di Michele Brambilla
Adriano Sofri, Erich Priebke, Gerhard Sommer e Cesare Battisti. Storie diverse per una sola domanda: è giusto cancellare l’espiazione della pena per reati accaduti molto tempo fa? La risposta di un giornalista che ha studiato in profondità l’Italia degli “Anni di Piombo”.
Vicende molto diverse fra loro. Adriano Sofri, ex leader e fondatore di Lotta continua, è stato condannato a 22 anni quale mandante dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi (17 maggio 1972) e da sette anni è in carcere; Erich Priebke, ex capitano delle SS oggi ultranovantenne, è anch’egli detenuto — anche se non in carcere ma in una sorta di residenza protetta — perché condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine; Gerhard Sommer, ex sottotenente delle SS, rinviato a giudizio per un altro massacro nazista, quello di Sant’Anna di Stazzema (12 agosto 1944) è invece libero, e vive ad Amburgo; cosi come è uccel di bosco l’ultimo del quartetto, Cesare Battisti, cinquantenne, ex terrorista del Proletari armati per il comunismo, condannato con sentenze definitive per quattro omicidi ma da ventitre anni rifugiato a Parigi, dove vive coccolato dall’intellighenzia gauchiste, che lo considera un raffinato scrittore.
Personaggi e vicende diverse, come dicevamo, e come si intuisce dal breve profilo tracciato qui sopra. Tuttavia, c’è un denominatore comune che lega le discussioni che attorno a questi personaggi si sono sviluppate. E il denominatore comune è questo: ci si chiede se sia giusto pretendere l’espiazione della pena per vicende di così tanto tempo fa.
Anzi, da più parti non ce lo si chiede neppure, e si cerca di evidenziare quanto questa pretesa dell’espiazione della pena sia irrazionale. Forse, però, di irrazionale c’è proprio questo teorema secondo il quale basta lo scorrere del tempo per lavare colpe e peccati. Prendiamo il caso di Sofri.
Come tutti sanno, c’è un forte movimento di opinione favorevole alla concessione della grazia. Si può essere convinti della colpevolezza oppure del l’innocenza di Adriano Sofri, condannato con sentenza passata in giudicato dopo molti processi. Ma al di là dei giudizi personali — io ad esempio nutro ancora qualche dubbio sulla certezza della sua colpevolezza — secondo me è assurdo il ragionamento di coloro che dicono: rispettiamo la sentenza, Sofri è dunque colpevole, ma essendo ormai uomo ben diverso dall’estremista che fu, deve essere graziato.
È un ragionamento che non sta in piedi perché, se davvero Sofri fosse colpevole, potremmo dire che è cambiato veramente e profondamente solo se ammettesse la sua colpevolezza — dando finalmente pace alla ricerca di verità della famiglia Calabresi — e chiedesse perdono. Non basta avere smesso di ammazzare la gente per essere davvero cambiati. Stesso discorso, più o meno, per Cesare Battisti.
Intendiamoci: Battisti è personaggio ben diverso da Sofri. Nessun dubbio c’è sul fatto che egli sia responsabile di crimini particolarmente efferati.
Questo rivoluzionario, che diceva di agire in nome del poveri, ha ucciso soprattutto dei poveracci (un agente di custodia, un agente della Digos, un macellalo e un orefice), e per giunta due di questi li ha freddati davanti ai loro bambini. La stesso Battisti non si è mai detto innocente. Eppure, si oppone all’estradizione chiesta dallo Stato italiano, e pretende di restarsene libero in Francia. E da che cosa fa derivare questa pretesa? Dal fatto, appunto, che “ormai è passato tanto tempo”.
Ma se in fondo è normale che un assassino impunito quale Battisti cerchi di giustificarsi in questo modo (non ha altri argomenti), è invece desolante sentire parole del genere da persone che hanno posti di responsabilità, nei giornali come in parlamento. Una deputata di Rifondazione comunista, intervistata a Radio 24, ha detto che Battisti deve restare libero perché già alla fine degli anni Ottanta ha dichiarato chiusa l’esperienza del terrorismo.
Roba da matti: è come se uno, dopo aver messo a segno un bel po’ di rapine miliardarie, dicesse ai giudici: “Adesso basta, io smetto di far rapine, dichiaro chiusa questa esperienza, e voi smettete di ricercarmi”. Dopo di che, si ritira a godersi il frutto delle sue malefatte.
Chissà se la deputata di Rifondazione sa che il suo ragionamento è lo stesso del nazista Gerhard Sommer il quale, scovato ad Amburgo da un giornalista, ha rivendicato il suo diritto a non andare in galera, e lo ha rivendicato non perché si dica innocente, ma semplicemente per il solito ritornello: “È passato tanto tempo”.
Sentite infatti che cosa ha detto Sommer: “Per me e una storia chiusa, non devo risponderne a nessuno. Non ho rimorsi di alcun tipo”. Eppure, era lui a comandare la Panzergrenadier che fece fuori 560 civili, tra cui 120 bambini. “Per me è una storia chiusa”, ha detto. E per le vittime? Per i loro parenti? Per il Padreterno, ammesso che Sommer ci creda?
Intendiamoci bene. È vero che per certi reati (non per questi, però) la legge prevede una prescrizione. È vero anche che spesso non ha senso tenere in carcere gente di più di ottanta o novant’anni: la richiesta di scarcerazione per Priebke, infatti, e fondata su questa considerazione.
Lo stesso Sofri ha scritto: lasciate libero Priebke, ha diritto di morire a casa sua. Tutto vero. Ma quel che ci interessa, qui, non è di vedere qualcuno dietro le sbarre. Quel che ci interessa è che non si confonda la visione cristiana del perdono, che presuppone un pentimento e una riparazione, con l’impunità.