L’Italia settimanale 27 aprile 1994
Il vero problema non è l’evoluzione della specie ma…
Giuseppe Sermonti
Il vero, grande irrisolto problema della biologia non è quello della trasformazione delle specie, ma quello della loro stabilità. Come può essere che una specie, subendo le ingiurie dell’ambiente, la competizione con i suoi nemici, il logorio del tempo, si mantenga praticamente immutala per milioni di anni? Questo è il principale mistero biologico, le recenti scoperte sul Dna, cioè sulla sostanza che contiene le istruzioni genetiche, non hanno affatto risolto il problema della stabilità.
Lo hanno invece complicalo, perché il nastro su cui è trascritta la vita è una molecola instabile, variabile ed irritabile, esso è continuamente soggetto a mutazioni, riassortimenti, contaminazioni. Gli ultimi decenni ci hanno rivelato i “geni in pezzi”, i “geni che saltano”, i virus che diventano geni (i “retrovirus”) e i geni che diventano virus, e ogni sorta di bizzarria, dopo la quale si pone il problema non solo di come si conservi la specie, ma di come si conservino e si riproducano gli individui, senza precipitare nell’anormalità o nella degenerazione.
È evidente che le specie sono fornite di meccanismi di riparo e di autoregolazione che correggono e riconducono alla normalità tutto ciò che tende a deviare. Questo è il problema della vita. Come la specie “sa” della sua normalità, della sua bellezza, del suo stile, die le consentono di affrontare indenne le vie del mondo, per milioni di anni, che questa è la vita di una specie, se non le decine o le centinaia di milioni di anni.
La teoria dell’evoluzione, anziché proporsi il problema della stabilità, è andata a nozze con tutti gli incidenti, le turbative e le aberrazioni dei viventi, per spiegare l’origine della poesia attraverso gli errori di stampa, la bellezza attraverso l’omologazione dell’anomalia. Ci si doveva spiegare come la vita potesse sopravvivere alla sfida, all’errore, alla degradazione, e si è fatto di queste forze le generatrici della vita. Ogni specie è una creazione geniale, e per un secolo i biologi hanno creduto che la genialità fosse il prodotto dei reiterati tentativi della imbecillità.
E anche troppo semplice trasferire queste considerazioni al nostro consesso civile, alla genesi e al mantenimento della cultura. Se essa si conserva è perché si mantiene fedele ari alcuni modelli archetipici, ad alcuni valori permanenti, perché è capace di riparare i propri guai e di ritrovare se stessa. Questo è il vero mistero dell’umanità: come mai, dopo aver ricevuto o costruito la propria cultura non si sia disgregata, perduta, sbandata. Come abbia cento volte trovato se stessa, dopo decadenze, distruzioni, degenerazioni che sembravano inversibili. E’ il nostro grande mistero e la nostra speranza.
I progressisti hanno fatto alla società quello che gli evoluzionisti hanno fatto alla biologia. Sono andati a nozze con tutte le trasgressioni, le perversioni, le aberrazioni, contando su di esse come fattori della genesi e del rinnovamento della cultura. Essi hanno messo al bando ogni ricorso alla permanenza, alla stabilità, al semplice rispetto. Hanno creduto che ogni dissacrazione, ogni abbattimento di valori, ogni omologazione dell’aberrante aprisse la via al futuro, fosse un successo nella liberazione della società.
Ma il vero problema, anche nella politica, è quello della stabilità, del recupero dei valori perduti, della autoregolazione.
Dobbiamo cercare il permanente nella variabilità e non erigere a nuova norma ogni stravaganza che si affacci nel mondo.