di Giovanni Cantoni
La scomparsa del grande filosofo del diritto e politologo brasiliano – di lui nel 1982 mons. Octavio Nicolás Derisi, arcivescovo titolare di Raso, allora, fra l’altro, vescovo-rettore dell’Universidad Católica Argentina Santa María de los Buenos Aires, parlava come di “[…] uno dei più eminenti filosofi del Diritto Naturale del Brasile e dell’Occidente” (2) – ha ovviamente rallentato il ritmo di lavoro fino ad allora tenuto, ma – anche grazie all’incoraggiamento e alla collaborazione della vedova dello studioso, donna Alexandra Chequer Galvão de Sousa – i lavori sono proseguiti e finalmente, sei anni dopo tale data, nel 1998, si sono conclusi con la realizzazione dell’impresa, cioè con la pubblicazione del Dicionário de Política, un volume di oltre cinquecento pagine edito a San Paolo da T. A. Queiroz (3).
Infatti d’impresa si può e si deve parlare. Non solo per la mole, ma – anzitutto, anche se non soprattutto – per l’intentio: “Nell’elaborare questo dizionario gli autori hanno avuto presente – scrivono in una sorta di dichiarazione d’intenti, che interpreto non solo come concludente, ma anche come conclusiva, perciò attribuisco a Lema Garcia e a Fraga Teixeira de Carvalho (4) – il significato di concetti fondamentali del linguaggio politico in prospettiva storica e filosofica”.
Quindi, a seguire, richiamano la nota tesi del conte Joseph de Maistre (1753-1821): “Della storia è stato detto che è la politica sperimentale”. Ma la storia non basta: così, dichiarando indispensabile accanto a essa l’apporto della filosofia, in filigrana fanno la loro comparsa Giambattista Vico (1668-1744) e Gonzague de Reynold (1880-1970): “Quanto alla filosofia – affermano infatti gli autori –, non se ne può prescindere, perché tali concetti hanno relazioni con posizioni dottrinali che, dal canto loro, presuppongono una concezione generale del mondo, dell’uomo e della società, una Weltanschauung, come dicono i tedeschi. Il che fa del sapere politico – secondo l’espressione di Aristotele [384-322 a.C.] – un sapere architettonico”.
Se è esplicita la volontà espositiva e illustrativa della verità di un aspetto rilevante della realtà umana, legato strutturalmente alla realtà e alla verità tutte, non è meno esplicito il proposito correttivo e chiarificatore della condizione storica dello stesso aspetto del reale: “Le ideologie e il gergo della propaganda politica – diffuso soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione di massa – hanno lasciato il campo a equivoci e a menzogne. Di fronte alla confusione che ne è derivata, s’impone uno sforzo di demistificazione e di chiarimento. Con tale proposito è stato elaborato questo dizionario”.
Infine viene indicato l’orientamento seguito per la realizzazione dell’impresa: “Per restituire alla politica la nobiltà che ha indotto Jean Bodin [1530-1596] ad attribuire a essa il titolo di “principessa delle scienze” è necessario comprenderla in quanto parte integrante del destino umano, ubbidiente alle esigenze superiori dell’etica. Solo così l’autentica prudenza politica tornerà a prevalere sulla politica trasformata in arte di fare lo sgambetto agli avversari e d’ingannare il prossimo nella prospettiva della conquista del potere”.
E da autentici contemplativi del reale, da chierici che non intendono tradire ma essere fedeli alla loro funzione di enunciatori del vero perché altri lo possa tradurre in pratica, in qualche modo realizzare – uno dei possibili significati del verum et factum convertuntur? -, gli autori richiamano correttamente i termini concettuali di tale funzione: “Se Carl Ludwig von Haller [1768-1854] ha preconizzato la restaurazione della scienza politica, bisogna preoccuparsi di una restaurazione del linguaggio politico, anche perché scienza è linguaggio ben costruito. “E questo libro è un tentativo di contribuire al raggiungimento di tale obiettivo”.
Ho già citato nominatim gli “audaci”, gli operatori del “tentativo” in questione, da rubricare secondo buona retorica fra le espressioni culturali dei “cristãos atrevimentos”, dei “cristiani ardimenti”, di cui canta Luís Vaz de Camões (1524?-1580) ne Os Lusíadas (5). Aggiungo qualche tratto relativamente a ciascuno di loro.
