordinazione.
Ma in realtà, sino alla fine del VII secolo non fu affatto così e nella Chiesa indivisa valsero sia a Oriente che ad Occidente le stesse regole restrittive sul sesso, nella convinzione unanime che derivassero dalla Tradizione apostolica.
Il Concilio di Nicea, tra l’altro, nel 325 ribadì il divieto per tutti i chierici di tenere in casa donne che non fossero madri e sorelle ed è un falso la protesta isolata di un vescovo egiziano. Ma l’obbligo del celibato o della continenza esigeva un’autorità che esercitasse un controllo costante e rigoroso, cosa che all’Oriente spesso mancava. Di fronte, poi, al dilagare degli abusi, gli imperatori di Bisanzio, che si erano arrogata autorità nelle questioni ecclesiali, scelsero la via meno faticosa per il potere politico, tollerando e difendendo quegli abusi.
Stickler: “Mentre almeno per i vescovi si riuscì a mantenere l’antica tradizione restrittiva, l’abuso sempre più invalso del matrimonio tra il clero inferiore venne giudicato non più arrestabile“. Ci si arrese alla situazione di fatto nel secondo Concilio Trullano, convocato nel 691, non a caso nel palazzo imperiale di Costantinopoli. La Chiesa, impotente davanti al Basileus, scelse il male minore. Ma ancor oggi, in Oriente, non mancano autorevoli uomini di Chiesa che vorrebbero tornare indietro, alla situazione dei primi sette secoli e che la Catholica romana è riuscita a preservare.
Tra l’altro, è infondata la convinzione che l’abolizione del celibato aumenterebbe i candidati al sacerdozio: il matrimonio non ha impedito l’inarrestabile crisi numerica di pope ortodossi, pastori protestanti, rabbini ebraici. Né una moglie anche per i preti cattolici contrasterebbe gli abusi sessuali sui minori: in America (ma la situazione è analoga in Europa) oltre l’ottanta per cento dei casi denunciati riguarda casi di omosessualità. Non si vede a che potrebbe servire una sposa a un pederasta, seppur consacrato.