Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa
Newsletter n.1009 del 24 Maggio 2019
di Stefano Fontana
Ci sono quattro concetti della Dottrina sociale della Chiesa che stanno tornando di uso frequente, date anche le polemiche su sovranismo e globalismo. E quattro parole sono le seguenti: potere, autorità, sovranità, regalità. Può essere utile riprenderle in esame per verificare se ci possono essere di aiuto nel momento presente.
Il potere è la capacità di comandare qualcosa ad un altro usando solo la forza. Platone scriveva nella Repubblica che chiunque andasse nell’agorà con un coltello sotto il braccio avrebbe potere di vita e di morte su chiunque. Chi mi puntasse una pistola alla tempia avrebbe potere su di me.
Il potere si fonda sulla paura in quanto è la lotta di tutti contro tutti. Hobbes faceva dipendere da ciò il patto sociale, stipulato proprio per fuggire a questo potere ma creandone un altro ancora più forte: quello del Leviatano. Il potere però può anche essere quello di una maggioranza democratica che si fondi solo sulla prevalenza del numero.
Il potere non ha legittimazione, si impone con la forza, con qualsiasi tipo di forza. Nemmeno cerca giustificazioni, non ne ha bisogno, gli basta avere la forza di imporsi. L’autorità è il potere moralmente legittimato. Ha autorità chi comanda su un’altra persona ma per il bene.
L’autorevolezza è la qualità propria dell’autorità, come la forza lo è per il potere. La legittimazione dell’autorità deve essere morale: qualsiasi legittimazione di altro genere non è sufficiente. Una legittimazione procedurale, o istituzionale, o elettorale non fondano l’autorità in senso pieno ed ultimo.
Il diritto/dovere di comandare sugli altri non può ultimamente derivare da regole che lo stabiliscono, né da funzioni istituzionali fissate in qualche Carta, né dalla maggioranza dei voti ottenuti in una competizione elettorale. Tutte queste fonti possono al massimo indicare chi deve comandare e governare, ma non sono in grado di legittimarlo moralmente, né di fondare fino in fondo il dovere di obbedire da parte di chi sta sotto.
Mentre il potere non ha bisogno di riferirsi alla verità e al bene, l’autorità sì, perché è lì che attinge la sua legittimazione. Carl Schmitt scrisse nel 1954 un breve Dialogo sul potere nel quale constatava che un tempo la sua legittimazione era indicata nella natura o in Dio.
Dopo che queste due fonti sono state largamente abbandonate, su cosa fondiamo oggi il potere affinché non sia solo potere ma anche autorità? Bisogna riconoscere che la domanda è ancora in attesa di risposta, dato che il potere dell’uomo sull’uomo non può essere fondato sull’uomo stesso, ma solo su qualcosa di superiore.
La sovranità è il potere che si investe da solo di autorità e che non riconosce al di sopra di sé alcun altro potere né alcun’altra autorità. É Napoleone che si mette da solo la corona di imperatore in testa, salvo poi lamentare a Sant’Elena il vuoto del potere senza Dio.
Il potere non pensa a legittimarsi, la sovranità invece si legittima da sola pensando così di diventare autorità ma restando potere. Lo Stato moderno da Bodin (“Principe è colui che non dipende che dalla sua spada”) ad oggi si è fondato su questo concetto di sovranità.
Anche la nostra Costituzione usa questo concetto quando dice che il popolo è sovrano. Cosa inaccettabile in quanto è la trasformazione democratica del principio dell’assolutismo di Stato: che ad essere sovrano sia uno o molti poco cambia dal punto di vista qualitativo. Infine troviamo la regalità.
Essa indica il potere legittimato moralmente e che non si intende sovrano ma accetta di essere a servizio di qualcosa di superiore. Gli imperatori e re cristiani non pensavano di detenere un puro potere con la sola forza, né pensavano di essere sovrani nel senso di non dover rendere conto a niente di superiore. Pensavano di essere i primi funzionari della Cristianità, di servire nel campo temporale Dio e la Chiesa, di dover rispondere ad un ordine naturale e a delle finalità naturali che ponevano loro delle leggi non scritte a cui obbedire.
A differenza del potente o del sovrano, il re sa di godere di un legittimo primato, ma non assoluto e, soprattutto sa che non può essere legge a se stesso. I fondamenti ultimi della sua autorità sono dislocati altrove e aldisopra, per questo motivo il re sa di essere autonomo ma non indipendente dalla Chiesa.
Ai nostri giorni, come dicevo, queste parole vengono adoperate spesso. Lo si fa, per esempio, anche nelle discussioni sulle prossime elezioni europee. Si tratta di quattro concetti molto cari alla Dottrina sociale della Chiesa e che possono essere di aiuto per bene inquadrare i problemi politici anche di oggi e non solo di ieri.