da Tempi n.4 Aprile 2019
La necessità di non escludere nessuna attività umana dalla fede. La modernità e la fine delle verità eterne come occasione di libertà. E il liberalismo come «affermazione massima della civiltà cristiana». Il compito dei cattolici nella pubblica piazza secondo Del Noce
di Luca Del Pozzo
In chiusura di questo studio qualche breve considerazione sull’attualità della “metafisica civile” di Augusto Del Noce in rapporto alla situazione contemporanea del cattolicesimo politico italiano. Il filosofo torinese ebbe sempre chiaro, come dato certo e indiscutibile, l’essenziale storicità della Rivelazione cristiana: il cristianesimo è un evento storico, non un’ideologia o un sistema di pensiero.
Ma neanche un affare di coscienza, ed è proprio nella riduzione del fatto religioso a foro interno che egli vedeva il segno del cedimento di tanta parte della cultura cattolica a quell’idea di modernità che storicamente ha prevalso.
Con la duplice conseguenza di una sorta di protestantizzazione di fatto del cattolicesimo, da un lato, e della continua ricerca di chiavi interpretative della storia contemporanea “altre” rispetto a quella cattolica, per poter essere ammessi nel consesso dei moderni muovendo da un ingiustificato complesso d’inferiorità, dall’altro.
Se all’opposto si tiene ben presente la storicità del cristianesimo, ne consegue che questo non può non avere anche una traduzione politica, nel senso cioè di farsi “polis”, mondo, storia.
A tal proposito risulta particolarmente illuminante il saggio, inedito, dal titolo Princìpi di politica cristiana, scritto da Del Noce nella prima metà degli anni Quaranta, dove sono da rinvenire quei concetti di persuasione, rifiuto della violenza e rispetto della libertà umana che come abbiamo visto costituiscono l’ossatura della sua filosofia politica.
Il saggio si apre con l’enunciazione del primo principio: «La necessità dell’impegno politico del cristiano risulta dal fatto che nessuna forma di attività umana dev’essere straniata dalla valutazione religiosa. Sotto pena che la forma religiosa decada dal suo essere elevazione a Dio per diventare garanzia di valori meramente mondani e umani- garanzia di interessi – ; che insomma al “servire Dio” si sostituisca il “servirsi di Dio” per i nostri fini umani».
Qui è da rinvenire la critica di Del Noce alla concezione, tipica del cattolicesimo ottocentesco, separatista o dualista del rapporto tra politica e religione, secondo la quale la vita di fede non ha nulla a che vedere con la vita sociale economica e politica degli individui. Le due cose sono e devono restare, appunto, separate.
D’altra parte, è da rigettare anche quella visione che teorizza l’identità di politica e religione, identità nel senso di «deducibilità dal cristianesimo, in quanto religione, di una posizione politica».
Qual è dunque il giusto rapporto tra le due? Quello di una distinzione nell’unità, della sfera politica e di quella religiosa. È questo a ben vedere il significato dell’affermazione iniziale che nessuna attività umana, dunque anche la politica, è estranea alla valutazione religiosa.
Ogni ambito terreno «ha un problema suo proprio che lo specifica: e la verità religiosa non può esercitare sulle sue soluzioni che un controllo negativo. Il nesso tra attività religiosa e politica, non potendo quindi configurarsi come quello di principio e conseguenza, dovrà essere inteso come rapporto di compatibilità interna: le verità di ordine politico (come di ordine filosofico) devono essere suscettibili di organizzarsi con le verità religiose, in modo che l’uomo religioso possa sentire il compimento del suo dovere politico come richiesto dalla vita religiosa».
Dunque, non separazione né identità ma distinzione nell’unità, di politica e religione.
Le forme del clericalismo
Per Del Noce un partito realmente cristiano, in grado cioè di salvaguardare «l’autonomia di oggetto della politica con la necessità della valutazione religiosa», non può che definirsi come un partito «a cui un cristiano possa partecipare senza restrizioni mentali».
E questo per evitare i due errori in cui di solito incappano i politici cristiani, ossia il “confessionalismo” – che consiste nel far derivare dal vangelo delle verità politiche – e il “medioevalismo”, che vede nell’ideale ierocratico il modello per eccellenza della politica cristiana.
Modello secondo cui il Medioevo rappresenterebbe il punto di non ritorno della politica cristiana in quanto la realtà politica sarebbe la traduzione terrena del regno di Dio. Il tutto basato su alcune semplici assunzioni: a) ciò che eleva un individuo dallo stato di natura all’essere persona è l’adesione alla verità; b) la verità è verità cattolica; c) essendo la Chiesa depositaria della verità, il potere non può che spettare ad essa; d) il potere temporale non sarà che uno strumento del potere spirituale.
