https://www.aldomariavalli.it 5 febbraio 2020
di Aldo Maria Valli
È esperienza comune vedere ragazzi e ragazze lasciare la Chiesa dopo la cresima. Sebbene le parrocchie mettano spesso al primo posto la cosiddetta pastorale giovanile, i giovani se ne vanno e restano solo gli anziani. Ovviamente ci sono eccezioni, ma questo è il quadro dominante. Perché? Che cosa c’è che non va?
Ho letto in proposito un interessante intervento di Eric Sammons (scrittore cattolico ex evangelico) che cerca di affrontare la questione da un punto di vista diverso dal consueto.
Sicuramente molti programmi per i giovani, osserva Sammons, sono ben fatti e motivati dalle migliori intenzioni, eppure i giovani a Messa non vanno e la loro vita di fede sembra finire miseramente su un binario morto. Allora, anziché concentrarsi sui programmi per bambini e giovani, non sarebbe il caso di guardare altrove, e in particolare alle famiglie?
Le statistiche dicono che c’è una connessione diretta tra la vita di fede in famiglia e l’impegno religioso dei figli. Quando i genitori vanno regolarmente a Messa e alimentano la loro vita di fede con la preghiera e la frequenza dei sacramenti, ci sono più possibilità che i giovani, nonostante qualche crisi, tornino a identificarsi con la religione che hanno vissuto da piccoli.
Per quanto, anche in questo caso, ci siano eccezioni, la relazione diretta tra la vita di fede dei genitori e quella dei figli non sorprende. Ma le ricerche dicono di più, e cioè che è particolarmente importante il ruolo dei padri, con una connessione diretta tra la pratica religiosa del padre di famiglia e la vita di fede dei figli.
Detto in modo semplice: se il padre non va in chiesa, solo un bambino su cinquanta diventa a sua volta un frequentatore della Messa e dei sacramenti, e non importa quanto costanti e profonde siano le devozioni della madre e moglie. Se invece il padre va regolarmente a Messa, indipendentemente dalla pratica religiosa della madre, una percentuale significativa dei figli avrà a sua volta una vita di fede.
Le statistiche, specie in un campo così delicato, vanno sempre prese con le molle, però sembra chiaro che il ruolo dei padri è davvero importante, se non decisivo. Sono loro, i padri, ad avere, più di chiunque altro, un impatto sulle scelte dei figli in campo religioso. Di conseguenza, osserva Sammons, i programmi pastorali dovrebbero concentrarsi proprio sulla vita di fede degli uomini e in particolare dei padri, ma sappiamo bene che così non è.
Leggendo la Bibbia ci accorgiamo che Dio, quando interpella un gruppo di persone, sceglie spesso un mediatore (pensiamo ad Abramo, Mosè, Davide) il cui compito è di influenzare e guidare il gruppo. Ecco, dice Sammons, il modello per la Chiesa. Il padre può essere considerato il mediatore, il sacerdote di quella Chiesa domestica che è la famiglia.
Pertanto, se si vuole assicurare una vita di fede ai figli, ha senso, da un punto di vista sia sociologico sia teologico, concentrarsi sul padre. Ma come? Viene spontaneo pensare a iniziative di formazione e di catechesi, ma, osserva Sammons, sembra difficile che tali incontri possano avere successo o, comunque, avere effetti significativi e duraturi.
Tali incontri possono magari sostenere uomini che già hanno la fede, ma difficilmente possono contribuire a rendere attraente la religione. Se vogliono attirare e mantenere l’attenzione dei padri, scrive Sammons, le parrocchie devono pensare a qualcosa di più specifico.
Avverto i lettori, e soprattutto le lettrici, che a questo punto il linguaggio dell’autore si fa provocatorio e rivela una certa misoginia. Ma, al di là delle espressioni usate, mi sembra che le considerazioni di fondo vadano prese in esame. La prima cosa da fare, dice dunque Sammons, è smantellare l’atmosfera attuale che caratterizza la maggior parte delle parrocchie, ovvero un’atmosfera troppo femminilizzata (“attraente solo per i gay degli anni Settanta”, scrive l’autore).
