In seguito alla candidatura repubblicana del governatore Sarah Palin alla vicepresidenza degli Stati Uniti è riemerso l’interesse per la sindrome di Down.
Il numero degli aborti di bambini affetti dalla sindrome potrebbe ulteriormente aumentare se la raccomandazione emanata lo scorso anno dalla American College of Obstetricians and Gynecologists venisse applicata, ha aggiunto. Il College ha infatti invitato a sottoporre precocemente all’analisi per la sindrome di Down tutte le donne in gravidanza e non solo quelle al di sopra di una certa età, i cui bambini hanno quindi maggiori probabilità di esserne affetti. Gerson ha tuttavia sostenuto che i figli nati con sindrome di Down «generalmente non vengono considerati dai loro genitori come una maledizione ma come una complessa benedizione».
Molti medici e consiglieri, tuttavia, invitano le madri ad abortire. Questa tendenza a voler porre fine a vite «imperfette», ha proseguito Gerson, non può essere tenuta distinta rispetto al nostro generale atteggiamento nei confronti dei disabili. «Questa tendenza alimenta un darwinismo sociale in cui il più forte è considerato migliore, la persona dipendente come avente un valore inferiore e in cui i deboli debbono talvolta essere oggetto di selezione», ha concluso. Nonostante le difficoltà di chi si trova con un figlio down, molti quotidiani hanno raccontato casi in cui i genitori che si sono trovati in queste situazioni hanno vissuto esperienze positive.
Crescere un figlio down può portare alla luce molte verità profonde per i genitori e i loro figli, secondo il “Washington Post” del 14 settembre. Nell’articolo si descrive il caso di Adrianne Pedlikin, madre di tre figli, tra cui un bambino di 10 anni affetto dalla sindrome di Down. Pur riconoscendo le difficoltà e le sfide legate al dover crescere un figlio down, l’articolo sottolinea che, allo stesso tempo, sia Adrianne che suo marito Philip non nascondono il loro amore per questo figlio e affermano che la sua nascita ha cambiato la loro visione del mondo in senso positivo.
Un’altra testimonianza positiva di chi è genitore di un bimbo down è stata pubblicata il 2 giugno sul quotidiano britannico “Guardian”. Annie Rey racconta della repulsione che provava, quando era giovane, nei confronti dei disabili. Poi, arrivata ai 40 anni, ha scoperto di essere incinta di un bambino con la sindrome di Down. «Durante la gravidanza passavo dall’ottimismo alla disperazione: ottimismo nella speranza che il bambino, che all’età di 20 settimane abbiamo appreso essere maschio, non avesse veramente la sindrome di Down, e disperazione al pensiero che invece l’avesse», ha scritto.
Suo figlio Paddi ha ora 2 anni e lei ha accettato l’idea di avere un bambino down. Ha detto di aver scoperto che suo figlio non è «una diagnosi», ma un bambino con molte qualità. «Sono fermamente convinta che se il mio prezioso bambino non esistesse, il nostro mondo, e forse il mondo intero, sarebbe un posto più povero», ha concluso.
Dal Canada, la famiglia Shaw ha raccontato la propria esperienza con un figlio down, in un articolo pubblicato il 2 marzo sull’“Ottawa Citizen”. Michael e Lesley Shaw avrebbero abortito se avessero saputo che la loro figlia Sydney era affetta dalla sindrome di Down, secondo quanto hanno riferito al quotidiano. Il padre ha dichiarato che, ora che Sydney ha 9 anni, hanno cambiato opinione e considerano la loro figlia come «una bimba meravigliosa e gioiosa».
«Sydney ha arricchito la mia vita ad un punto tale che non credevo possibile», ha detto Michael Shaw. «Ha cambiato l’intera visione che avevo sulla vita, su ciò che ha valore e cosa non ne ha, e su ciò che consideriamo apprezzabile». Michael Shaw fa anche parte della Canadian Down Syndrome Society, un’organizzazione preoccupata per il rischio di una generalizzazione della diagnosi prenatale in Canada e le ripercussioni sui bambini sindromici.
Nel febbraio 2007, la Society of Obstetricians and Gynecologists of Canada ha emanato nuove linee guida in cui si raccomanda che ad ogni donna incinta, di qualunque età, venga offerto uno screening genetico prenatale non invasivo. Secondo l’“Ottawa Citizen” circa l’80%-90% delle donne canadesi a cui è diagnosticata la sindrome di Down decidono di abortire (“Zenit”, 28 settembre 2008).
Lo sviluppo di nuove tecniche diagnostiche potrebbe facilitare ulteriormente la decisione dei genitori di ricorrere all’aborto dei feti non perfetti. Il 21 giugno, il quotidiano “Times” di Londra ha riferito di un esame sperimentale, sviluppato da un’equipe dell’Università cinese di Hong Kong, che prometterebbe di diagnosticare la sindrome di Down attraverso l’esame del sangue della madre.
Attualmente si ricorre ad esami più invasivi quali l’amniocentesi o la villocentesi. Questi test comportano l’introduzione di un ago nel ventre materno per asportare del liquido amniotico in cui è immerso il feto, oppure una particella della placenta.
Secondo il “Times” queste tecniche hanno una percentuale di aborto spontaneo di uno su cento, tanto che ogni anno, in Gran Bretagna, 320 gravidanze sane vengono interrotte a causa delle diagnosi invasive. Il nuovo esame è ancora in fase sperimentale, ma potrebbe essere pronto per un uso corrente tra qualche anno.
Secondo un articolo pubblicato il 14 settembre dal quotidiano britannico “Observer”, i rischi connessi con le diagnosi prenatali per la sindrome di Down sarebbero molto più alti. Una nuova ricerca rivela infatti che per ogni tre bambini abortiti, affetti dalla sindrome, due bambini sani muoiono per aborto spontaneo dovuto alle tecniche invasive. Questa nuova ricerca, pubblicata da poco sulla rivista “Down Syndrome Research and Practice”, sostiene che per diagnosticare e prevenire la nascita di 660 bambini down, 400 feti sani vengono perduti.