In tale prospettiva, nota Del Noce, «l’attività politica non ha valori propri da difendere; ma difende valori che le vengono proposti dall’attività gerarchicamente superiore. Se altrimenti fosse, la gerarchia soggettiva dei valori per il cristiano non sarebbe voluta come gerarchia di valori; e non sarebbe perciò gerarchia di valori, ma ordine di individuali preferenze (la religione questione puramente soggettiva)».
Ora accade che nel momento in cui, in epoca moderna, il potere temporale si emancipa da quello spirituale rifiutando la sua funzione strumentale, la politica cristiana diventa politica di compromesso, tesa cioè a difendere il più possibile gli interessi della Chiesa.
Nasce così, «nella sua accezione migliore il clericalismo. In questa difesa della funzione della Chiesa si tratterà di allearsi con classi che per educazione o per interessi sono legate al cristianesimo. Abbiamo così il cattolicesimo assolutistico e poi il cattolicesimo reazionario (alleanza con la nobiltà) più di recente un certo modo di intendere la democrazia cristiana (alleanza con la piccola borghesia e coi contadini) […]. Altra forma di clericalismo è quello che potremmo chiamare machiavellico. Si tratta allora di un’alleanza con forze […] che devono servire come strumento per abbattere altre forze non cristiane».
Qual è il punto che accomuna le diverse forme di clericalismo? Il fatto che per esse la difesa della libertà a fronte di un potere politico non cattolico coincide con la difesa dell’esistenza stessa della Chiesa, non del principio di libertà.
Detto altrimenti: il clericalismo non riconosce la libertà come un valore in sé, ma solo come strumento in vista di un obiettivo. C’è però un problema, per così dire, a monte, che Del Noce evidenzia. Esso consiste nel fatto che se per un verso tutti hanno a cuore la libertà, per altro la fondazione filosofica della libertà è tutt’altro che facile.
Il problema è presto detto: «Se la verità è data come verità rivelata, come si potrà parlare di libertà? La libertà non sarà libertà dall’errore e dal male?». Partendo da qui Del Noce, volendo «salvare il liberalismo in cui vedo un’affermazione massima della civiltà cristiana», sviluppa una rivisitazione del concetto di “verità eterne” per cui “eterne” cessa di indicare un qualcosa di fisso e stabilito per sempre per assumere il significato di “eternamente riconquistabili”, ciò che a sua volta gli consente di delineare il suo concetto di libertà politica.
La persuasione come unica arma
Il presupposto della visione politica medievale è l’unità della fede. Non solo unità nel senso di un mondo accomunato dalla stessa fede, ma ad un livello più esistenziale, unità nel senso che «presuppone l’atto di adesione alla verità come già compiuto e non sollevante perciò problema».
Ma con l’avvento dell’umanesimo e della modernità quel mondo è andato in crisi. I valori che prima erano ritenuti eterni nel senso di “fissi” vengono ora storicizzati, il che comporta a cascata la problematizzazione dell’atto di adesione alle verità di fede.
Ma, nota Del Noce, attenzione: questo non dev’essere visto come un qualcosa di negativo; anzi, nella misura in cui la civiltà viene storicizzata, «non solo posso, ma debbo, per vivere la mia fede nella sua purezza […] e cioè per rivendicarne il valore di verità assoluta, propormi il problema della giustificazione del mio atto di adesione».
Problema che richiede e implica l’esercizio della libertà. Sotto questo profilo Del Noce non condivide la condanna tout court della modernità ma anzi “legittima” la modernità vedendo in essa l’occasione per «un approfondimento e un aguzzamento in sé pregevoli dell’idea di verità. L’età moderna cioè non ha carattere anticattolico in quanto si limita a porre il problema del soggetto; ha questo carattere soltanto quando al soggetto come problema sostituisce il soggetto come soluzione: quando cioè afferma una metafisica soggettivistica o immanentistica […]; quando cioè si contrappone alla teologia cattolica in quanto teologia».
Del Noce arriva così a riconquistare la modernità senza rinnegare la metafisica cristiana, ed anzi fondando la libertà sul concetto stesso di verità, cioè «sulla possibilità ch’essa diventi verità per l’uomo».
Da questa fondazione della libertà – che diremmo sostanziale e non più formale in quanto implica l’idea di uomo come essere per la verità – discendono alcune conseguenze importanti.
Prima fra tutte il rifiuto della violenza in quanto persecuzione delle idee. Abbiamo qui, come altra faccia della stessa medaglia, la formulazione del concetto di persuasione, ciò che insieme al rifiuto della violenza rappresenta uno dei cardini della visione delnociana di democrazia (il terzo essendo il rispetto della persona).