Del compianto Galvão de Sousa ricordo il prestigioso cursus accademico – da professore fondatore della Facoltà Paulista di Diritto a pro rettore della Pontificia Università Cattolica di San Paolo, dove ha insegnato anche Dottrina Generale dello Stato -, la produzione di numerosi volumi, l’impegno politico-culturale come fondatore e direttore del mensile Reconquista – la cui serie bilingue, pubblicata dal 1950 al 1952, lo vede condirettore per il Brasile accanto a Francisco Elías de Tejada y Spínola (1917-1978) per la Spagna e a Fernando de Aguiar per il Portogallo – e come presidente del comitato di redazione della rivista Hora Presente; di Lema Garcia segnalo l’insegnamento universitario – fra l’altro, come cattedratico di Dottrina Generale dello Stato nella stessa Pontificia Università Cattolica di San Paolo -, le numerose opere tecniche e non, e l’appartenenza all’Accademia Paulista di Diritto e all’Accademia Brasiliana di Scienze Morali e Politiche; finalmente, di Fraga Teixeira de Carvalho richiamo l’impegno come magistrato nel campo del Diritto Civile e come docente universitario nello stesso ambito e in quelli del Diritto Penale e del Diritto Romano, che insegna all’UNICID, l’Universidade Cidade de São Paulo, nonché le diverse pubblicazioni scientifiche.
Dunque, come appare chiaramente dai curricula degli autori oltre che dalle auctoritates citate nella dichiarazione d’intenti e nel corpo dell’opera – fra le quali mi piace citare Eric Voegelin (1901-1985) -, il Dicionário de Política costituisce espressione significativa di un pensiero politico occidentale – lo storico polacco Oscar Halecki (1891-1973) suggerisce “atlantico” o “euroamericano” (6), ma perché non grande-europeo, così comprendendo anche l’Australia e l’Africa Meridionale? – realistico, di matrice cattolica, situato geograficamente nell’area iberoamericana, però con legittime pretese se non all’esclusività, almeno a un primato, in quanto erede certo e diretto – tradizionale – di una cultura politica cattolica ininterrottamente elaborata e trasmessa a partire dalla seconda scolastica europea, quindi caratterizzata da minori influenze della terza scolastica – la cosiddetta neoscolastica – e dei suoi tratti talora razionalizzanti, per non dire semplicemente e polemicamente razionalistici. In altri termini – utilizzando una felice espressione del cattedratico argentino di filosofia del diritto Enrique Zuleta Puceiro, citato nel dizionario -, una cultura che non dimentica “tanto il significato tradizionale della ragione, quanto il significato razionale della tradizione” (7).
Concludo con qualche osservazione, che non va per certo interpretata secondo il noto in cauda venenum, né l’altrettanto noto last but not least, ma come annotazione all’interno di una valutazione molto positiva, di cui però l’amicizia e la riconoscenza per il magistero degli autori non è né la principale motivazione né tantomeno l’unica.
Se dal punto di vista dottrinale l’opera è ampiamente soddisfacente, mi permetto un rilievo dal punto di vista storico, peraltro ben consapevole dell’impossibilità in cui si sono per certo trovati gli autori di “accontentare tutti” anche nel dettaglio appunto storico. Tuttavia, per esempio, nonostante la presenza sull’argomento di passi a mio avviso non secondari di Galvão de Sousa – quali quelli contenuti nel quinto capitolo dell’Introdução à Historia do Direito Político Brasileiro, nella seconda edizione, del 1962 (8) -, trovo rigida o almeno non sufficientemente sfumata la classificazione sotto una stessa voce delle rivoluzioni inglese, americana e francese; e si tratta di una rigidità che si riflette nella non distinzione fra liberalismo alla francese e liberalismo anglosassone.
E fra i desiderata nella prospettiva di edizioni venture credo si situi un’elencazione più ricca delle voci implicite – perché non indicare che la voce contro-rivoluzione si “nasconde”, di fatto, in reazione? -, sull’esempio felice del Dizionario di politica, ben presente agli autori, curato da Norberto Bobbio, da Nicola Matteucci e da Gianfranco Pasquino per la UTET di Torino (9). Finalmente, segnalo quelle che mi sembrano lacune, cioè la mancanza delle voci proprietà, libertà religiosa e indipendenza.
