Fausto Carioti
Silvio Berlusconi dice a voce alta quello che pensa la grande maggioranza dei politici, degli imprenditori e degli economisti: l’Italia deve tornare all’energia nucleare. Si tratta comunque di una responsabilità che il premier, per dichiarate ragioni di consenso, non ha intenzione di assumere in prima persona: solo l’Unione europea, avverte il presidente del Consiglio, «centralmente, potrà dare il via alla costruzione di nuove centrali nucleari».
E questo nonostante un recente sondaggio (maggio 2005) dell’Ispo, l’istituto di Renato Mannheimer, abbia evidenziato che il 54% degli italiani è favorevole al ritorno al nucleare, e che anche tra gli elettori di sinistra il 40,9% vedrebbe volentieri la creazione di nuovi reattori atomici. Insomma, pare passato l’effetto della grande paura nata col disastro di Chernobyl, che spinse gli italiani, nel 1987, a votare “sì” ai referendum per l’abrogazione di tre norme importanti per l’energia atomica italiana: quella che assegnava al Comitato interministeriale per la programmazione economica il potere di decidere la localizzazione delle centrali nucleari; quella che prevedeva un compenso per i Comuni che ospitavano centrali atomiche; quella che consentiva all’Enel di siglare accordi internazionali per la costruzione e la gestione di reattori nucleari all’estero.
Una sfida che, per conto del governo italiano, a Strasburgo sta combattendo il consigliere economico di palazzo Chigi, Renato Brunetta, il quale è anche vicepresidente della commissione Industria ed Energia del parlamento europeo. «L’Europa non solo deve rilanciare sul nucleare per i motivi detti da Berlusconi», spiega Brunetta a Libero, «ma deve anche portare la politica energetica nelle sue competenze, assieme alla politica estera. Perché la politica energetica, di fatto, è la politica economica e quindi deve essere uno degli elementi della politica sovranazionale dell’Unione».
I nuclearisti italiani non sembrano invece apprezzare una linea che giudicano improduttiva. Interpellato da Libero, Paolo Fornaciari, presidente del Comitato italiano per il rilancio del nucleare, ricorda al premier che «l’Europa ha già riavviato il nucleare. La Finlandia è ripartita con la quinta centrale atomica. La Francia ha deciso di costruire a Flamanville il suo primo reattore nucleare di tipo europeo, al quale parteciperà anche l’Enel con una quota del 12,5%. E il premier inglese Tony Blair ha annunciato un nuovo, ambizioso programma nucleare».
Non solo: «Sbaglia», incalza Fornaciari, «chi dice che occorrono quindici anni per costruire una nuova centrale atomica. Le nostre prime tre centrali nucleari, a Latina, Garigliano e Trino Vercellese, furono costruite rispettivamente in 55, 62 e 51 mesi, quando le competenze non erano certo maggiori di quelle di oggi. E la nuova centrale francese di Flamanville sarà completata in cinque anni».
Il ritorno all’atomo made in Italy trova favorevole il ministro per le Attività Produttive, Claudio Scajola, che ha già detto di voler puntare su fonti alternative al petrolio «senza escludere il nucleare». D’accordo anche il viceministro Adolfo Urso, di An: «La sinistra continua a recitare la commedia degli inganni senza presentare una politica energetica condivisa. Sono perfino divisi sull’utilizzo del carbone, figuriamoci sul nucleare». Disponibili pure il viceministro Guido Possa, i sottosegretari Mario Valducci e Michele Vietti e l’udc Bruno Tabacci.
Sul fronte dell’opposizione, dove tra i possibilisti si colloca l’ex ministro Enrico Letta, un’apertura è giunta ieri dall’Udeur, con il deputato Pino Pisicchio il quale, pragmaticamente, ha detto che «non basta chiamarsi fuori dal nucleare, come abbiamo fatto noi con un referendum, se poi sei circondato da centrali nucleari». Scontata la reazione di totale chiusura da parte di Verdi e associazioni ambientaliste.
I numeri, intanto, dicono che l’Italia, tra i grandi Paesi industrializzati, è l’unico che si permette il lusso di rinunciare all’atomo. In Europa la Germania produce tramite nucleare il 28% della propria energia, la Francia il 78%, il Regno Unito il 20%, la Spagna il 24%.
La media, nell’Unione Europea, è superiore al 31% (qui i dati Eurostat sulla produzione di energia nella Ue). Un lusso costoso: le famiglie italiane (qui i dati Eurostat) pagano nel prezzo dell’energia un differenziale del 38% sulla media Ue, mentre per le imprese (qui i dati Eurostat) il costo aggiuntivo è del 25%.