Il 21 aprile di 75 anni fa i soldati di Varsavia entrarono a Bologna. Avevano già vinto nell’epica battaglia di Montecassino e salvato dalle fiamme la basilica di Loreto in uno spirito di vicinanza culturale e religiosa.
di Anna Maria Anders
(Ambasciatore di Polonia in Italia)
Il 21 aprile, pochi giorni prima del giorno in cui l’Italia celebra la Festa della Liberazione, cade il settantacinquesimo anniversario della liberazione di Bologna. Ogni anno la Polonia si unisce al ricordo di quanti hanno combattuto per riconquistare la libertà e la democrazia.
Tra loro, i soldati polacchi del II Corpo d’Armata del generale Wladyslaw Anders, gli eroi di Montecassino, che quel 21 aprile 1945 furono i primi a entrare a Bologna da Porta Maggiore, dopo aver piegato le ultime resistenze dell’esercito tedesco.
Sul libro d’onore della città il generale Klemens Rudnicki lasciò scritte queste parole: “Il soldato polacco del II Corpo d’armata ha conquistato Bologna nel giorno 21 aprile alle 6 del mattino dopo un’aspra battaglia con il nemico, combattendo per la libertà dell’Italia e della Polonia, e per tutti gli altri popoli ai quali essa manca”.
Quest’anno non ci sarà dato incontrarci al cimitero militare polacco di San Lazzaro di Savena a Bologna per rendere omaggio ed esprimere gratitudine ai soldati polacchi per il loro coraggio e la fedeltà agli ideali di libertà e fraternità. Ma in questo giorno porteremo il ricordo di quegli uomini valorosi nei nostri pensieri.
La memoria individuale e la memoria condivisa hanno bisogno di ricordi, di volti, di date e di luoghi fisici in cui perpetuarla. Oggi che viviamo nella libertà e nella democrazia abbiamo l’obbligo di non dimenticare quanto sia stato contorto e sofferto il cammino per conquistarle.
Settantacinque anni fa l’Europa usciva dilaniata dal secondo conflitto mondiale, pochissimi avrebbero scommesso che su quelle macerie materiali e morali si sarebbe potuto ricostruire la pace. Eppure, è stato proprio così.
La Polonia si era battuta per riconquistare il diritto a un futuro,ma le alchimie della politica internazionale le avevano impedito di trovare la libertà e la democrazia. Aveva vinto la guerra ed era stata trattata come un Paese sconfitto, consegnata al totalitarismo di Stalin.
Proprio qui in Italia i polacchi hanno scritto una delle pagine più nobili e purtroppo meno conosciute della lotta al nazifascismo. I soldati polacchi comandati dal generale Wladyslaw Anders hanno combattuto “per la nostra e la vostra libertà” e, forti di questa consapevolezza, hanno vinto l’ultima e decisiva battaglia di Montecassino.
Il generale Anders era mio padre: un ufficiale di cavalleria che aveva conosciuto la prigionia alla Lubjanka, le torture dei sovietici e le umiliazioni, ma che poi aveva saputo ricreare un esercito polacco pronto a combattere per la libertà della Polonia e per i popoli che ne erano stati privati.
Attraverso un viaggio epico dalla Siberia alla Persia, e poi in Palestina e infine in Italia, i polacchi di Anders si ritrovarono a rivivere l’esperienza dei loro antenati che proprio dall’Italia alla fine del XVIII secolo andavano in battaglia per restituire alla Polonia il suo diritto ad esistere.
Per mio padre l’Italia aveva un posto speciale nel cuore, così come l’aveva avuto per il nostro grande poeta Adam Mickiewicz e per il premio Nobel Henryk Sienkiewicz il quale scrisse che ogni uomo ha due patrie: quella dove è nato e l’Italia.
Fu uno dei primi generali alleati, se non il primo, a dare l’ordine di salvaguardare il patrimonio culturale e materiale italiano. In Italia il II Corpo d’armata polacco portò la libertà. Dopo Montecassino operò sul fronte adriatico. I soldati polacchi entrarono in borghi, paesi, città; salvarono dalla distruzione il porto di Ancona e da un incendio la basilica di Loreto nelle Marche.
Gli italiani colsero subito la differenza con gli altri popoli degli eserciti alleati: i polacchi avevano un diverso senso di umanità, che derivava dall’essere un popolo che aveva sofferto e quindi comprendeva le sofferenze altrui. I civili italiani e i soldati polacchi si capivano senza parole.
Il professor Wojciech Narebski, veterano della Campagna d’Italia e insigne scienziato, una delle ultime volte che venne a Bologna a rendere omaggio ai suoi fratelli d’armi, disse che i soldati di Anders erano stati contenti di combattere proprio in Italia, perché per i polacchi l’Italia era un Paese vicino “spiritualmente, culturalmente e religiosamente”.
“Gli uomini liberi sono fratelli”, disse. E “fratelli d’armi” dei polacchi si consideravano anche i volontari abruzzesi della Brigata Maiella che combattevano nel II Corpo d’armata e che il 21 aprile entrarono insieme a loro a Bologna, portando la libertà.
Questa data non potrà essere rievocata: italiani e polacchi stanno combattendo una battaglia contro un nemico più subdolo perché non si vede, ma durante questa pandemia la Polonia non ha dimenticato i fratelli italiani e con sincero slancio solidale ha inviato medici, materiale sanitario, aiuti al personale impegnato ogni giorno nelle trincee degli ospedali.
Non vedremo a Bologna la bandiera italiana assieme a quella polacca, non sentiremo gli inni nazionali, non avremo le immagini di un anniversario importante, ci mancherà la celebrazione. Ma non ci abbandonerà la consapevolezza di un’amicizia vera.
Mio padre, il generale Anders, parlava spesso dell’Italia. Lui è morto a Londra il 12 maggio 1970, 50 anni fa. Si era battuto “per la nostra e la vostra libertà”, e per rimanere un uomo libero ha subito il dolore dell’esilio e l’oltraggio dell’ostracismo politico. E’sepolto, secondo il suo volere, a Montecassino, assieme ai suoi soldati.
Neppure per lui ci sarà una celebrazione ufficiale, con le nostre due bandiere e con gli inni dei Paesi fratelli. Me ne dolgo come polacca, come ambasciatrice e anche come figlia. Ma se mancheranno le immagini sull’album dei ricordi del 2020, non verrà mai a mancare né il ricordo della storia né il ricordo nel cuore.