Non argomento circa la portata di principio della prima voce assente, ma sottolineo tale portata anche – se non particolarmente – dopo l’implosione del sistema imperiale socialcomunista, quando a chi aveva esplicitamente di mira in tesi l’abolizione della proprietà esistente si è sostituito chi, ancor più radicalmente benché meno palesemente e per certo meno platealmente, tutto mette in opera per non permetterne la formazione in ipotesi.
Quanto alla voce libertà religiosa, la trovo indispensabile per far politica in un mondo, in Stati nei quali non vi è più popolo caratterizzato da omogeneità religiosa; e si tratta di una voce non certo sostituita, né altrettanto certamente sostituibile, da quella relativa ai rapporti fra Chiesa e Stato.
Circa la voce indipendenza, non solo la ritengo utile in assoluto a identificare la ratio dei processi di formazione dei diversi soggetti statuali, ma senza dubbio particolarmente puntuale in una stagione storica che vede la frammentazione di sistemi imperiali, e significativa nella trattazione di studiosi la cui cultura ha vissuto concretamente la problematica corrispondente in tempi non remoti, quindi racchiudente una tematica a proposito della quale – peraltro – ricordo per esempio felici suggerimenti proprio nell’opera citata di Galvão de Sousa (10) nonché in A Crise do Mundo Moderno, in cui il gesuita brasiliano Leonel Edgard Franca da Silveira (1893-1948), alla fine degli anni 1930, tratta dei rapporti dello Stato con le idee di popolo, di patria e di nazione (11).
* Articolo sostanzialmente anticipato, senza note e con il titolo redazionale Chiare parole politiche, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLVII, n. 223, 24-9-1998, p. 15.
Note
(1) Cfr. José Pedro Galvão de Sousa, in Cristianità, anno XXI, n. 213-214, gennaio-febbraio 1993, p. 10. Dell’autore, vedi in Cristianità, anno XX, L’idea di rappresentanza nel diritto, n. 204, aprile 1992, pp. 5-9; La rappresentanza della società politica/1, n. 205-206, maggio-giugno 1992, pp. 5-11; La rappresentanza della società politica/2, n. 207-208, luglio-agosto 1992, pp. 5-12; La rappresentanza politica nello Stato dei partiti e nella società di massa, n. 209-210, settembre-ottobre 1992, pp. 15-22; Autorità e rappresentanza, n. 211, novembre 1992, pp. 19-23; La rappresentanza come valore simbolico che manifesta un ordine trascendente, n. 212, dicembre 1992, pp. 15-22; e anno XXI, Origine e significato delle istituzioni rappresentative, n. 213-214, gennaio-febbraio 1993, pp. 11-19; nonché Brasilianità lusitana e ispanica, n. 222, ottobre 1993, pp. 19-22; ed errata corrige, n. 223, novembre 1993, p. 6.
(2) Mons. Octavio Nicolás Derisi, Prefácio a J. P. Galvão de Sousa, Para conhecer e vivir as verdades da Fé, Presença, Rio de Janeiro 1984, pp. 11-12 (p. 11).
(3) Cfr. J. P. Galvão de Sousa, Clovis Lema Garcia e José Fraga Teixeira de Carvalho, Dicionário de Política, T. A. Queiroz, San Paolo 1998, pp. 560.
(4) Cfr. ibid., Presentação, senza paginazione; tutte le citazioni senza diverso riferimento sono tratte da questa presentazione.
(5) Luís Vaz de Camões, Os Lusíadas, VII, strofa 14.
(6) Cfr. Oscar Halecki, Limiti e divisioni della storia europea, trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1962, pp. 61-69 e 194.
(7) Enrique Zuleta Puceiro, Razón política y tradición, Speiro, Madrid 1982, p. 6.
(8) J. P. Galvão de Sousa, Introdução à Historia do Direito Político Brasileiro, cap. V, 1, 2a ed., Saraiva, San Paolo 1962, pp. 97-99.
(9) Cfr. Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino (diretto da), Dizionario di politica, TEA, Milano 1997.