Il rifiuto della violenza comporta infatti che «il liberale (e il cristiano) non può porre alcun limite alla libertà delle idee. Il campo dell’autorità è precisamente l’opposto: essa deve intervenire soltanto per impedire la persecuzione delle idee […]. Ma l’idea di libertà come tale non può contare su alcuna difesa e alcun sistema protettivo; essa si raccomanda soltanto alla “persuasione”».
Crisi e rivoluzioni
Come si vede, si tratta di un liberalismo per certi aspetti ancor più radicale della posizione di chi, per difendere la libertà, vorrebbe impedire con la forza la circolazione di certe idee.
Non solo. Si tratta anche di un liberalismo anti-utopistico, a motivo del fatto che la libertà può in ogni momento scegliere il bene oppure il male. È insomma un liberalismo che «riconosce che nella storia ci saranno sempre crisi e rivoluzioni, che la storia umana sarà sempre lotta, che il regno di Dio non è di questo mondo. E sorride dell’utopista che promette sì una futura umanità paradisiaca, ma per intanto chiede di poterla trasformare in un inferno, che dirà sì, provvisorio, ma che però è l’unico suo risultato sensibile. E che promette all’uomo una più perfetta libertà che sarà soltanto libertà del bene, ma per intanto gli chiede di rinunciare a quella che già ha».
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte è possibile chiarire ulteriormente il significato dell’espressione “metafisica civile” applicata alla proposta speculativa di Augusto Del Noce.
Essa si configura come una filosofia cristiana che implica e richiede un nesso indissolubile tra pensiero ed esperienza, interiorità ed esteriorità, onde una “propria e personale” riaffermazione del pensiero tradizionale in grado di tradursi, per sua natura, in una “polis” realmente degna dell’uomo.
Al di là e prima di ogni programma politico e di quale organizzazione darsi, questa era, ed è, la sfida da assumere per i cattolici. Sfida tanto più urgente nella fase storica attuale che presenta un quadro sociale, economico, politico ma soprattutto culturale piuttosto desolante e desolato, dove i cattolici – nota l’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuàn sulla Dottrina sociale della Chiesa nel volume Un paese smarrito e la speranza di un popolo. Appello politico agli italiani – «da tempo non sanno fare una proposta organica, coerente, unitaria, lungimirante e, soprattutto, chiaramente ispirata alla propria tradizione, alla propria dottrina, inclusa la dottrina sociale della Chiesa, alla propria fede. Una proposta cattolica, insomma».
Il giudizio sulle cause è, se possibile, ancor più duro: «Non l’hanno saputa fare perché troppi tra di loro pensano che non si possa fare e che non si debba fare».
L’efficacia di una presenza
Da qui la necessità, l’urgenza della scelta: se continuare – dopo la stagione della supplenza esercitata dalla gerarchia (il cosiddetto “ruinismo”) – a vivacchiare in una situazione di sostanziale irrilevanza, e che in prospettiva potrebbe portare alla definitiva scomparsa dalla scena politica, o provare invece a invertire la rotta e ripartire.
«L’efficacia o l’inefficacia della presenza cattolica in politica», si legge ancora nell’Appello dell’Osservatorio, «dipende sì dalle condizioni generali della società – un tempo religiosa e ora post religiosa – ma soprattutto dipende dai cattolici stessi, dalle condizioni della loro fede, dall’organizzazione della loro cultura teologica e politica, dalla consapevolezza ed omogeneità dei loro apparati culturali».
Insomma se i cattolici vogliono ancora dire la loro, e riprendere il filo di un percorso e di una tradizione che tanto ha dato all’Italia, non dipende che da loro stessi. Ma questo vuol dire, innanzitutto, aver ben chiara la posta in gioco. Il che implica a sua volta la necessità di saper leggere in profondità la storia, il mondo e la società in cui viviamo, per poi mettere a fuoco il giusto atteggiamento da assumere come cornice culturale dentro la quale inquadrare ogni proposta politica.
Ed è sotto questo duplice profilo – dell’analisi e dell’atteggiamento – che risulta di straordinaria attualità la proposta filosofica di Augusto Del Noce.
Una coscienza rinnovata
Partendo da un dato di fatto piuttosto lampante: l’Italia non solo non è più un paese cattolico, ma non è più neanche un paese per cattolici. Ora l’interesse qui, e di conseguenza la necessità di una seria e profonda riflessione in grado di coinvolgere auspicabilmente anche i laici e più in generale tutti coloro che hanno a cuore le sorti del paese, non è tanto l’irrilevanza in sé del cattolicesimo, fenomeno per altro che non nasce oggi; quanto il fatto che ampi settori della Chiesa italiana sembrano non voler opporre più alcuna resistenza alla deriva secolarista e laicista in corso, deriva che solo un cieco potrebbe non vedere, essendo altre le urgenze, altri i problemi che sembrano stare in cima all’agenda pastorale.