Personalmente non credo che l’atmosfera dominante nelle nostre parrocchie sia “attraente solo per i gay degli anni Settanta”, tuttavia mi sembra opportuno cogliere la provocazione di Sammons e riflettere su quanto osserva: “Quando si entra in una tipica parrocchia cattolica suburbana, tutto, dall’architettura alla musica, dai cartelloni alle omelie, sembra essere affascinante per catechiste di una certa età, ma quale maschio può essere attirato da tutto questo se non possiede già una fede robusta, una fede che gli permette di andare oltre ciò che vede e sente?”.
Ripeto: il tono di Sammons è volutamente provocatorio e io non penso che nelle nostre parrocchie tutto sia fatto a misura di catechiste anziane, però, se ci pensiamo, la femminilizzazione della vita della Chiesa (ma la stessa cosa si può dire, credo, per la scuola) è abbastanza evidente.
Poiché i vari servizi (dal catechismo alla cura dei ministranti, dalle letture agli impegni caritativi) sono gestiti quasi esclusivamente da donne, è fatale che abbiano un’impronta femminile e che gli uomini avvertano una certa distanza. Dunque, che cosa si potrebbe fare per aumentare un po’, diciamo così, il tasso di virilità?
Pensando a un ipotetico parroco, Sammons fa alcune proposte.
Tenetevi forte.
1) Torna a celebrare ad orientem. Gli uomini preferiscono seguire un leader in battaglia piuttosto che sedersi attorno a un tavolo per una chat. Quando un sacerdote guida il suo popolo nell’adorazione, non solo nello spirito, ma nell’orientamento del suo corpo, sfida gli uomini a seguirlo e gli uomini amano quella sfida.
2) Assicurati che ci siano solo uomini e ragazzi sull’altare. In molte parrocchie durante la Messa c’è un solo uomo all’altare: il sacerdote. Tutte le altre sono presenze femminili, comprese le chierichette. Ricorda: le donne seguono gli uomini, ma il contrario non funziona. Gli uomini non sono naturalmente propensi a seguire le donne. Alla maggior parte degli uomini la visione di orde di donne all’altare invia un messaggio poco gradevole ed effeminato.
3) In chiesa mantieni il silenzio prima e dopo la Messa. Gli uomini prediligono una liturgia seria. Entrare in una chiesa piena di chiacchiere manda un segnale negativo. Se un uomo va a Messa non sta cercando un club sociale. Addetti maschi, appostati agli ingressi, dovrebbero educatamente ricordare a tutti di fare silenzio e di smettere di chiacchierare.
4) Utilizza inni e canti tradizionali, non la musica popolare degli anni Settanta. Gli uomini vogliono ascoltare canzoni belle, che li aiutino ad arrivare ad altezze maggiori, non mille varianti di Kumbaya.
5) Istituisci gruppi maschili che si concentrino su attività concrete e pratiche. La maggior parte degli uomini non vuole sedersi in gruppo e condividere i propri sentimenti riguardo a un brano biblico. Vogliono fare cose pratiche, come lavorare in una mensa o costruire una grotta sul terreno della parrocchia.
6) Invitali al sacrificio. Gli uomini non vogliono solo sentirsi dire come essere gentili. Vogliono essere sfidati ad approfondire la fede, con impegni pratici e concreti. Quindi chiamali a fare veri sacrifici, come il digiuno del venerdì o docce fredde in riparazione dei peccati e per la salvezza delle anime.
7) Di’ le cose come stanno. Smettila di sminuzzare le parole. Opponiti al secolarismo anticattolico che sta dominando nella nostra cultura e affronta direttamente la crisi nella Chiesa. Fingere che non vi sia corruzione dilagante ai massimi livelli della Chiesa ti fa solo sembrare un sicofante codardo, non un coraggioso discepolo di Cristo che gli uomini saranno disposti a seguire.
Ecco, qui si concludono i consigli di Sammons. Che, come vedete, sono alquanto espliciti. Ammetto che mi hanno strappato un sorriso. Il tono è evidentemente esagerato, ma (chiedo di nuovo scusa alle lettrici, specie se anziane catechiste) mi sembra che la provocazione vada accolta.