il Giornale venerdì 14 luglio 2000
Ida Magli
Allora è proprio vero. Ci hanno condannato a morte e vogliono che ci uccidiamo con le nostre stesse mani. È questo il significato del coro quasi unanime: più immigrati, sempre più immigrati, lavoro per gli immigrati, case per gli immigrati, cittadinanza per gli immigrati, voto per gli immigrati. Già altre volte su questo giornale abbiamo tentato di far comprendere ai detentori del potere che gli esseri umani non si sommano come le monete, e che perfino le monete si rifiutano di piegarsi a valori imposti, come è ben dimostrato dall’umiliante svalutazione dell’euro.
Ogni popolo ha un’anima, uno spirito, un carattere, uno stile, una visione del mondo, pensieri, sentimenti, affetti, passioni, abitudini che ne sostanziano la vita sia individuale che di gruppo. Questo insieme complesso di tratti culturali si costituisce attraverso le lunghissime durate di una storia vissuta in comune nello stesso territorio, respirando la stessa aria, guardando lo stesso panorama, riconoscendosi come gruppo e all’interno del gruppo per mezzo di quella comunicazione silenziosa che è data dai gesti, dagli sguardi, dai movimenti, dai toni di voce particolari per ogni popolo.
È tutto quell’insieme che fa dire: gli italiani sono fatti così; i tedeschi sono fatti così; gli inglesi son fatti così… Ma così, come? È impossibile descrivere in dettaglio quello che pure sappiamo tanto bene (ci provano e ci riprovano da secoli i più grandi storici, i più grandi poeti, ma da Erodoto a Cicerone, da Seneca a Dante, a Petrarca, a Goethe, a Kant, a Stendhal, a Mann, il compito non è mai stato esaurito e non può essere esaurito).
È impossibile proprio perché il carattere di un popolo è dato da un numero illimitato di accadimenti che si intersecano, interagiscono, si associano e sboccano in quel particolare «stile», in quella particolare «forma». Sì, in antropologia si parla di stile, di forma di una cultura così come se ne parla nell’arte. Potrebbe mai Beethoven o Wagner essere italiano, o francese, o inglese? E potrebbe mai essere brasiliano, o indiano, o arabo, o filippino? È questo la cultura: e non c’è economista, industriale, banchiere, governante al mondo che possa iscrivere a forza o per legge un qualsiasi individuo a una cultura soltanto scrivendolo sul passaporto.
Oggi si è quasi completamente certi che il patrimonio culturale si trasmetta geneticamente. Si tratta di un argomento molto complesso che non è possibile riassumere in queste poche righe. Sia sufficiente però dire che la grossolanità, il semplicismo, l’ignoranza e la violenza con le quali si vuole imporre agli italiani di accettare la fine della propria cultura, e al mondo la fine dei prodotti di questa cultura, non se li potrebbe permettere neanche una dittatura.
Non ci sarà più un Verdi, un Bellini, un Leonardo, un S. Francesco, un Leopardi, un Pirandello; ma neanche la dolce lingua italiana, quella Terra-Patria per la quale tanti hanno sospirato, pianto, combattuto, soltanto perché così vogliono i governanti?
Vediamoli, dunque, i motivi per i quali si propone un tale scempio. Le aziende hanno bisogno di mano d’opera: pubblichino sui giornali i loro bisogni; lo Stato incentivi con stipendi superiori a quelli standard i lavori meno appetibili: includa nello stipendio un’indennità di alloggio per coloro che vogliono trasferirsi; induca le aziende a insediare all’estero le fabbriche per le quali non c’è mano d’opera in Italia. Insomma, si parta dal presupposto che si vuole salvare gli italiani, cosa che è un obbligo per i governanti.
Fino a quando non si darà agli italiani un segnale che esiste un futuro per loro, non aumenterà il numero dei figli.
Si vuole aiutare i popoli poveri: qui il discorso diventerebbe talmente difficile che è meglio non affrontarlo. Una cosa però si può e si deve dire: non li si può aiutare se non insegnando loro alcune cose elementari e lasciando poi che trovino la propria strada a modo loro. Vale, infatti, per la loro cultura quello stesso principio che vale per la nostra. Non le possiamo né mischiare, né integrare.
Infine: e il cristianesimo? Che fine farà il cristianesimo? Qualcuno vuole, per favore, rispondere?