Piattaforme tossiche, i social inducono i giovani alla depressione

Abstract:  piattaforme tossiche, i social inducono i giovani alla depressione, i danni che inducono nella psiche sono allarmanti. 

Il Timone n.237 Marzo 2024

Quelle piattaforme sono tossiche

 I danni dei social sui giovani sono allarmanti e oggi anche New York li tratta come il tabacco. Perché il mondo che doveva darci libertà, in realtà, se l’è presa. Insieme alla salute 

di Cristina Gauri

Chi afferma di essere sempre felice o mente o è sotto psicofarmaci (dunque mente senza sapere di mentire). La felicità non è uno stato d’animo permanente. E’ provvisoria, al pari di qualsiasi altra emozione. In questo frangente i social media svolgono un compito egregio nel convincere le persone esattamente del contrario: che dovrebbero, cioè, aspirare all’ottenimento di un’immutabile estasi, aggirando il dolore emotivo, visto come il principale nemico e non come un alleato perfezionatore della propria esistenza.

Se non sei felice 24/7, se la tua vita non è perfetta, se non procede lungo la direzione ordinata dai dettami scanditi dall’influencer di turno, lo schermo dello smartphone ti ripeterà che qualcosa in te è sbagliato. Così, nel tentativo di provare felicità, consacri te stesso all’edonismo e al narcisismo.

Alla ricerca estenuante del piacere, costantemente all’inseguimento dell’up per evitare di toccare il fondo emotivo, restringendo così senza volerlo la gamma di stati d’animo a tua disposizione. Diventando incapace di accettare qualsiasi compito che comporti afflizione o fatica, o disabitudine alla solitudine, o alla noia, o alla sconfitta, o all’assenza di validazione esterna. Ora moltiplica tutto per qualche miliardo di persone-utenti.

L’allarme degli scrittori

Come spesso avviene, è la penna degli scrittori, prima ancora degli studi scientifici, a veicolare un messaggio dirompente e drammatica attualità. E non c’è alcun dubbio che siano stati gli scrittori, facendo leva su una sensibilità crescente, a mettere in luce la vischiosa tossicità delle piattaforme social e altre loro caratteristiche per lungo tempo, convenientemente, obliate.

Da Nessuno ne parla di Patricia Lockwood, passando per Questo post è stato rimosso di Hanna Bervoets, fino al recentissimo Il periodo del silenzio  della nostrana Francesca Manfredi sono statio molti gli autori che hanno illustrato analiticamente le controindicazioni di una immersione sempre più totale e asfissiante delle relazioni umane nella cappa di silicio dei social: la riduzione della propria vita e personalità a mera fiction a uso e consumo dei propri followers, l’esasperazione del narcisismo e di disfunzioni patologiche, il mettersi in mostra sempre più affine a una dipendenza clinica, tanto da determinare crolli emotivi e mentali costringendo alla fuga dai social.

Si ricorre, in un numero sempre maggiore di casi, alla scomparsa digitale per riaffermare la propria esistenza reale, umana, spirituale e biologica. E se gli scrittori sono in certa misura le antenne di una società, capaci di intercettare il vento di un cambiamento o di un fenomeno di grande rilevanza, ecco che anche le istituzioni sembrano iniziare a rapportarsi a piattaforme in modo sempre meno accondiscendente, facendo leva su studi e analisi scientifiche fino a ieri appannaggio esclusivo degli esperti di settore.

D’altronde, molti neurologi, psichiatri ed esperti di comunicazione da tempo si interrogano sulle conseguenze di ordine psichico di una massiva esposizione alla rete in generale, e ai social più in particolare (si pensi al celebre Internet ci rende stupidi? Di Nicholas Carr).

La Grande Mela reagisce

A ben vedere la decisione assunta dall’amministrazione di New York, che ha definito le piattaforme social «tossine ambientali», è la conseguenza quasi naturale di un lungo periodo di riflessione e di incubazione. Per ora non ci sono provvedimenti normativi ma molte raccomandazioni e un duro discorso del Sindaco, che ha sensibilizzato le famiglie sulla necessità di sorvegliare i figli nell’uso dello smartphone e computer.

Non si esclude però che l’amministrazione cittadina possa imboccare la strada del proibizionismo normativo, ad esempio vietando l’uso dei cellulari a scuola. «Aziende come TikTok, Youtube, Facebook stanno alimentando una crisi della salute mentale progettando le loro piattaforme con funzionalità che creano dipendenza», ha dichiarato il primo cittadino della Grande Mela, Eric Adams, che il 14 febbraio scorso ha intentato una causa contro le più grandi società di social media per i danni arrecati ai giovani «a livelli che non si erano mai visti».

I dati non lasciano dubbi: secondo una ricerca da Gallup e dall’Institute for Family Studies, gli adolescenti statunitensi trascorrono in media 4,8 ore al giorno utilizzando i social, e i teenager che trascorrono più di 5 ore al giorno sulle piattaforme hanno una propensione del 60% maggiore nell’esprimere pensieri

Suicidi o autolesionisti, 2,8 volte più probabilità di avere una visione negativa del proprio aspetto fisico e il 30% in più di probabilità di provare tristezza nel corso della propria esistenza.

L’inesorabile declino della salute mentale dei giovani americani è oggetto di studio da più di un decennio. E se è vero che le restrizioni pandemiche del biennio 2020-2022 hanno causato una maggiore incidenza di disagio psichico tra gli adolescenti, non si è di certo trattato di un brusco aumento o di una inversione di tendenza: i dati di un sondaggio del Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) sugli studenti delle superiori rivela che il boom dei problemi di salute mentale tra gli adolescenti precede la pandemia di anni e colloca il suo inizio intorno al 2012. Anno in cui Zuckerberg annunciò l’acquisizione di Instagram per un miliardo di dollari.

Depressione clinica raddoppiata

Facebook prosperava già da alcuni anni e la likecrazia si era già istallata nelle vite di centinaia di milioni di utenti. Nel frattempo, dal 2011 al 2019 la depressione clinica dei teenager americani è più che raddoppiata, di pari passo con l’autolesionismo e il suicidio, entrambi duplicati dopo il 2010.

La legge non scritta dei social, che impone di condividere solo i momenti migliori, la passione per apparire felicemente perfetti, sempre, possono far precipitare gli adolescenti verso disturbi alimentari, ansia, depressione. E che un social come Instagram sia pericoloso per la salute mentale dei propri utenti, in particolar modo delle giovanissime, Zuckerberg lo ha sempre saputo.

Nel settembre 2021 il Wall Street Journal sgancia la bomba pubblicando i risultati di uno studio top secret condotto dall’azienda di Menlo Park: Facebook è a conoscenza degli effetti devastanti di Instagram sulla psiche delle adolescenti. Secondo le ricerche, commissionate dalla stessa Meta, una teenager su tre iscritta al social fotografico sviluppa gravi disturbi alimentari e di percezione del proprio corpo. «Gli adolescenti incolpano Instagram per l’aumento del tasso di ansia e depressione», si legge nella ricerca.

Addirittura, tra ragazzi che esternavano pensieri suicidi, alcuni di oro manifestavano il desiderio di togliersi la vita su Instagram. Nel frattempo dai big delle piattaforme – al netto degli ipocriti vacui: «Faremo», «Lavoriamo perché l’esperienza della piattaforma risulti sicura e piacevole per tutti» – tutto tace.

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