La Nuova Bussola quotidiana
12 marzo 2016
di Benedetta Frigerio
Aborto, omosessualità, utero in affitto, fecondazione artificiale, eutanasia sono ormai i temi al centro dell’attacco antropologico moderno. Eppure uno dei fattori più diffusi e disgreganti la persona, la famiglia e quindi la società è la pornografia. Se ne parla pochissimo, ma la crescita dell’industria “hard-core”, che coinvolge sopratutto gli Stati Uniti d’America, ha portato il parlamento dello Utah ha votare a fine febbraio una risoluzione in cui la pornografia viene definita addirittura come una «crisi per la salute pubblica».
Il senatore Todd Weiler, autore della risoluzione, ha spiegato che questo fenomeno ha un forte «impatto sulla gioventù e sull’indebolimento della famiglia». Basti pensare che già tredici anni fa, nel 2003, l’American Academy degli avvocati matrimonialisti rivelò che nel 58 per cento delle cause di divorzio si riscontravano problemi di dipendenza dalla pornografia da parte di uno degli sposi.
A descriverne gli effetti sono anche i testimoni diretti. L’ultimo a raccontare la sua storia è stato un giovane pastore protestante del Michigan, Noah Filipiak, che recentemente ha spiegato sul suo blog il pericolo: «Da metà degli anni Novanta, quando avere internet in casa divenne d’uso comune, la pornografia cominciò ad educare generazioni di ragazzi. Così accadde a me». Infatti, quando era ancora alle medie, Filipiak non si sarebbe «mai sognato di andare a comprare una rivista porno, ma sapere che si trattava di un solo click di distanza, lì nel mio salotto, era troppo per resistere».
Il semplice click, però, si trasformò presto in dipendenza: «Il porno è un professore» ha scritto il pastore, e «se vuoi una società dove le persone diventino oggetti disumanizzati, allora appoggialo». Se, invece, «vuoi una società in cui le persone comprendano l’amore, la dignità umana, il valore e il rispetto, allora il porno va identificato e combattuto come una crisi per la salute pubblica». Anche perché le immagini disponibili su Internet sono «piene di perversione, feroci e violente» e grazie ai «video ad alta definizione» sono «molto coinvolgenti, soprattutto per la psiche dell’adolescente in fase di sviluppo», come ha spiegato il giornalista americano John Jalsevac, un tempo dipendente dal porno.
Infatti, al contrario di quanto si potrebbe pensare, la fascia di persone più colpita è quella degli adolescenti. Solo negli Stati Uniti la media della prima esposizione di un bambino è di 11 anni, mentre in tutto il mondo, dove il 25 per cento delle ricerche internet è legata alla pornografia, il 70 per cento degli accessi al porno è di maschi tra i 18 e i 24 anni. Il sociologo australiano Micheal Flood ha rilevato che addirittura il 92 per cento dei maschi e il 57 delle femmine svedesi fra i 15 e i 18 anni avevano guardato almeno un film “hard”.
Fra le conseguenze di questa moda, Flood ha indicato la diffusione della mentalità per cui la donna è un oggetto di piacere che deve sempre essere disponibile, la sensazione di tradimento da parte delle mogli, le attitudini sessiste e quindi la violenza contro le donne. Eppure la cultura liberale femminista, quando non difende l’industria, tace.
Alla fine dell’anno scorso l’Economist riportava cifre mondiali da capogiro: nel 2015 sono state oltre 4 miliardi le ore spese sul canale PornHub, che, tradotto, è un periodo di tempo pari oltre 500 anni. Sempre tramite il canale porno sono stati visualizzati oltre 87 miliardi di video, il che significa una media di 12 filmati visualizzati per ogni persona vivente. I numeri sono giustificabili dal fatto che tutti i gruppi sociali, etnici, o religiosi ne sono coinvolti.
Uno fra i più noti pastori evangelici americani ha spiegato che la pornografia affligge anche molti cristiani. Invece, sebbene il National Center on Sexual Exploitation abbia sottolineato che «tante persone sono convinte che non possa toccare la loro comunità d’appartenenza, la loro chiesa o la loro famiglia, a causa di internet, è diventata così pervasiva da rappresentare un pericolo per la salute pubblica».
Anche Terry Crews, ex giocatore di football e attore americano, il mese scorso ha descritto il tunnel della pornografia: «Cambia il modo che hai di pensare alla gente (…). Le persone diventano oggetti». E la compulsione può essere fortissima, tanto che «sono dovuto andare in riabilitazione per affrontare il problema». Spiegando l’importanza di confessare a qualcuno la dipendenza Crews ha parlato di una battaglia cominciata da sei anni, anche se il porno entrò in casa sua quando aveva 12 anni.
Salvato mentre stava per mandare in frantumi la sua famiglia, l’ex giocatore ha ringraziato commosso la moglie: «Mi disse: “Non ti riconosco più”. Avrebbe potuto decidere di andarsene…ma non l’ha fatto. È rimasta al mio fianco. Sapeva che ero pentito. Sapeva che stavo chiedendo aiuto».