di Stefano Fontana
Le scosse dentro la Chiesa cattolica si fanno sempre più complicate e pericolose. Chissà se i 200mila laici cattolici che domenica scorsa hanno espresso la solidarietà al Papa in piazza san Pietro erano veramente consapevoli delle difficoltà della compagine ecclesiale in questa fase, se vedevano fino in fondo le tensioni e i marosi che Benedetto XVI deve fronteggiare per tenere la barca in rotta.
Della questione pedofilia sta approfittando l’ala progressista sia dell’episcopato che dell’intelligenzia cattolica. La tesi di fondo è che essa è soprattutto il frutto di un ritardo nella riforma della Chiesa, data la pervicacia con cui sarebbe stato mantenuto l’assolutismo papale.
Una maggiore “collegialità” avrebbe rafforzato i vescovi locali, permesso una maggiore trasparenza, portato alla luce le situazioni scabrose. Collegialità, secondo le proposte del Cardinale Martini del 1999 e, prima ancora, dell’ala dossettiana bolognese, potrebbe voler dire presa di decisioni insieme con il collegio cardinalizio, per esempio, oppure attribuire al sinodo dei vescovi, che potrebbe essere reso permanente, un potere decisionale, mentre oggi, come è noto, i padri sinodali espongono le loro conclusioni al Papa, che emana poi la Esortazione apostolica postsinodale.
E’ difficile comprendere fino in fondo perché mai la questione dell’infedeltà di alcuni preti e vescovi sarebbe stata evitata con una diversa organizzazione della curia romana. Durante il viaggio in Portogallo, parlando sull’aereo con i giornalisti, il Papa ha detto che “Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?”.
In altre parole: come pensare che una iniezione di democrazia nella Chiesa sia bastevole ad evitare le incoerenze e il male al proprio interno? Può anzi essere detto il contrario: l’unità con il Papa – sub Petro – è garanzia dell’esistenza di una istanza superiore capace di sovrapporsi ai gruppi, alle cordate, ai compromessi, alle eccessive concessioni allo spirito del mondo.
E’ pur vero che in questo ultimo periodo la Curia Romana non è sempre stata all’altezza delle necessità di governo della Chiesa. La Segreteria di Stato ha spesso portato avanti una linea diplomatica con alcuni Stati – si pensi per esempio agli Stati Uniti d’America – che di fatto metteva in difficoltà gli episcopati nazionali nella loro critica ai parlamenti e ai governi sui temi della vita e della famiglia.
A proposito del caso della “Bambina di Recife” la Pontificia Accademia per la vita non ha brillato per chiarezza ed infatti esce proprio ora in Belgio il libro-denuncia di Padre Michel Schooyans, esperto di questi temi e Membro della stessa Accademia (“Sur l’Affaire de Refife et quel quel autres… Fausse compassion et vraie désenformation”).
Anche nel ritiro della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani la regia non è stata perfetta. Alla fine, in ogni caso, è stato il papa a dover intervenire per metterci una pezza, soprattutto con il fatto assolutamente inusitato di scrivere una Lettera a tutti i vescovi cattolici, segno di una notevole difficoltà del potere centrale della Chiesa. E’ però almeno problematico sostenere che una maggiore democrazia risolverebbe tutto questo.
L’emorragia di fedeli della chiesa austriaca non è stata causata dai sacerdoti accusati di pedofilia, né potrà essere fermata da un maggiore dibattito democratico. Del resto è stata sotto gli occhi di tutti sia a Fatima che in piazza San Pietro domenica scorsa che i “piccoli” stanno con il papa. La chiesa non è un circolo di intellettuali.
Ma la questione della pedofilia viene adoperata anche per riproporre le vecchie questioni del celibato dei preti, delle donne nella Chiesa, della comunione ai divorziati risposati, della contraccezione e di una nuova valutazione dei rapporti omosessuali. Tornano i vecchi slogan della libertà di coscienza, che la Chiesa non dovrebbe intervenire nelle questioni etiche e che su questo lo spirito del Concilio non è stato rispettato. Le tensioni sono forti e la Chiesa si sta come spaccando in due.
L’arcivescovo di Trieste Mons. Giampaolo Crepaldi, in un comunicato dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân di cui è Presidente, ha affermato che “questa divaricazione tra i fedeli che ascolano il papa e quelli che non lo ascoltano si diffonde ovunque e anima due pastorali molto diverse tra loro, che non si comprendono ormai quasi più, come se fossero espressione di due Chiese diverse”. Parole forti, ma realistiche. Come non basta la riforma delle strutture, non basta però nemmeno la profezia, come chiede Cacciari, perché anche la profezia senza il Papa non va da nessuna parte.
In questo difficile contesto hanno fatto molto pensare alcuni interventi del cardinale Schönborn. Prima di tutto il suo attacco all’ex Segretario di Stato cardinale Angelo Sodano, accusato di aver impedito per quindici anni ogni indagine sui sospettati abusi del cardinale Groër, suo predecessore a Vienna e poi le sue richieste che nella Chiesa si dibatta apertamente di celibato, di divorziati risposati e di coppie omosessuali. Il cardinale di Vienna, ritenuto un fedele di Benedetto XVI, ha anche fatto tutta una serie di iniziative di apertura alle richieste del cattolicesimo progressista austriaco.
I giornali si stanno chiedendo dove voglia andare Schönborn, ma su questo punto sarà meglio attendere i tempi. Può essere che il giovane cardinale viennese si proponga come interlocutore del progressismo proprio per contenerlo e indirizzarlo, ma in sostanziale fedeltà alla linea di Benedetto XVI. Ma per dire questo o il suo contrario i tempi non sono ancora maturi.
Maturi, invece, lo sono, per prendere atto che la divisione della Chiesa si sta facendo trasversale, se molti fedeli austriaci chiedono perfino il sacerdozio femminile.