Il che comporta la necessità che in primis il laicato cattolico maturi al più presto una rinnovata coscienza sia della gravità delle sfide e della posta in gioco sia dell’importanza del proprio ruolo, riaffermato con forza dal Concilio Vaticano II e dal magistero successivo fino alla definitiva archiviazione della figura del “vescovo-pilota” (anche se da questo punto di vista non mancano resistenze in una buona fetta del clero, che evidentemente non ha ancora digerito la riscoperta operata dal Vaticano II dell’ecclesiologia di comunione che ha di fatto desacralizzato la figura del sacerdote e mandato in soffitta una visione del sacerdozio più come potere che come servizio, con i laici relegati nel peggiore dei casi a comparse e nel migliore a longa manus del clero).
I tempi sono insomma maturi, ed anzi oggi più che mai se ne sente il bisogno, per una rinnovata stagione del cattolicesimo politico italiano. Nuova stagione con al centro una nuova proposta politica che, rifuggendo la tentazione di compromessi al ribasso per un mero tornaconto dal respiro corto, farà meglio a sforzarsi di promuovere in tutti modi possibili i princìpi basilari che tuttora innervano e costituiscono l’impalcatura della Dottrina sociale della Chiesa, ossia la promozione della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale e la libertà religiosa e di educazione.
E questo con buona pace di altre, presunte emergenze/esigenze che, lette con le stesse lenti della teologia dell’inculturazione, possono forse avere un senso a certe latitudini ma non ad altre.
La risposta a una sfida
In tale contesto risulta fondamentale la consapevolezza che anche oggi, allo stesso modo che per le grandi ideologie del Novecento e come sempre è accaduto nella storia, esistono e sono all’opera forze politiche, culturali, economiche e sociali che vogliono soppiantare, e in parte ci sono già riuscite, l’antropologia cattolica per sostituirla con un’altra visione dell’uomo e della società, ad essa radicalmente opposta.
Si tratta insomma, oggi come e più di ieri, di assumere quell’atteggiamento della “risposta a sfida” invocato da Del Noce. È di tutta evidenza che il successo o l’insuccesso, o se si vuole l’efficacia o l’inefficacia di qualsivoglia proposta politica, inclusa quella cattolica, dipende da svariati fattori; ma allo stesso modo va ribadito che in ultima istanza la presenza dei cattolici nella politica e nella società e la loro capacità di influire sulle scelte fondamentali del e per il paese, come giustamente evidenziato dall’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuàn, non dipenderà che da loro stessi.
Da qui la domanda: cosa vuole fare il laicato cattolico italiano? Assumere la prospettiva della cosiddetta “Opzione Benedetto” o provare piuttosto a invertire la rotta e ripartire?
Ricostruire Gerusalemme
Nel libro di Neemia (4,1-12), che narra della ricostruzione di Gerusalemme dopo l’esilio babilonese, ci sono due immagini a cui ricorre l’Autore per descrivere il lavoro che dovettero sobbarcarsi i reduci; dice infatti che essi avevano in una mano la spada e nell’altra la cazzuola: la spada per difendersi dai nemici e la cazzuola per ricostruire.
Ora a proposito di questa immagine lo scrittore inglese G. K. Chesterton ha proposto un’interpretazione di quei due oggetti che può ben applicarsi alla “metafisica civile” di Augusto Del Noce: egli vede nella spada la ragione che indaga e scruta la realtà, mentre la cazzuola è l’immaginazione, la creatività, la fantasia che deve sempre suggerire nuove forme, nuovi modi di costruire.
Allo stesso modo, la proposta del filosofo torinese contempla una ragione che è chiamata a riconoscere e riaffermare le verità “eternamente riconquistabili”, come intendeva Del Noce il concetto di eternità, e l’esigenza di tradurre quelle verità in un progetto civile e perciò stesso politico mai statico ed anzi sempre da re-inventare con creatività e immaginazione. Avendo sempre a mente il detto evangelico secondo cui «il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Me 2,27), ciò che segna la distanza tra una visione ultimamente ideologica dove l’uomo è mezzo e strumento in vista di un fine, e una visione che all’opposto, partendo dal principio di realtà, considera l’uomo, che della realtà è il culmine, mai come mezzo ma sempre e soltanto il fine di ogni azione, sia essa economica sociale culturale e, ovviamente, politica.
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IL DOVERE DI INCIDERE NELLA STORIA Quello pubblicato in queste pagine è uno stralcio di Filosofia cristiana e politica in Augusto Del Noce, scritto da Luca Del Pozzo, edito da Pagine (270 pagine, 18 euro). Laureato in Filosofia e baccalaureato in Teologia, oltre che collaboratore di Tempi e del Foglio, Del Pozzo spiega nel libro perché nella visione di Del Noce il cristianesimo, per sua natura, «non può non avere anche una traduzione politica, nel senso cioè di farsi “polis”, mondo, storia».